150 anni fa nasceva
Benedetto Croce, un filosofo forse un po' frettolosamente messo da
parte dopo le scorpacciate che ce ne hanno fatto fare fino agli anni
'60. Un personaggio interessante per molti aspetti, come il rapporto
intessuto con Einstein. Per non parlare dell'influenza decisiva che ha avuto nella formazione del pensiero di Antonio Gramsci.
Vincenzo Barone
Croce e il suo amico
Einstein
«La gente si lamenta che la nostra generazione non abbia filosofi. Non è assolutamente vero: solo che i filosofi, oggi, stanno in un’altra Facoltà, e si chiamano Planck e Einstein». Così si esprimeva nel 1911 un illustre intellettuale tedesco, il teologo e storico Adolf von Harnack, nel suo discorso di insediamento alla presidenza della Società Kaiser Wilhelm.
Il dominus del pensiero nostrano, Benedetto Croce, era di parere opposto: riteneva che gli scienziati dovessero fare il loro mestiere – cioè «maneggiare e classificare» –, senza intromettersi in faccende riguardanti la filosofia e il «vero». In quello stesso 1911, il matematico Federigo Enriques organizzò a Bologna il IV Congresso Internazionale di Filosofia. Chiamò a parteciparvi i più importanti filosofi dell’epoca, ma anche grandi scienziati come Peano, Poincaré, Langevin (quest’ultimo, dovendo parlare di relatività a una platea di umanisti, introdusse proprio in quell’occasione il cosiddetto «paradosso dei gemelli»).
Croce presenziò con un certo fastidio alle sessioni del congresso. Durante il viaggio di ritorno, rilasciò una famosa intervista in cui, senza mezzi termini, accusava Enriques di incompetenza e di dilettantismo filosofico. «Si addossa le fatiche dei congressi dei filosofi, meritorie quanto sarebbero meritorie e disinteressate le mie, se organizzassi congressi di matematici», disse. Enriques, però, era uno storico e filosofo della scienza di prim’ordine, mentre la matematica di Croce non andava oltre le quattro operazioni. Né il pensatore napoletano riteneva opportuno approfondire le scienze astratte ed empiriche, alle quali non attribuiva valore conoscitivo.
Einstein con Enriques a Bologna nel 1921
Ancora nel 1951 (quando
ormai la rilevanza concettuale delle scoperte scientifiche del
Novecento era incontestabile), parlava di una «tranquilla
rivoluzione filosofica» compiutasi nella prima metà del secolo, che
sarebbe consistita nel fatto che «le scienze naturali e le
discipline matematiche, di buona grazia hanno ceduto alla filosofia
il privilegio della verità ed esse rassegnatamente, o addirittura
sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e
di pratica utilità, che non hanno niente a che vedere con la
meditazione del vero».
Com’era scontato, Croce non avvertì il bisogno di esprimere un’opinione sulla teoria della relatività, neanche quando, nei primi anni Venti, in occasione della venuta in Italia di Einstein (su invito proprio di Enriques), molti altri filosofi italiani (per esempio, Antonio Aliotta, Annibale Pastore, Francesco Orestano) ritennero di pronunciarsi. Ruppe parzialmente il silenzio solo nel 1929, in un breve scritto di commento a un libro dello studioso tedesco Alexander Maria Fraenkel, Le scienze naturali nella filosofia di Benedetto Croce (tradotto per Laterza solo nel 1952).
Convinto
dell’impossibilità di principio di una filosofia della natura,
Croce si diceva scettico riguardo al tentativo, attuato da Fraenkel,
«di dimostrare che il progresso della scienza, che sarebbe
rappresentato soprattutto dalla dottrina della Relatività, ha
importanza filosofica e trasforma profondamente la vecchia scienza
fisica e naturale, rendendo possibile per la prima volta in questo
campo, non il semplice ordinamento classificatorio dell’esperienza,
ma il giudizio dell’individuale, affatto analogo al giudizio
storico a cui mette capo la Filosofia dello spirito». «Non oso
decidere - aggiungeva retoricamente - se abbia ragione esso
[Fraenkel] o l’Einstein con gli altri matematici e fisici della
nuova scuola; esso che chiama filosofiche le loro scoperte e filosofi
quegli scienziati; quelli che protestano contro l’interpretazione
filosofica delle loro escogitazioni».
Croce era nel giusto
quando respingeva come priva di senso l’interpretazione
soggettivistica della relatività, ma lo faceva solo per difendere la
purezza dell’idealismo, visto che considerava i concetti della
teoria einsteiniana, come tutti i concetti scientifici, nient’altro
che «pseudogiudizi riferiti a una fictio». Del tutto infondato,
poi, era l’agnosticismo filosofico che pretendeva di attribuire al
padre della relatività: con buona pace di tutti gli idealisti, era
stato Einstein – assieme ad altri fisici come Schrödinger,
Heisenberg, Dirac - a compiere la vera (e non così tranquilla)
rivoluzione filosofica del Novecento.
Croce e Einstein non potevano evidentemente incontrarsi sul terreno della scienza e della filosofia, ma trovarono elementi di intesa e di stima reciproca nel campo della politica e degli ideali civili. I due si conobbero a Berlino nel 1931, scoprendo di condividere lo stesso sentimento di preoccupazione per le sorti dell’Europa. Anni dopo, nel 1940, quando la tragedia della guerra si stava già consumando, contribuirono entrambi a un volume sulla libertà (Freedom: its meaning), edito a New York, che raccoglieva gli interventi di molti altri grandi intellettuali dell’epoca.
Nel 1944, all’indomani
della liberazione di Roma, Einstein inviò a Croce una lettera di
stima e di incoraggiamento per l’importante ruolo che il filosofo
stava svolgendo nella ricostruzione della democrazia italiana (la
lettera, assieme alla risposta di Croce, fu pubblicata dapprima in
opuscolo e poi nella raccolta crociana Pagine Politiche, Laterza,
1945). «Mi consolo – scriveva il grande fisico – nel pensiero
che Ella è ora presa da occupazioni e sentimenti incomparabilmente
più importanti, e particolarmente dalla speranza che la sua bella
patria sia presto liberata dai malvagi oppressori di fuori e di
dentro».
E proseguiva: «La
filosofia e la ragione medesima sono ben lungi, per un tempo
prevedibile, dal diventare guide degli uomini, ed esse resteranno il
più bel rifugio degli spiriti eletti; l’unica vera aristocrazia,
che non opprime nessuno e in nessuno muove invidia, e di cui anzi
quelli che non vi appartengono non riescono neppure a riconoscere
l’esistenza».
Croce rispose cordialmente, dicendo di aver dovuto prendere temporaneo commiato da quel mondo spirituale di cui parlava Einstein, per partecipare direttamente alla vita politica e allo sforzo collettivo per la rinascita del paese. La filosofia, osservava, «è un’azione mentale, che apre la via, ma non si arroga di sostituirsi all’azione pratica e morale, che essa può soltanto sollecitare». Alla fine della lettera, si scusava con l’illustre amico per essersi dilungato in ragionamenti: «Naturam expelles furca, tamen usque recurret» («Potrai scacciare la natura con la forca, ma essa ritornerà sempre»), scriveva, citando Orazio e riferendosi alla natura del filosofo, «che distingue e teorizza». La stessa massima, ironicamente, potrebbe applicarsi al suo spiritualismo: scacciata dalla forca del Filosofo, la Natura finisce sempre per tornare.
Il Sole 24 Ore – 28
febbraio 2016
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