Fotogrammi di Maria Callas in Medea di P. P. Pasolini
Una bella riflessione sul tema della vita e della morte.
Piero Stefani
L’ uomo è anche spirito
Che cosa avvenga a un essere umano quando i suoi occhi si chiudono
all’esistenza terrena è domanda che non trova risposta nell’esperienza
di alcun vivente. Si tratta di un’affermazione talmente scontata da
risultare dicibile solo se sostenuta da qualche richiamo culturale
evocando «il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun
viaggiatore ritorna»; forse, per essere più amletici di Amleto, perché
quel paese semplicemente non c’è. Tuttavia quando, sgombrate le
impalcature psicologiche e le convenzioni sociali, si è assaliti nel
proprio intimo da «questo problema», esso è posto pensando a se stessi o
a chi ci è caro, e non a Shakespeare.
Per qualcuno l’interrogativo trova risposta certa; per altri invece
l’aldilà resta, per dirla con Rabelais, il «grande forse». Si tratta di
un pensiero non estraneo neppure alla Bibbia. Anche nel libro sacro
qualche volta le domande prevalgono sulle risposte. Per il Qohelet
(3,21) è certo che tutti ci incamminiamo verso la polvere, mentre è
problematico se la ruach (come tradurre? «spirito», «alito vitale»,
«soffio»?) dell’uomo salga verso l’alto e se quella delle bestie
sprofondi verso il basso. «Forse», «chissà».
La prospettiva, per qualcuno, può suonare anomala e consegnabile
soltanto a un libro strano come il Qohelet . Un’eccezione, o forse una
concessione che dice allo scettico: guarda che nella Bibbia c’è un
angolino anche per te. In effetti nella Scrittura ci si imbatte anche in
risposte, tuttavia esse non sono univoche. Una prospettiva però è
certa: la domanda sul «dopo» si collega con quella relativa
all’«origine».
In una delle prime pagine della Bibbia si legge che «il Signore Dio, dopo aver plasmato l’uomo con la polvere del suolo, gli soffiò nelle narici un alito di vita ( nishmat chayyim ) e l’uomo divenne vivente ( nefesh chayiah )» ( Genesi 2,7). In Occidente c’è una memoria lunga del fatto che il «biologico» non trovi in se stesso la spiegazione della propria origine e debba, quindi, rimandare a un alito di vita primordiale che viene dal di fuori. Tracce di simili convinzioni si riscontrano persino nelle righe finali dell’ Origine delle specie di Charles Darwin.
L’antropologia biblica non conosce il dualismo anima-corpo. In essa non
c’è spazio per la visione del neoplatonico Celso, secondo la quale
l’anima è opera di Dio mentre in base alla natura non c’è differenza tra
la nostra corporeità e quella di un pipistrello, di un verme o di una
rana. Di norma nella Bibbia ci si riferisce a una concezione tripartita e
relazionale dell’essere umano articolata in tre dimensioni: carne
(ebraico, basàr; greco sarx ), anima (ebraico, nefesh ; greco, psyche ),
spirito (ebraico, ruach ; greco, pneuma ).
Altrettanto consueto è affermare che l’essere umano è (non ha) carne,
anima e spirito. Visto nella prospettiva della sua caducità è «carne»,
colto nel suo affermarsi come essere vitale è «anima», scorto nella sua
dimensione relazionale con l’altro da sé — a iniziare da Dio — è ruach
(in questo caso intesa come spirito e non come respirazione). È dunque
solo lo spirito a distinguere gli esseri umani dagli altri animali?
Nella cultura occidentale la comunanza genetica tra uomini e animali è
letta, ormai da quasi due secoli, eminentemente in chiave evolutiva: noi
deriviamo da loro. Questa precedenza oggi viene a volte interpretata
come indice di un cammino ancora da percorrere per gli uni e per gli
altri. Di quest’ultimo parere è il teologo e analista junghiano Eugen
Drewermann il quale, nel suo piccolo saggio Sull’immortalità degli
animali (Castelvecchi, 2013), sostiene che, in base ai risultati
raggiunti dalla psicoanalisi e dall’etologia, non è possibile respingere
l’idea che uno solo sia il flusso vitale che dapprima ha reso possibile
il nostro diventar uomini a partire dal mondo animale e che ora
continua a svilupparci come esseri umani. Quella comune appartenenza,
che in altre culture si esplica nella generale partecipazione al ciclo
senza fine delle reincarnazioni, qui viene riferita a una forza
evolutiva spirituale destinata a dar luogo a una universale quanto
immediata immortalità. A lungo la fede nata dalla Bibbia è stata, però,
vissuta secondo parametri diversi da quelli prospettati da Drewermann.
La morte individuale intesa come evento unico e irripetibile è una
eredità biblica passata alla civiltà occidentale; ciò non equivale
affatto a sostenere che questo solco sia indelebile; al giorno d’oggi ci
sono anzi molti segni che vanno in direzione opposta. In ogni caso,
fino a quando si tiene ferma l’unicità della morte, la riacquisizione
vitale della pienezza umana è obbligata a presentarsi come una
riappropriazione del sé compiuta in virtù della forza esterna dello
spirito. Esso però deve trovare una corrispondenza interna capace di
recepirlo. Lo snodo è tutto qua. Occorre una forza che viene dal di
fuori capace di relazionarsi con noi e noi con essa. A tutto ciò il
lessico biblico diede il nome di ruach o di pneuma.
Vito Mancuso, in un suo libro intitolato Questa vita (Garzanti, 2015),
afferma che, come tutti gli altri corpi fisici, anche il nostro
organismo è energia+informazione. A differenza di tutti gli altri
esseri, quelli umani si articolano però su tre livelli: corpo, psiche e
spirito. Siamo corpi al pari delle pietre, siamo anima al pari degli
animali (l’etimo qui non è ingannevole); tuttavia la vita umana,
allorché energia e informazione producono un’ulteriore crescita, attinge
a un terzo livello tradizionalmente denominato «spirito».
Il grande displuvio tra la concezione biblica e quella evolutiva sta nel
fatto che per la Scrittura la ruach è non già un potenziamento interno,
ma una forza che viene al vivente dall’esterno. Essa, lungi dall’essere
un prodotto potenziato di energia+informazione, va piuttosto paragonata
all’alito di vita insufflato all’inizio. Lo spirito è una realtà posta
al principio e alla fine dell’esistenza terrena. Quando parla dell’«uomo
vivente» la Bibbia parla di una creazione diretta non mediata da alcuna
evoluzione (affermazione, quest’ultima, che solo i fondamentalisti
ritengono risolutiva del tema teologico incentrato sui rapporti tra fede
e scienza).
il Corriere della sera /La Lettura – 7 febbraio 2016
Ogni emozione non ascoltata lascia un segno sul corpo..
RispondiEliminase non ascolti la tua insoddisfazione lei ti parla con il mal di testa
se non ascolti la tua rabbia lei ti parla con la gastrite
se non ascolti la tua paura lei ti parla con la stipsi
se non ascolti la tua voglia di dire “no” lei ti parla con un nodo allo stomaco
se non ascolti la tua passione lei ti parla con un’infiammazione vaginale
se non ascolti la tua creatività lei ti parla con le oscillazioni di peso
se non ascolti la tua affettività lei ti parla con una dermatite
se non ascolti la tua spiritualità lei ti parla con un corpo che non sente
il corpo è lo specchio della nostra anima…
(Simona Oberhamme