Come la Chiesa inventò
il Purgatorio e la possibilità di andare in Paradiso anche per i
peccatori. Pagando, si intende. Esce ora un libro interessante, ma
non è una novità. Ne aveva già diffusamente trattato Le Goff
all'inizio degli anni Settanta con il suo bellissimo saggio “La
nascita del Purgatorio”.
Marco Rizzi
L’aldilà
«democratico» che fece della Chiesa una potenza economica
Verso la fine del VII secolo, il vescovo di Toledo, Giuliano, compilò una vasta antologia di testi degli antichi Padri della Chiesa latina sul destino dell’anima dopo la morte. Il suo intento era confortare un amico malato, Idalio vescovo di Barcellona, che sentiva prossimo l’arrivo della fine. Nei fatti, il Prognosticon futuri saeculi , che si traduce con «Preannuncio del mondo che verrà», divenne uno dei testi più conosciuti e diffusi nel Medioevo.
Raccogliendo pagine dagli
scritti di Cipriano, vescovo di Cartagine alla metà del III secolo,
di Agostino, di Gregorio Magno e di altri ancora, Giuliano di Toledo
si sforza di offrire risposte coerenti alle domande che angosciavano
i cristiani dei suoi giorni: cosa accade all’anima quando si muore?
Le anime dei defunti rimangono in rapporto con le cose di questo
mondo? E soprattutto, cosa accade nel lungo intervallo di tempo che
separa il momento della morte individuale dal giorno, terribile ma
ancora lontano, del Giudizio universale, quando si consumerà il
destino irreversibile di ciascuno e l’anima sarà restituita al
corpo rigenerato per la beatitudine o la condanna eterna?
Proprio dall’antologia di Giuliano (che si può leggere nella recente traduzione di Tommaso Stancati per l’Editrice Domenicana Italiana di Napoli) prende avvio il saggio di Peter Brown Il riscatto dell’anima (Einaudi), che ripercorre il formarsi dell’immaginario escatologico del cristianesimo occidentale tra il III e il VII secolo, assumendo però un punto di vista particolare: quello del rapporto tra le ricchezze di quaggiù e il destino delle anime di lassù, se si vogliono utilizzare le parole di Gesù che, nel Vangelo di Luca, ammonisce a vendere ciò che si possiede e darlo in elemosina per costruire un tesoro nei cieli.
Nel mondo antico, la gloria dell’immortalità era riservata solo a pochi spiriti eletti, i filosofi, i grandi legislatori, gli eroi; la morte non cancellava, anzi in qualche misura ribadiva, la gerarchia sociale presente sulla Terra. Il cristianesimo introduce invece quella che Brown definisce una «democrazia delle anime», anzitutto riconoscendo a ciascun uomo, a prescindere dalla sua condizione, una propria natura spirituale, testimoniata appunto dall’anima individuale; poi, assegnandole la possibilità di guadagnarsi la salvezza e conseguire così l’immortalità.
Se nei primi tre secoli
la condizione di marginalità o addirittura di persecuzione rendeva
la scelta stessa di essere cristiani meritevole della ricompensa
celeste nel giorno del Giudizio, o addirittura nel caso dei martiri
nel momento stesso della morte, a partire dal IV secolo il problema
inizia a porsi in termini profondamente diversi. Agostino non si
preoccupa di chi è veramente buono (i martiri e i santi) o di chi è
intrinsecamente malvagio: i primi godranno del paradiso, i secondi
sono destinati all’inferno. Ma che dire di coloro che non sono né
abbastanza buoni, né abbastanza cattivi, ovvero della grande
maggioranza dei cristiani comuni? Come potranno purificarsi dai loro
peccati, una volta defunti e in attesa del Giudizio?
Proprio intorno a interrogativi del genere si determina un significativo cambiamento nell’uso cristiano della ricchezza. Fino a questo momento, l’elemosina elargita ai poveri serviva al credente per obbedire al comando di Gesù e prepararsi un posto in cielo. Ora, invece, l’anima del defunto resta bisognosa anche nell’aldilà: beneficare i poveri sulla Terra contribuisce a riscattare le anime nei cieli.
Così la Chiesa assume un
ruolo centrale nella gestione della ricchezza, a mezzo tra cielo e
terra. I beni offerti per il sostentamento degli indigenti o per
l’edificazione degli edifici di culto rappresentano una sorta di
cambiale che il donatore, ricco o meno che sia, potrà incassare dopo
la sua morte sotto forma di preghiere e di intercessioni; a sua
volta, la Chiesa si fa garante della conservazione e del corretto uso
dei beni ricevuti, che divengono un vero «patrimonio dei poveri».
Naturalmente in questo processo si intrecciano in forma tutt’altro che lineare dibattiti teologici, mutamenti culturali, trasformazioni sociali. Ancora alla fine del VI secolo, l’idea antica secondo cui l’immortalità era riservata alle anime elette, questa volta però martiri e santi, riemergeva nelle parole di un membro del clero di Tours secondo cui nel caso dei peccatori — ovvero della stragrande maggioranza dei cristiani — andavano prese alla lettera le parole rivolte da Dio ad Adamo: «Polvere sei e polvere ritornerai». Nessuna offerta, nessuna preghiera poteva redimere le anime comuni. Ma era ormai aperta la strada che avrebbe portato ai grandi possedimenti ecclesiastici, alla comparsa del purgatorio, nella seconda metà del XII secolo, e «alla somma Divina Commedia di Dante Alighieri» — conclude Brown.
Il Corriere della sera –
7 febbraio 2016
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