29 gennaio 2021

LA MICROSTORIA DI CARLO GINZBURG

 

SCOPRIRE LE VOCI NEL SILENZIO: “I BENANDANTI” DI CARLO GINZBURG

C’è stato un momento, nel lungo percorso degli studi storici, in cui gli studiosi hanno cominciato a interessarsi non solo a grandi sovrani o complesse e lunghe storie dei popoli, ma anche a ciò che aveva un carattere più piccolo, le storie sommerse di piccole comunità, di ristrette aree geografiche o di personaggi certamente minori ma in grado di contribuire a una lettura più ampia e interessante dei grandi processi. Questo significava anche forzare i confini della disciplina, contaminando la ricerca storica con altri campi del sapere, come la sociologia, la geografia o lo statistica.

I primi storici a pensare a questo cambio di prospettiva sono stati Marc Bloch e Lucien Febvre, che nel 1929 fondarono una rivista, Annales, che è poi diventata il centro nevralgico di questo nuovo modo di fare storia. Ma anche in Italia nei decenni successivi si sentì l’esigenza di un cambio di passo e così negli anni Settanta questo nuovo indirizzo storiografico trovò una sua conformazione e un nome ben preciso, microstoria. Come suggerisce il prefisso gli storici di questo gruppo si sono impegnati nella ricostruzione di comunità minori o di personaggi eccezionali, ma hanno anche impostato una nuova misura allo sguardo dello storico, attento adesso a «spie, indizi» zone apparentemente accessorie ma in grado di dare una nuova forma al reale.

Tra i maggiori studiosi, e non solo nel campo della microstoria, si trova Carlo Ginzburg che con le sue opere ha dato splendida testimonianza di questo modo diverso di intendere la ricerca storica. Su questo punto in particolare, che permea comunque ogni opera di Ginzburg e di cui sono racconti luminosi le postfazioni ai volumi ripubblicati da Adelphi, si segnala la ristampa a opera di Quodlibet del prezioso libro scritto a quattro mani con lo storico Carlo Prosperi Giochi di pazienza: si tratta del resoconto di un seminario incentrato sul testo religioso cinquecentesco Beneficio di Cristo, ma l’attività seminariale è anche, come emerge da questo libro, un lento disvelamento della fatica della ricerca e il racconto dei suoi tortuosi percorsi. Per ciò che riguarda i soggetti nuovi della ricerca storica scelti da Ginzburg si può pensare per esempio alla storia del mugnaio Domenico Scandella, processato e condannato dall’Inquisizione alla fine del Cinquecento raccontata in Il formaggio e i vermi, o a Storia notturna. Una decifrazione del sabba dedicato invece all’incrocio tra l’ossessione di un complotto contro la società e le credenze popolari a sfondo sciamanico.

La casa editrice Adelphi, che sta ripubblicando parte della sua opera con nuove e illuminanti annotazioni dell’autore, ha appena ristampato uno dei testi più importanti di Ginzburg, I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento. I benandanti che figurano nel titolo sono coloro che nascevano ancora avvolti nel sacco amniotico, i nati con la camicia, bambini baciati dalla fortuna sin dal momento in cui entravano nel mondo, ma sono anche persone afferenti a un culto pagano: i benandanti si caricavano del compito di difendere i raccolti e impedire che streghe e stregoni lo contaminassero o lo distruggessero, «sono prigionieri del mito che li costringe andare in sogno nei giorni delle quattro tempora a combattere con gli stregoni». Un culto che si rintraccia nel Friuli tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo e che Carlo Ginzburg ha conosciuto e studiato partendo dalle fonti dell’epoca e cioè dai documenti sepolti negli Archivi italiani, soprattutto nei registri giudiziari dell’Inquisizione, in quei secoli estremamente interessata a distruggere ogni deviazione dalla dottrina. Già la questione delle fonti apre però un’interrogazione complessa e ineludibile, perché responsabili di questi documenti sono i gruppi che stanno dalla parte del potere e quindi li si può pensare influenzati proprio da questo squilibrio: qual è il loro grado di veridicità? Quanto le conversazioni che vi sono riportate sono influenzate dal modo di pensare dei giudici e dal loro desiderio di zittire le voci discordi degli oppressi? Un modo per provare a rispondere a queste domande è proprio metodologico, e consiste cioè nel provare a conoscere la voce degli oppressi per secoli rimasta nel silenzio più assoluto. Ecco allora che questa ricerca documentaria accurata si rivela anche mezzo per dare voce, e giustizia, a chi non l’ha avuta quando era in vita.

In questo libro si trovano alcuni degli assi più importanti della ricerca di Ginzburg, come il rapporto tra il potere e la società o la necessità che ciclicamente è stata avvertita da chi esercitava il potere di crearsi dei nemici, dei capri espiatori su cui indirizzare la repressione. Protagonista del libro è lo scontro tra questi mondi, tra l’Inquisizione e i benandanti, tra uomini di chiesa come fra Felice da Montefalco o Vincenzino da Brescia e il bovaro di Latisana, Menichino della Nota o la «razza di stregone» Giovanni Sion. Nomi sconosciuti, sommersi dal corso della storia, voci di oppressi che per secoli sono rimaste affondate nel silenzio, ma che con il lavoro di Ginzburg hanno ritrovato lo spazio che la violenza nei loro confronti aveva provato a cancellare.

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