SCRITTURE OPERAIE
L'esperienza genovese 1970-2020: Pippo Carrubba, Francesco Currà,
Vincenzo Guerrazzi, Giuliano Naria.
Con un'antologia di testi.
A cura di Marco Codebò e Giorgio Moroni.
Introduzione di Giuliano Galletta.
Testi di Giuliano Galletta, Marco Codebò, Giorgio Moroni, Ignazio Pizzo,
Marino Fermo, Rosella Simone, Antonio Gibelli, Claudio Gambaro, Stefano A.
Bigazzi, Giovanna Lo Monaco, Sandro Ricaldone, Liliana Lanzardo, Augusta
Molinari
Il libro, a partire dai quattro autori analizzati riflette, in una
prospettiva nazionale e internazionale, sul rapporto tra la vita di fabbrica e
la comunicazione letteraria.
Nella Genova degli anni Settanta del Novecento, Pippo Carrubba (1938-2020),
Fancesco Currà (1947-2016), Vincenzo Guerrazzi (1940-2012) Giuliano Naria
(1947-1997), operai dell’Ansaldo Meccanico e dell’Italcantieri, iniziano a
scrivere testi letterari. Continueranno a farlo per tutta la vita. Con modi e
tempi diversi, legati alle particolari curve delle loro esistenze, produrranno
romanzi, inchieste giornalistiche, favole, racconti, memoirs. Questo volume
affronta l’esperienza di
questi scrittori attraverso l’analisi del contesto storico e culturale in
cui hanno operato, la ricostruzione delle loro biografie, e la presentazione di
un’antologia dei loro scritti.
Il contesto storico, nel senso più largo del termine, coincide con
l’esistenza stessa della classe operaia. Già dopo la rivoluzione del luglio
1830, come spiega Jacques Rancière nella “Nuit des prolétaires. Archives du
rêve ouvrier” (1981), appaiono operai parigini che decidono “di non sopportare
più l’insopportabile”, vale a dire “il dolore del tempo rubato ogni giorno per
lavorare il legno e il ferro”, e dedicano le notti a discutere, progettare,
scrivere. All’altro capo della storia, Xu Lizhi, operaio della Foxconn di
Shenzhen, un’azienda che conta sulle commesse di giganti come Apple, Motorola,
Samsung e Microsoft, traduce la sua storia nelle poesie pubblicate in
"Mangime per le macchine" (tradotte e pubblicate online in Italia a
cura dell’Istituto Onorato Damen nel 2010). Fra questi due estremi temporali,
altre esperienze di scrittura operaia emergono in contesti storici e culturali
molto diversi. Adelheid Popp racconta la sua vita di giovane operaia in “Jugend
einer Arbeiterin” (1909), mentre in “Tea Rooms. Mujeres Obreras” (1934), Luisa
Carnés Caballeros narra la sua storia di cameriera nelle sale da the della
Puerta del Sol; “A la ligne”, infine, è una testimonianza di sofferenza operaia
scritta da Joseph Ponthus nel 2018. Questi tre casi sono solo un campione
minimo della scrittura operaia in un quadro internazionale. Davanti ad un
contesto così ampio e variegato, si tratta di individuare alcune costanti nel
rapporto fra scrittura e lavoro operaio e verificarne la loro presenza nei
testi prodotti dai quattro operai genovesi di cui si occupa il libro.
Per quel che riguarda il contesto italiano si tratta da una parte di
considerare il percorso della narrativa italiana nel trattare la condizione
operaia e dall’altra di indagare le spinte culturali e politiche che nella
situazione degli anni Sessanta indirizzano ricercatori, sociologi e militanti
verso la raccolta di testimonianze operaie. Il quadro letterario è
caratterizzato dal ritardo del romanzo italiano nel mettere al centro della
rappresentazione il lavoro e la vita di operai e operaie. Renzo e Lucia
lavorano tutti e due in filanda ma di quel che fanno là non se ne sa niente nei
“Promessi sposi”. La situazione rimane tale fino agli anni Trenta, quando esce
“Tre operai” (1934) di Carlo Bernari e soprattutto fino al secondo dopoguerra
quando la narrativa neorealista, come anche il cinema, sceglie l’ambiente
proletario come il suo terreno d’azione privilegiato. Gli anni Sessanta
aggiungono a questo quadro d’insieme l’interesse politico verso la condizione
operaia, con le inchieste in cui ricercatori come Danilo Montaldi, Raniero
Panzieri, Romano Alquati vanno a scoprire la fabbrica attraverso la
partecipazione attiva dei soggetti operai, la cui voce inizia così a
depositarsi sulla pagina. In fondo a questo percorso c’è Nanni Balestrini:
“Vogliamo tutto” (1971) è un romanzo a due voci, quella dello scrittore
affiancata da quella del protagonista Alfonso Natella, operaio della Fiat.
Natella diventerà poi scrittore in proprio scrivendo, alcuni anni dopo,
“Come pesci nell’acqua inquinata “(1978). Ma qui siamo ormai quasi arrivati
ai nostri scrittori. L’ultimo elemento da inserire nella miscela di fattori che
stanno alla base della loro pratica è proprio il protagonismo operaio nelle
lotte di fabbrica e di territorio iniziate nell’autunno del 1969; quelle lotte
che Balestrini e Natella raccontano in “Vogliamo tutto”.
Come entra la miscela di elementi appena accennati nei testi dei quattro
scrittori operai al centro del volume? Il libro risponde scrittore per
scrittore e testo per testo, scoprendo sia i fattori comuni sia i tratti
espressivi e culturali che invece appartengono solo all’individualità di chi
scrive. Com’è ovvio, si è cercato anche di evidenziare i momenti di superamento
del contesto, quando la scrittura trascende le condizioni della propria
produzione e sia avvia in direzioni originali. Ultimo, ma non meno importante,
compito è stato la raccolta di dati e documenti – che diventeranno patrimonio
dell'Archivio e fonti per nuove ricerche – attraverso l’inchiesta sulle singole
biografie, intorno alle esperienze scolastiche, le pratiche di lettura, le
biblioteche personali e le abitudini di scrittura di ognuno dei tre scrittori.
PUBBLICATO DA VENTO LARGO
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