GIOVANNA CAVARRETTA, Francesco Carbone - Arte del Fare - Etica, Estetica e Spiritualità.
22 dicembre 2020
Molto
si è scritto su Francesco Carbone, come critico e come
socio-antropologo e spesso si è dissertato su Godranopoli, Centro di
Arte Visiva, Documentazione e Sperimentazione, da lui fondato nella
nativa Godrano, insieme all'amico artista Giusto Sucato. La sua
scomparsa, avvenuta Il 23 dicembre del 1999, ha lasciato un vuoto
nell’arte e nella cultura della nostra isola. L'originalità che
egli riusciva ad individuare nelle opere degli artisti, la percepiva
grazie al suo occhio critico, frutto di una sapienza intellettuale
mischiata ad un intuito prepotente. Il tutto sorretto da una capacità
di sintesi colta e raffinata. Una capacità che gli permise di
“scoprire” un poeta suo concittadino entrato nell’oblio ma il
cui giudizio nel capo della corrente letteraria “Futurismo”,
quale fu Filippo Tommaso Marinetti, fu considerevole soprattutto
nell’incoraggiarlo e nello spingerlo a pubblicare i suoi lavori.
Cosa che “l’ultimo poeta futurista” fece affidando all’editore
Vallecchi il suo “Quand’ero pecoraio” e su cui il Nostro
scrisse un corposo testo critico:” Si tratta di liriche che
penetrano il tessuto agreste in cui esse vengono concepite e affidate
alla parola, ad un segno letterario che le trasmetta, che da natura
libera le trasforma in codice convenuto. Il territorio viene così
tramato e attraversato in tutte le sue manifestazioni umorali, nei
suoi dettagli strutturali, nelle sue infinite relazioni di armonia,
di dissonanza, di vita e di morte. (…) E’ proprio nel momento in
cui il Futurismo preannuncia ed esalta un nuovo modello di vita, una
diversa cultura, l’inserimento di Giardina nello stesso movimento
ne fa esplodere le contraddizioni interne, deflagrando in un
personalissimo universo poetico. (…) Ma che cosa c’è di diverso
in Giacomo Giardina, in quel suo situarsi in maniera del tutto
propria e originale, tra primitività e attualità, tra creatività e
gesto della parola, tra oralità e immagine, tra voce e scrittura.”
Era il 1931 e il poeta era Giacomo Giardina nel cui Circolo culturale
di Bagheria chi scrive è socia da qualche anno. Carbone amava
e decantava la Bellezza. Riusciva a vederla occasionalmente anche
nella gente che incontrava per strada, trovando stimolante il
dialogare tanto con gli eruditi quanto con gli incolti. Il suo era
uno spirito dominato da un'immensa sete di conoscenza dell’animo
umano. Qualsiasi persona con cui veniva a contatto, rappresentava per
lui una fonte dalla quale attingere frammenti di vita vissuta e, come
un'alchimista, trasformava ogni gesto ricevuto, ogni impulso emotivo,
nel “Fare dell'Arte". Consacrato alla cultura e agli altri ma
poco a sé stesso, considerava ciò un "pregio di inestimabile
valore perché riteneva grande verità quella di considerare che noi
siamo fatti degli altri, giacché gli altri non sono soltanto vicini
a noi, ma dentro di noi". Questo stralcio è tratto da una
lettera che il Nostro scrisse a sé stesso in occasione di una festa
all'“Atelier della Bellezza”, voluta nel lontano 1998 dal
Direttore di Fiumara d'Arte, Antonio Presti. Lo scopo che si era
prefissato consisteva nel misurare e celebrare il suo spessore
intellettuale e umano il cui confine, peraltro imprecisato, restava
sempre conforme all’esigenza del suo fare e del suo pensare.
Carbone ha sempre considerato l'arte uno strumento d'indagine valido
in molti campi dello scibile umano e rivolto al recupero di
un'interiorità etica e sociale. Nella sua lunga attività ci sono le
premesse per una risistemazione della “cultura del dubbio", in
cui il sapere logico ed empirico ritrovano fondamento
nell'inesorabile divenire estetico; la conoscenza viene così
espressa non soltanto in concetti, ma in immagini. L'orientamento
storiografico utilizzato teneva conto sia dell'inventario del tempo
sia dello spazio, il che interessando anche i minori perimetri
territoriali, gli consentiva di valutare la necessaria integrazione
tra storia e geografia dell'arte. E ciò al fine di rilevare
compiutamente la presenza di pittori ritenuti minori quasi sempre
esclusi dagli avvenimenti promossi in altre aree più progredite.
Questo per sottolineare come in Sicilia essi siano stati spesso
isolati e non adeguatamente stimati nei loro valori reali. Egli
reputava ogni composizione moderna e avanguardistica come contributo
essenziale per la creazione della "vera opera" e cioè
quella che racchiude in sé elevati contenuti ideali ed etici.
Infatti, l'accostamento all'Antropologia gli permetteva di cogliere
la fitta rete di relazioni fra "trasformazioni sociali e valori"
onde individuare, nella varietà delle espressioni contemporanee, le
poetiche e la poliedricità dei linguaggi. Tale processo analitico fu
da lui definito come un momento operativo, all'interno del quale
tutte le manifestazioni sono determinate dall'interazione tra natura
e cultura connesse con il ruolo, significativo, assunto
dall'estetica. Quindi dall'intimo legame tra il bello e l'arte, si
arguisce come l'esigenza di quest'ultima dovesse avere piena
consapevolezza del proprio rapporto con la realtà sociale. Cosicché,
collegandosi all'agire, l'azione che ne scaturiva si sarebbe potuto
inquadrare in un'altra più vasta e complessa. Influenzato dal
pensiero gramsciano, nella cui si immedesimava, Carbone era convinto
che l'intellettuale dovesse essere capace di svolgere un atto in cui
teoria e pratica fossero congiunte e pertanto gli uomini d'ingegno
dovessero essere degli "organizzatori di cultura", cioè
gli artefici di una sapienza acquisita non in quanto tale, ma per la
vita. In tale contesto, egli fonda un “Centro di Ricerca e
Documentazione, Godranopoli, che diventa il manifesto di un
rinnovamento speculativo " dall'interno, aprendo sorprendenti
orizzonti intellettuali e morali" nonché creativi. E questi
l’Artista li esprime nella dinamica o fenomenologia contemporanea,
sperimentandoli in alcune tappe: dal Figurativo realista all'Astratto
caldo, dall'Informale all'Iperrealismo, dalle Installazioni alla
Land-art, dal Body-art alla Scrittura Visuale. “Questa scrittura-
scrive Carbone- ha assunto via via motivazioni diverse e differenti
modalità d’uso e di rappresentazione. (…) Quindi, non può più
essere al servizio della sola voce, intesa come espressione diretta
della parola. (…) La nuova scrittura, pertanto, non mira più ad
essere la traduzione fedele del parlato, ma a collocarsi in una
dimensione tutta propria, dove gli assetti semiotici della scrittura
stessa riflettono le reali connotazioni dell’universo segnico e non
più quello prevalente (prima) della parola.” In tale contesto
assurge un importante ruolo “La Scuola di Caltanissetta” a
partire dagli anni Settanta. Nella seconda metà del Novecento con
l’affermarsi delle avanguardie storiche e letterarie, la Scrittura
Visuale, come mezzo di comunicazione artistica, diviene uno strumento
d’indagine, volto ad un ribaltamento dei linguaggi espressivi al
fine di sperimentare nuovi modelli. Cosicché, Calogero
Barba, Giuseppina Riggi, Lillo Giuliana, Franco Spena, Michele Lambo,
Salvatore Salamone ed Agostino Tulumello si cimentano in opere dalla
struttura ancora scritturale ma che presentano elementi altri, come
il colore o le figure geometriche. Questi artisti portano avanti una
ricerca che prende forma all’interno dell’utilizzo di una parola
contemporanea che, mentre subisce il fascino di un dettato
antropologico che le appartiene, non resiste alle seduzioni e alle
possibilità morfologiche offerte dalle tecnologie e dal colore.
Ragion per cui nelle loro opere si evince un approccio mediterraneo
alla Scrittura Visuale che, indagando gli orizzonti possibili e
tenendo conto della posizione storica della Poesia Concreta e della
Poesia Visiva, si sviluppa in maniera indipendente e libera dalle
influenze del passato. Gli sbocchi a cui perviene, rivelano
trasformazioni e diramazioni inerenti alla cultura e all’arte
siciliana che la portano ad appropriarsi di una conoscenza sempre più
approfondita ed esauriente in tutti gli aspetti della civiltà
trinacriota. E’ questa una ricchezza dovuta dall’incontro della
sua cultura con quelle differenti che si sono susseguite sul suo
territorio nel corso dei secoli. Nel percorso di Carbone riscontriamo
la nozione di "configurazione", che concerne "l'aspetto
primario e semplice della percezione- secondo la definizione di
Arnheim- che fin dal momento iniziale si manifesta come una
formazione concettuale generalizzante". Per il Carbone l'occhio
umano è fortemente suggestionato dalla cultura attiva. Infatti, i
nostri modi di vedere e di rappresentare sono sottoposti a specifici
condizionamenti socio-ambientali e, in quanto ricercatore gestaltico,
pone l'accento "sull'esplorazione del mondo, sulla
semplificazione, nonché sulla globalità dell'esperienza".
L'arte per rigenerarsi pertanto deve seguire una sola regola: la
legge del ribaltamento e del dubbio, la sola che può incidere sui
meccanismi volti a creare un dialogo costruttivo con il fruitore.
L'istituzione pubblica in grado di concretizzare questa tesi è, per
Lui, la Biblioteca Comunale, che oltre ad adempiere alla funzione
informativa, deve mostrare ciò che appartiene al proprio territorio
o che è connaturato sia al suo compito che alle prospettive del suo
servizio. E cioè tale da diventare la sede di incontri per inediti
sistemi di aggregazione nonché da suscitare, come egli scrive, nelle
popolazioni locali una più avvertita coscienza civile racchiusa tra
innovazione e tradizioni. Ma, affinché le si attribuisca una
connotazione differente da quella che le è propria, essa deve
liberarsi dalla pesantezza dovuta "all'accumulo organizzativo",
trasformandosi in un centro propulsore al servizio dei cittadini.
Conseguentemente nasce il “Movimento comunità di base Busambra”
il cui raggio d'azione si estende in diversi settori: dalle arti
plastiche e figurative al cinema e al teatro, includendo le
tradizioni popolari, l'architettura, per concretizzarsi sia in una
Pinacoteca d'Arte Contemporanea che in un Museo etno-antropologico.
Pertanto, tutto ciò che Carbone realizza nel corso della sua
esistenza è testimoniato dal suo pensiero sull'arte: " Essa è
la manifestazione di eventi creativi che conferiscono alla vita un
significato straordinariamente nobilitante”. Un iter culturale e
umano che trova piena compiutezza nell’affermazione di Tapies,
ossia che “la convinzione che si debbano cancellare dal campo
estetico le questioni trascendentali si unisce spesso alla
cospirazione indubbiamente retrograda che mira a mutilare l’arte
del suo contenuto più profondamente umanista per trasformarla in una
pura tecnologia delle superfici senza la minima influenza attiva
sulla vita reale e sulla nostra trasformazione intima, tuttavia
necessaria.” Il XX secolo è stato caratterizzato dalla nascita di
molteplici forme linguistiche che sono alla base dell’arte
contemporanea. La rivoluzione delle tecniche ha altresì contribuito
ad approfondire la discussione intorno al concetto di arte, al suo
significato in perenne mutazione e al suo valore in rapporto
all'opera e alla sua legittimità. La conquista da parte dell'artista
di nuove tecnologie lo hanno reso libero nell'appropriazione di
ulteriori soluzioni formali nonché di un sistema fatto di “nuovi
segni" che declassano e sostituiscono i vecchi modi
tradizionali, come pittura e scultura. Sono questi ad aprirgli il
varco sia verso una totale emancipazione dal passato, sia verso una
presa di coscienza di un possibile affrancamento essendo non più
ancorata a mezzi espressivi ormai desueti. Nel 1919 il drammaturgo
polacco Stanislaw Witkiewicz sosteneva come l’arte fosse arrivata
alla sua fine giacché riteneva che "il
processo di decomposizione fosse già iniziato",
indicando come una delle cause il fatto che l'umanità avesse perso
“l'inquietudine metafisica". Ma ripercorrendone le varie tappe
si assiste da parte dell’artista ad una proverbiale attenzione
verso la propria vita interiore che in precedenza mai aveva provato
ad avere. Ad aggravare ciò il contributo del distacco dell'arte
dall'idea di bellezza, in primis della bellezza assoluta, cosicché,
dal primo Impressionismo in poi, il richiamo dell’autore alla
soggettività diventa punto fondamentale dell'Espressionismo. E’ In
questo clima che si affermano le Avanguardie Artistiche, il cui
termine "avanguardia"
sta ad indicare il proposito degli artisti di " rompere antichi
argini", al fine di scoprire orizzonti "altri".
"L'opera
d'arte,
come scrive il Grassi, è
specchio, rispecchiamento della personalità dell'artista e dell'uomo
insieme...L'opera d'arte è processo, costruzione. di un'immagine
dall'interno verso l'esterno, mediante un processo che è
spirituale".
Ed è proprio sulla "spiritualità
del processo artistico",
in quanto atto di creazione e quindi sulla centralità dell'uomo
quale artefice di "un'arte
del fare",
che si dipana l'intera opera di Francesco Carbone e di quel gruppo di
artisti che a lui facevano capo e la cui ricerca va sotto il nome di
“Arte
Antropologica”.
Parlare di sacro o di spirituale nell'arte odierna e delle
metodologie attraverso cui essa si manifesta, costituisce
un'importante tematica del nostro presente storico sia da un punto di
vista estetico che culturale. Il fattore fondamentale nella teoria di
Carbone è rappresentato dall'avere assunto l'arte come riflessione
antropologica, per poi iniziare le sue indagini sull'analisi delle
forme culturali dell'uomo. Il termine "cultura",
qui si riferisce, come lo studioso scrive, "a
quell'insieme complesso che include la conoscenza, le credenze,
l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità
e abitudine acquisita dall'uomo come membro della società".
Quindi, tutte le forme e i contenuti permettono di cogliere un
momento creativo o un fenomeno dell'Arte Contemporanea come fattore
prioritario per la formulazione di una poetica e di un linguaggio
artistico. Sono questi ad essere tesi alla distinzione di personali
connotazioni inerenti all'immaginario creativo ed operativo degli
artisti di quel gruppo che attorno a lui gravitavano. Quest'ultimi,
che definirei "operatori
del fare",
attingendo attraverso un'originale inclinazione alle fonti
antropologiche e utilizzando quegli elementi che non sono solo della
"cultura materiale", riescono a rielaborarli così da
rendere manifesta la complessità metodologica di quell'indagine
artistica ed estetica che pone in primo piano il rapporto
arte-cultura. Il grande contributo che Carbone e l’Arte
Antropologica hanno dato al "sacro"
consiste nell'avere posto l'attenzione sulla spiritualità enunciata
attraverso i modi e le vie dell'arte, da lui ritenuti "manifestazione
di tutti gli aspetti della vita"
e pertanto della sacralità della vita stessa in tutte le sue
manifestazioni. La sua “cultura del fare” non escludeva la
propensione verso la trattazione di questioni trascendentali in
quanto nel “fare”
riteneva
presente sempre qualcosa di divino. Si tratta di quel Divino,
“celato”,
che è presente tanto nell’arnese realizzato dal contadino per
lavorare la sua terra, quanto nell’opera d’arte dove si ritiene
essere questo “manifesto”.
E per confutare ciò basterebbe fare riferimento ad alcuni esponenti
della corrente Informale come il Burri o il Fontana, le cui opere
sono ammantate di "una visione mistica ed assoluta". In
modo che, anche se le tecniche tradizionali, come pittura e scultura,
hanno lasciato il posto a nuovi linguaggi, ogni opera comunque
realizzata stabilisce una forma di comunicazione simbolica con il
Divino. E questo sia in un racconto o in un episodio o in un singolo
frammento della storia della salvezza in cui viene evidenziato un
significato e un valore che nell’arte cristiana sono sempre stati
manifesti. La “Parola” che nell’arte aulica ha trovato le sue
corrispondenze formali e cromatiche, in quella antropologica di
Carbone si incarna nella pratica del quotidiano. Infatti, nell’arte
del fare lo
spirito dell'artista e la fisicità dell’uomo, uniti da un legame
indissolubile, risultano assolutamente protagonisti. E’ questo che
li rende portatori di principi e di valori senza i quali la stessa
vita intima non avrebbe motivo di esistere, né tantomeno potrebbe
evolversi. Un ruolo fondamentale, nelle le teorie di Carbone, ebbe
l’amico ed artista Giusto Sucato. L’opera “Uccel di bosco”,
dedicata al Maestro, ne testimonia l’essenza. E, non a caso,
raffigura un uccello in procinto di spiccare il volo verso Rocca
Busambra. Certo, una metafora ma così era Francesco Carbone: un
uccel di bosco, sempre pronto a volare per oltrepassare i confini
dell’arte e dell’animo umano. Uno spirito libero quindi, che
amava trastullarsi in quel luogo ameno qual era il rifugio di Alpe
Cucco, in mezzo al bosco di Ficuzza, alle falde del monte Rocca
Busambra. Sorto nel dopoguerra, grazie alla cooperativa " La
città del sole" e ricavato dagli edifici dell'ex colonia
arcivescovile della curia di Monreale. E tanto importante fu il
sostegno che l’intellettuale dette non solo alla creazione di quel
rifugio ma anche alla valorizzazione di quel territorio da essere
stato per anni il presidente onorario. La scultura di Sucato,
concetto al quale Carbone era molto legato, è stata realizzata con
materiali attinti dal "luogo", quali pezzi di motozappa,
vomeri e perfino un aratro. Questi etno-reperti costituirono un punto
fondamentale per le ricerche antropologiche da lui teorizzate,
centrate principalmente sul concetto di territorio. Quindi, l’artista
misilmerese coglie intenzionalmente il vecchio reperto nella sua
essenza materiale, trasformandolo in opera da inserire nel
quotidiano. L’intervento sull’oggetto, inteso come “Struttura
di pensiero” o “Struttura della realtà”, costituisce
un’operazione volta ad esaltare il processo di creazione che si
esplica nel “fare”. Una ricerca fondata su un sapere fenomenico,
ossia non su criteri teorici ma sui fatti dell’arte. Partito da
un’esplorazione delle esperienze più significative della storia
dell’arte: Cubismo, Dadaismo, Futurismo, Espressionismo Figurativo,
fino all’Astratto e all’Informale, egli perviene in seguito ad
una sorta di depurazione e di scarto che lo conducono ad una sorta di
identificazione con il proprio lavoro di artista. Attraversando
quelle tappe egli intuisce la possibilità di rinvenire ed inserire
il suo “istinto pittorico”, dove colore, materia, gesto e segno
mirano ad unificare la pittura o la scultura in cui, nel concetto
primario originario, si appalesa il netto rifiuto di ogni
definizione. La manualità tipica artigianale conferisce valore al
processo operativo sì da indurlo a superare le barriere
dell'obiettivo prettamente estetico. Pertanto, credenze,
superstizioni, miti e riti che prima albergavano nelle case
dell’artigiano o del contadino, divengono un momento di meditazione
sui valori dell’habitat tradizionale, con la conseguenza che tra
gli anni “80 e gli anni “90 porte, tetti e pareti delle case di
costoro diventano fattori primari dell’indagine artistica di
Sucato. Superato il dato antropologico, egli estende lo sguardo ad
altre culture, (africane ed orientali) dalle quali assume forme,
colori e decorazioni in stretta simbiosi con la civiltà
mediterranea. Tale innovazione si rende evidente nell’impiego della
Scrittura Visuale prodotta tramite l’uso dei chiodi, riproponendo,
in chiave artistica, caratteri simili all’idioma di quei popoli.
L’opera così realizzata presenta quindi una serie di elementi
formali che portano ad una rottura significativa e definitiva
rispetto alle fasi storiche da lui attraversate. Da qui il dirigere
la sua attenzione verso una diversa cultura, quella africana. Ciò
trova conferma nel “saloncino polivalente” del rifugio dell’Alpe
Cucco dove ebbe luogo una mostra personale composta da sedici pezzi
di maschere afro-mediterranee. In conclusione, possiamo pertanto
affermare di trovarci di fronte ad una sorta di viaggio
inter-antropologico. Un immaginario viaggio compiuto nel mondo magico
e sacro dell'Africa tenendo però sempre presente come questo inizi e
finisca per confluire nei meandri della memoria della nostra civiltà
isolana. Non possiamo non chiudere questo breve excursus su Francesco
Carbone non senza alcune conclusive osservazioni. La ricerca della
libertà espressiva, con il necessario ricorso all’invenzione e
alla creatività, unite alla necessità intima di oltrepassare
confini già conosciuti, trovano in lui attento spirito d’accoglienza
e considerazione. In lui esiste la precipua volontà di trovare,
superando i dettami di una tradizione ormai desueta propria
dell’intuizione e dell’azione del “fare arte” i due
principali capisaldi della sua ricerca artistica. Sono questi i
pilastri dell’insegnamento, lungo tutta una vita, che in eredità
riceviamo da questo “grande” di Godrano.
Articolo ripreso da https://www.culturelite.com/categorie/arte-e-spettacolo/francesco-carbone-arte-del-fare-etica-estetica-e-spiritualita-di-giovanna-cavarretta.html
pubblicato il 22 dicembre 2020
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