21 novembre 2023

ANNE SEXTON VISTA DA GISELLA BLANCO

 


ANNE SEXTON, IL CALICE DEL RINNOVAMENTO

Il rovesciamento del senso comune.

Le fiabe di Anne Sexton (Trasformazioni, a cura di Rosaria Lo Russo per La nave di Teseo) sono la riscrittura attualissima della favolistica classica in chiave contemporanea, se si considera il contemporaneo come un tempo che si auto-decontestualizza attraverso lo straniamento etico riprodotto nel linguaggio in modo quasi automatizzato, ma non ancora disumanizzato.

I prologhi ricorrenti, utilizzati da Sexton in esergo alle storie, innestano la peculiarità nella genericità, la soggettività autoriale – ma si può estendere il concetto anche a quella del lettore – nella prescrizione destinale di ogni narrazione, come se fosse l’esperienza privata – non meno scenografica di quella d’invenzione – a segnare le linee guida delle vicende e degli atteggiamenti dei personaggi immaginati – ma non, a ben vedere, immaginari.

Ripercorrere le tappe del mito o delle favole appare come un processo di demistificazione sociale, non della narrazione di fatti ed eventi, bensì dei funzionamenti interni, segreti, psicoanalizzabili secondo canoni che, lungi dall’omologare, lasciano che un senso onanistico di piacere innervi la sub patologia dei nostri tempi (che da quelli di Anne sono cambiati – considerando anche le necessarie differenze antropologico-geografiche, ma non così tanto).

Donne, amanti, nemiche per sempre?

La ferocia sarcastica e spudorata, senza apparenti freni inibitori, dei vari protagonisti delle scene narrative si condensa soprattutto – e non a caso – nelle figure femminili, madri, figlie, sorelle e amiche.

Lo scempio – proposto senza giudizio alcuno – che si perpetra nei rapporti interpersonali suggerisce lo scandalo occulto (e occultato) di una emancipazione della donna avvenuta per avventura, mai compiuta e, forse, mai del tutto consapevole e pienamente desiderata. Ed è questo uno dei nodi più struggenti e contraddittori della condizione femminile, della poesia confessionale e di moltissima letteratura sulle e delle donne.

Così, “Una donna/che ama una donna/resta per sempre ragazza”, e se l’obiettivo più o meno provocatorio è quello di “tenerle alla larga dai maschi”, il gioco “a mamme” rimane il più pericoloso, anche se “può essere superato”. Ciò che non può essere superato, però, è il bisogno di relazione, una relazionalità forse apparentemente dialogica ma intimamente egoica, pur sempre necessaria all’animale sociale: “Il mondo, dicono certuni,/è fatto a coppie./ Una rosa ha da avere un gambo”. Alla natura non si può comandare.

Non a caso, la curatrice e storica traduttrice italiana di Sexton, Rosaria Lo Russo, nel suo ultimo libro, Tande (Vydia Editore), con i suoi versicoli che sembrano sgorgare da un subconscio infuriato e diamantino per confluire nella coreografia scenica dell’esistenza nella storia, scrive: “Io odio mia madre/Mia madre odia me/Un’ecatombe colombiana”. Ed è la stessa natura magmatica e dismorfica – ma estremamente attraente – che sembra imporre a Sexton un compiaciuto erotismo finanche incestuoso (“sfilacciato”, come lo definisce Lo Russo in Anatema, per Effigie edizioni), presente in ogni relazione, e soprattutto in quelle filiali o tipicamente sacre (madre, padre, figli, sorelle, dio), per le quali la società non ammette altro che dedizione e auto-annullamento.

Dio, il sesso e la dis-educazione.

D’altronde, l’eccesso del dover essere, le aspettative sociali, i canoni eterodossi, i diktat religiosi oltranzisti e qualsiasi altro tipo di imposizione coattiva non possono che accendere la sregolatezza nel genio, l’abnormità nella quotidianità.

“Mrs. Sexton fu talmente religiosa e atea da suicidarsi”, scrive Lo Russo in “Poesie su dio” (Le Lettere). Non è, però, della sua morte – della sua mortalità (pure parte integrante e necessaria della sua opera-vita) che qui si parlerà, bensì della sua essenza di “Ragazza Cristica” che riporta la performance, la vivacità estrema, perfino nel suo gesto ultimo.

“Imbarazzante emblema di un modello di donna anticonvenzionale proprio perché persistente all’interno di borghesissimi apparati sociali: è moglie di un unico uomo, è madre di due figlie, oculata amministratrice della propria fortuna pubblica. Ma anche tormentata avversaria di se stessa che nell’alcool, nell’abuso di farmaci, nella passione erotica mai appagante, cerca plaghe di quiete da cui sembra allontanarsi passo dopo passo”, spiega in modo esaustivo Mariella De Santis nel saggio Nel regno delle api – Esperienza, allegoria e limite in Anne Sexton (Con la tua voce – Incontri con dieci grandi poetesse del Novecento, a cura di Gabriela Fantato per La vita felice)a proposito del ritratto psicologico-letterario da cui Sexton prova a sfuggire ma in cui, necessariamente, ricade come donna e come artista dell’America degli anni Sessanta. E, probabilmente, senza quelle ossessioni e quelle costrizioni, Anne non sarebbe stata così deflagrante e disturbante.

“L’uccello è importante, care mie, perciò tenetelo da conto” chiosa nel racconto di una Cenerentola che ottenne dalla sua bramata scarpetta d’oro un’ennesima prigione di cristallo. E non rimane che riflettere sul fatto che “senza la Torazina/o i benefici della psicoterapia” non si può andare molto lontano, o almeno così ci si racconta da quasi un secolo, secondo un meccanismo comportamentale in linea o perfino indipendente dallo sviluppo delle neuroscienze.

I linguaggi sconvenienti e necessari.

E se la vita reale è ben lontana dalle favole, che almeno le favole siano raccontate per bene: Lo Russo, così, decide di tradurre questa raccolta di Sexton attualizzando e italianizzando elementi oggettivi e linguaggio.

Il “Tonight show” diventa, saggiamente e con un pizzico di dovuta ironia, il Maurizio Costanzo Show, e il “Chuck Wagon dog food” diventa la Purina per cani (il cane è uno dei personaggi ricorsivi di Sexton, nonché “palindromo ossimorico” di dio in inglese, dog-god), così come “mother eye” diventa Mandrocchia, chiamando in causa l’assonanza con un impropero addolcito, seguito da “Two eyes” che diventa Duocchia per richiamare l’abitudine della favolistica italiana alla nominazione allitterativa o per omoteleuti, alla base delle nenie popolari italiane e, insieme, provincialissime). E, ancora, i verbi di ripetizione dell’azione come “Again she cried” e “Again the dwarf came” vengono resi nelle espressioni gergali, diffuse soprattutto nell’Italia centrale, “Aripiange” e “Aritorna il nano”.

Molte sono le espressioni della lingua parlata riportate nella traduzione, non solo forse per rendere credibile e verosimile il tentativo autoriale di condurre la narrazione al livello discorsivo della quotidianità ma, probabilmente, anche per parodizzarlo come in una specie di sagace pastiche della vita di tutti i giorni.

La politica rivoluzionaria della poesia.

Sexton sembra, d’altronde, mossa da un aristocraticissimo desiderio di indipendenza, pur essendo completamente calata in quella borghesia (apparentemente) benpensante e ben educata che, da sempre, sta stretta ai temperamenti più vivaci e sovversivi (si pensi, per esempio, e senza tralasciare le differenze di luoghi, tempi e singole rivendicazioni, a Marina Cvetaeva che ha scritto “il dovere e con la missione: battermi,-/sotto il fischio dello stolto e la risata borghese[1]”, o a Carol Anne Duffy che ha scritto “grida/politica – alla tua istruzione, salute, onestà; grida/Politica! – alla tua industria, iniziativa, prosperità; ruggisce/alla tua coscienza, sfera morale, verità, POLITICA POLITICA[2]” o, ancora, a Adrienne Rich: “Obbedisci alle piccole leggi e infrangi le grandi/è il prologo della loro costituzione./Anche sperare è saltare nell’ignoto,/sotto gli sguardi irrisori dello status quo[3]”).

L’estasi del pop impegnato.

Tra queste versioni grottesche e noir di diciassette tra le più famose e riconoscibili fiabe dei fratelli Grimm[4], un paio furono pubblicate, come racconta Lo Russo nella nota finale, in riviste insolite per la letteratura e, cioè, Cosmopolitan e Playboy, dando risalto alla vena spudoratamente pop dell’opera, già così celebre da essere anche rappresentata in teatro. Un’opera composta da testi altamente timbrici, con un assetto performativo marcato in cui il fervore delle tematiche intimistiche si unisce all’estasi della scrittura, disperazione e bellezza, pathos lirico ed elementi ultracontemporanei avallati e rinforzati dalla traduzione trasformistica e ricca di riferimenti extrapoetici della curatrice.

Prendete e mangiatene tutti.

Se il corpo, in particolare quello della donna, è centrale nella poetica di Sexton – un’ossessione mistica, un’offerta continua che crea sofferenza ma non si sottrae all’abuso sociale che si perpetra nei mille modi in cui la collettività osanna la schiavitù del femminile – è dallo stesso corpo che sgorgano vita, estenuazione, morte e i troppi sé che compongono l’individuo.

Il topos della dualità ricorre in due testi emblematici, Tremotino per le fiabe e Il Doppio nell’ipnotico Il libro della follia (sempre a cura di Lo Russo per La nave di Teseo), e richiama attesa e apprensione, una pazienza atavica alla convivenza dell’io proteiforme con sé stesso che diventa anche connivenza. È un Doppio che “prova a uscire”, “mostro di disperazione” e di “Decadenza” che “piange piange piange” ed esige ogni cosa, perfino il sacrificio definitivo, come è stato chiesto al figlio di dio: “non sono più una donna/di quanto Cristo fu un uomo”.

L’abbraccio strenuo, talvolta genuflesso ma fondativo con il padre-deità, un padre che venne “in candida erezione”, è rappresentato in modo paradossale da un testo riguardante una festa da ballo[5] in cui la madre di Sexton lasciò che la figlia danzasse con il padre. Padre e figlia erano “come due cigni solitari” mentre “quel serpente, beffardo, si destò al contatto,/si eresse come un grande dio” nella furia simbolicamente incestuosa e iconoclasta di una amabilità femminile e materna irraggiungibile.

Se la figura della madre (con aspetti e riferimenti marianici) e il modello muliebre rimasero per la poetessa un anelito inappagato quanto palinodico, è forse possibile, ancora oggi, intendere il verso “Noi tutti dobbiamo mangiare belle donne” come l’estremo sacrificio della donna (con un evidente seppur laicissimo riferimento alla cerimonia dell’eucarestia) per una ancora possibile consustanziazione tra il femminile e la collettività: “dolce peso/in celebrazione della donna che sono[6]”. Si parla dell’utero, naturalmente.

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[1] M. Cvetaeva, La via delle comete, a cura di Paolo Galvani, Interno Poesia.

[2] C. A. Duffy, Le api, a cura di Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere.

[3] A. Rich, Cartografie del silenzio, a cura di Maria Luisa Vezzali, con introduzione, cronologia e note di Massimo Bacigalupo, Crocetti.

[4] Per la cui traduzione l’autrice si è riferita alle Fiabe scelte e presentate da Italo Calvino nella traduzione di Claudia Bovero per Einaudi, nel 1970.

[5] A. Sexton, Il libro della follia, a cura di Rosaria Lo Russo, La nave di Teseo.

[6] A. Sexton, Poesie d’amore, a cura di Rosaria Lo Russo, Le Lettere.

 Articolo ripreso da:  https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/anne-sexton-il-calice-del-rinnovamento/


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