22 gennaio 2021

LETTERE D'AMORE DI ANTONIO GRAMSCI

 



Gramsci non è stato soltanto un grande pensatore. Antonio Gramsci è stato anche un grande amante della vita in tutti i suoi molteplici aspetti. Di seguito potete leggere una lettera che inviò alla sua amata Julca. (fv)


Vienna, 16 aprile 1924
Cara Julca,
ho ricevuto la tua lettera dell'8, che ha dissipato tutte le nubi e tutti gli equivoci. Non dobbiamo piú parlare di «morbosità» né di altre consimili sciocchezze. Dobbiamo solo volerci bene e avere pazienza, aspettare di trovarci ancora insieme e cercare di trovare il modo di stare insieme quanto piú a lungo è possibile. Ecco la sola causa di tutto il nostro malessere, che c'induce ad approfondire, cioè a dilaniare inutilmente noi stessi, in traccia di cause recondite. Io certamente non mi ci lascerò piú prendere a questo atroce gioco. Sono tranquillo, sono sicuro, non ho piú dubbi, nessuna goccia di metallo fuso minaccia le mie tenere carni. Non sarà facile aver pazienza, ma, insomma, non creerò piú una metafisica dell'impazienza. E anche tu devi fare come me, non devi tormentarti dietro a dei fantocci. Io riconosco che la colpa è mia, in gran parte, perché io, insomma, sono più anziano e piú sperimentato: non avrei dovuto scriverti la lettera che ti ho scritto, perché, adesso che ci penso, non credevo molto a ciò che scrivevo e traducevo solo in parole il malessere dei miei nervi e gli scarafaggi che mi passeggiavano nel cervello.
Siamo stati troppo poco insieme, e quel poco ancora l'abbiamo rubato al caso: la nostra felicità era un contrabbando del giorno per giorno, goduto in una misteriosa capanna della foresta. Ciò ha lasciato troppo rimpianto in tutto il nostro essere, troppe vibrazioni che continuavano e continuano ad agitarci insoddisfatte. Ecco la causa del nostro passeggero malessere. In fondo non abbiamo avuto il tempo di sentirci marito e moglie: siamo stati solo degli amanti in luna di miele (ricordi la mia proposta per lo Statuto del Partito?). Io non posso pensare senza profonda commozione a questo periodo che ci ha dato la felicità e ci ha unito moralmente e intellettualmente. Ricordi le tue esitazioni? Avevi ragione e io lo sentivo: ma più avevo ragione io. Se io fossi partito senza che le nostre vite si fossero fuse, senza che la felicità di essere l'uno dell'altro avesse fatto piú fortemente vibrare tutto il nostro essere, avremmo noi superato questa crisi, che è stata poi così piccola cosa? Non lo so. Tanto sono cambiato che non so neppure immaginare ciò che sarebbe altrimenti successo, ma nulla di bene, io credo. Il nostro sarebbe stato, e piú ci sarebbe sembrato con la lontananza, un piccolo romanzo, un biancomangiare alla Matilde Serao. Così mi pare, almeno, per quanto possa riuscire a ricostruire in ipotesi assurda.
Oggi invece penso cosí: — e se anche, per una dannata ipotesi, dovessi rimanere ancora per molto tempo lontano da Iulca, cosa succederebbe? Certo mi struggerei parecchio: il pensiero di altre vite che si svolgono lontano da me sarebbe un assillo continuo, ma non perciò dispererei o sarei meno forte. Attenderei e verrebbe pure il giorno in cui ci si ritroverebbe insieme, e si tornerebbe bambini e ci si mostrerebbe la lingua e il tempo passato sembrerebbe cancellato d'un tratto dal ricordo. Ciò penso oggi, anche perché sono sicuro di rivederti tra breve, di nuovamente tenerti tra le mie braccia, per baciarti gli occhi, per baciare i tuoi polsi, il tuo collo, per baciarti tutta, appassionatamente, come un bambino goloso. Perché ti voglio immensamente bene, e capisco come possano assumere un significato reale anche le espressioni che sembrano divenute banali per il troppo uso che ne ha fatto la gente. Tutto si rinnova, perché il nostro amore è una cosa nuova e noi siamo originalissimi volendoci bene cosí come ce lo vogliamo, anche tormentandoci un po’, qualche volta.
Pare che proprio questa volta il destino crudele abbia proprio voluto che io fossi deputato di… Venezia. Andrò quindi in Italia per qualche giorno, ma poi ritornerò a uscirne per andare all'E. A. Le elezioni sono andate molto bene per noi. Le notizie che il Partito ha ricevuto dai vari posti sono ottime: abbiamo preso 304.000 voti ufficialmente, ma in realtà ne avevamo certamente preso piú del doppio e i fascisti hanno pensato di attribuirseli, cancellando con la gomma il segno comunista e tracciandone uno fascista. Quando penso ciò che sono costati agli operai e ai contadini i voti datimi, quando penso che a Torino sotto il controllo dei bastoni 3.000 operai hanno scritto il mio nome e nel Veneto altri 3.000 in maggioranza contadini hanno fatto altrettanto, che parecchi sono stati bastonati a sangue per ciò, giudico che una volta tanto l'essere deputato ha un valore e un significato. Penso però che per fare il deputato rivoluzionario in una Camera dove 400 scimmie ubbriache urleranno continuamente ci vorrebbe una voce e una resistenza fisica superiori a quelle che io abbia. Ma cercherò di fare del mio meglio: sono stati eletti alcuni operai energici e robusti che io conosco bene e conto di poter svolgere un lavoro non del tutto inutile. Qualche fascista di mia conoscenza si torcerà piú di una volta dalla rabbia. Ma di ciò parleremo a voce, perché ci sarà tempo, dato che la Camera si aprirà solo il 24 maggio e alle prime riunioni io non potrò assistere perché sarò vicino a te per mostrarti la lingua, in attesa di mostrarla a …Mussolini.
Ti bacio, chorošaja, slavnaja, ljubimaja, rodnaja
Ti unisco due articoli del prof. Alaleona. Per contravveleno ti voglio ricopiare qualcosa del Pascarella:
«Ma poi, nun serve a dille tutte quante, / La gran dificortà di quella sérva / È che tu, lí frammezzo a quelle piante, / Tu ‘gni passo che fai, trovi 'na berva, / E lí, capischi, ce ne trovi tante / Come stassero drento a 'na riserva; / E ce bazzica pure l'eliofante, / Che sarebbe er Purcin de la Mi- nerva. / Eh, p'annà lí bisogna èssece pratico, / Perché poi, quanno meno te l'aspetti, / c'è er caso d'incontrà l'omo servatico. / E quello è peggio assai de li leoni; / E quello te se magna a cinichetti, / Te se magna co’ tutti li cartoni.
«E quelli? — Quelli? Je successe questa: / Che mentre, lí, frammezzo ar villutello / Cosí ar- to, p'entrà ne la foresta / Rompevano li rami cor cortello, / Veddero un fregno buffo co’ la testa / Di- pinta come fosse un giocarello, / Vestito mezzo ignudo, co’ 'na cresta / Tutta formata de penne d'u- cello. / Se fermorno. Se fecero coraggio: / — Ah quell'omo! — je fecero, — chi sete? — / — Eh, — fece — chi ho da esse? So’ un servaggio. / — E voi antri quaggiú chi ve ce manna? — / — Ah, — je dissero, — voi lo saperete / Quanno vedremo er re che ve commanna».
Vorrei mandarti il libro per posta, ma non sono sicuro che possa arrivare. Proverò a mandarti un fascicolo di una rivista per bambini che mi hanno spedito come cambio dell'O. N., che però non può essere paragonata con la rivista di Vamba che mi pare tu hai conosciuto in Italia: «Il giornalino della domenica».
Quando verrò a Mosca sarà forse possibile che trascorriamo qualche giorno insieme in cam- pagna? Leggeremo tutto Pascarella e faremo un mucchio di pazzie, vero? Tu dovrai ridere molto, per dimenticare tutto questo brutto tempo che siamo stati lontani. Penso cosa potrò portarti dall'Ita- lia: non riesco ancora a decidermi, vedrò sul posto. Ti bacio ancora sugli occhi buoni e dolci, cara Julca.

Antonio Gramsci ha scritto tante lettere alla sua Julca. Non tutte sono arrivate a noi. In un'altra, inviata qualche mese dopo quella di sopra, dirà tra le altre cose: 

"Riandavo col pensiero a tutti i ricordi della nostra vita comune, dal primo giorno che ti ho visto a Sieriebriani Bor e che non osavo entrare nella stanza perché mi avevi intimidito (davvero, mi avevi intimidito e oggi sorrido ricordando questa impressione) al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile. [...] Ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido".

da ANTONIO GRAMSCI, Lettere 1908-1926, Einaudi)







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