Esce in nuova edizione
“Il 18 brumaio” capolavoro dell'analisi politica di Marx.
Un’analisi della degenerazione della democrazia parlamentare
ottocentesca utile anche per indagare i fenomeni politici
contemporanei.
Francesco Marchianò
In tragedia e in
farsa, la storia che raddoppia e non conclude
Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (Editori Riuniti, pp. 248, euro 18,00) è, certamente, uno dei testi più originali di Marx nel quale l’analisi materialistica della storia è connessa a quella politica. In quest’opera, dedicata agli avvenimenti che dal 1848 al 1851 modificarono il sistema politico francese e lo fecero transitare da una repubblica all’impero, dopo il colpo di stato di Luigi Bonaparte, Marx si distinse per essere un attento studioso delle dinamiche giuridiche, politiche, economiche e sociali, compiendo una precisa analisi sistemica.
Scritto dal dicembre 1851
al marzo 1852, inizialmente per il settimanale Die Revolution, edito
a New York dall’amico editore Weydemeyer, l’opera subì diverse
vicissitudini e solo nel 1869 comparve ad Amburgo una seconda
edizione europea, dopo che in passato in tentativi di darne
diffusione nel continente erano falliti.
In Italia è da poco comparsa per Editori Riuniti una nuova edizione affidata alla cura di Michele Prospero che, in una densa e raffinata introduzione, non solo offre le necessarie chiavi di lettura per comprendere meglio l’opera, ma ne attualizza in maniera impeccabile la portata. Ne escono, così, fuori due testi in uno che è molto fruttuoso leggere insieme.
Il testo di Marx brilla da diversi punti di vista, non ultimo per lo stile letterario e la coniazione di alcune frasi rimaste poi celebri, come quella della storia che si ripete due volte, prima come tragedia, poi come farsa, con la quale si apre il volume. Oppure per il «cretinismo parlamentare», malattia diagnostica ai difensori della repubblica che abusando dei trucchi e delle imboscate in aula non facevano altro che screditare il parlamento che volevano difendere.
L’aspetto essenziale
che caratterizza l’opera, tuttavia, è l’analisi contestuale che
indaga tutti i fattori che intervengono in un cambio di regime o,
diremmo oggi con un lessico più moderno, in una transizione. È cioè
la spiegazione di come la repubblica, non riuscendo a trovare gli
ancoraggi necessari al suo consolidamento nella società francese,
produsse come esito il successo di una leadership personale che portò
a un’altra forma di dominio politico.
Nella lettura compiuta da Marx si colgono perfettamente le cause di questo passaggio che non sono da attribuire al magismo del capo, al suo carisma, ma al concatenarsi di elementi esterni. Come spiega Prospero, «esistono condizioni politiche e sociali di fondo il cui degrado spiega anche l’emergere di tendenze carismatiche pronte a sfruttare le fragilità del sistema sottoposto allo stress della partecipazione politica di milioni di elettori».
Marx mette in luce tutti gli elementi essenziali che intervengono in questa dinamica. A cominciare da quelli giuridico-politici, dati dalle contraddizioni della costituzione, dal carattere limitativo della legge ordinaria rispetto ai diritti enunciati in essa, dal conflitto potenziale tra l’assemblea e il presidente della repubblica. In questa situazione di perenne incertezza veniva meno un elemento essenziale dato dalla legittimità che richiedeva il sistema, specialmente dopo l’allargamento del suffragio. Occorreva cioè trovare nel sociale la base di sostegno del politico.
È ciò che è mancato alla repubblica che finì per non includere affatto le masse. Anzi, proprio questa «asimmetria tra forte apparato statale e debolezza della società civile», secondo Prospero, è l’espressione peculiare del bonapartismo.
Luigi Bonaparte, invece,
lungi dal non avere un radicamento sociale, si manifesta, secondo le
parole di Marx, come il rappresentante di «una classe, anzi della
classe più numerosa della società francese, i contadini piccoli
proprietari», una «classe a metà» i cui appartenenti sono tra
loro isolati, ma condividono situazioni di forte miseria che li
mettono contro le altre classi sociali. Non avendo la capacità di
far valere i propri interessi, essi hanno bisogno di farsi
rappresentare da qualcuno che appare loro come un «padrone», «come
un potere governativo illimitato, che li difende dalle altre classi»;
ne consegue che «l’influenza politica del contadino piccolo
proprietario trova quindi la sua ultima espressione nel fatto che il
potere esecutivo subordina la società a se stesso».
L’analisi contenuta nel 18 brumaio rimane perennemente attuale per indagare i fenomeni politici contemporanei poiché fornisce tutte le categorie necessarie per comprendere cosa succede nei momenti di debolezza del sistema politico. Essa può essere utile anche per interpretare le dinamiche che coinvolgono il nostro Paese dove il continuo tentativo di riforma della costituzione, l’incertezza del sistema, la scarsa legittimazione sua e dei suoi attori, il consolidarsi di interessi e forze private, può sempre consentire, volendo usare le parole di Marx, «a un personaggio mediocre e grottesco di fare la parte dell’eroe».
il manifesto – 30
gennaio 2016
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