Ripropongo l'articolo dell'amica Amelia Crisantino pubblicato sulle pagine palermitane di Repubblica lo scorso 23 gennaio, in occasione della proiezione in anteprima del film documentario GRAMSCI 44 di cui abbiamo parlato in un precedente post http://cesim-marineo.blogspot.it/2016/01/un-docu-film-su-gramsci-e-bordiga-ustica.html
Dispiace notare che tutti sembrano aver dimenticato che la sceneggiatura di questo film deve tanto a Giuliana Saladino che, in due articoli pubblicati da L' Ora nell'aprile del 1967, aveva per prima ricordato i 44 giorni passati da Gramsci a Ustica. fv
Gramsci a Ustica una rivoluzione lunga 44 giorni che segnò l'isola
di AMELIA CRISANTINOQuarantaquattro giorni a Ustica da confinato, dal 7 dicembre 1926 al 20 gennaio 1927, che diventano l'ultimo periodo sereno della sua vita: al soggiorno usticese di Antonio Gramsci viene adesso dedicato "Gramsci 44", docu-film prodotto dalla Ram Film con la regia di Emiliano Barbucci, proiettato alle 20.30 in anteprima con ingresso gratuito alla sala De Seta dei Cantieri culturali della Zisa.
Emiliano Barbucci, giovane calabrese laureato al Dams di Cosenza, si imbatte in Gramsci quasi per caso. Era il 2008, lui lavorava nelle isole minori con un gruppo di antropologi. Intervistando i pescatori di Ustica nota i frequenti riferimenti ai "compagni": basta qualche domanda per scoprire la tradizione di sinistra degli isolani, il loro legame con una vicenda ancora portatrice di un messaggio eticamente forte. Per Barbucci, la decisione di affidare a un film una memoria storica dall'alto valore sociale è immediata. Poi sono arrivate le collaborazioni con l'Istituto Gramsci siciliano, con il Comune e il Centro Studi di Ustica; la scrittura della sceneggiatura con Emanuele Milasi; l'accesso al cofinanziamento della regionale Sicilia Film Commission e finalmente le riprese a Ustica durate tre settimane, il lavoro con gli attori – per tutti, ricordiamo Peppino Mazzotta (l'ispettore Fazio del Montalbano televisivo) nella parte di Gramsci – e i tecnici, fra cui Daniele Ciprì per la fotografia e Maria Adele Cipolla per i costumi. Una lunga gestazione e un profilo low-budget per un'opera ibrida come il docu-film, che fonde il linguaggio della finzione scenica con quello della ricerca storica.
"Gramsci 44" racconta di un riscatto attraverso la cultura. Nel 1926 Antonio Gramsci ha 35 anni ed è il principale esponente del Partito comunista: sarebbe bastata una sua decisione per mettersi al riparo in uno dei centri che il partito aveva organizzato all'estero. Ma prende sempre tempo, c'è sempre qualcosa di più urgente da fare. Due anni prima era stato eletto deputato nella circoscrizione del Veneto, alla sua compagna Giulia ha scritto: «Quando penso che sotto il controllo dei bastoni tremila operai e contadini hanno scritto il mio nome, giudico che una volta tanto l'essere deputato ha un valore e un significato».
In Italia si sta completando l'edificio dello stato totalitario: il 6 novembre 1926 vengono approvate leggi "fascistissime" che prevedono il confino per gli oppositori. Gramsci ha deciso di essere presente alla seduta della Camera prevista per il 9 novembre per denunciare le leggi liberticide. Viene però arrestato la sera dell'8 novembre, è portato a Regina Coeli dove resta in isolamento per sedici giorni. Gli viene comunicata la condanna a cinque anni di confino, la destinazione è ancora ignota. Comincia il viaggio verso Sud, su un treno accelerato e con le manette ai polsi, legato con una catena agli altri condannati. A Palermo lo portano «in un cameroncino molto pulito e arieggiato con una bellissima vista sul monte Pellegrino », apprende che la sua destinazione è Ustica: la parte più difficile è la traversata, coi condannati sempre ammanettati e legati l'uno all'altro, col vaporetto che non resiste al mare agitato e per quattro volte torna indietro.
A Ustica, Gramsci trova casa assieme ad altri cinque confinati, individua subito l'unico obiettivo possibile: «Non abbrutirsi e giovare agli altri». L'isola ha 1.600 abitanti, sono persone gentili ed è permesso avere contatti con loro. Ma la più evidente delle caratteristiche isolane è la colonia penale con i suoi seicento coatti, criminali comuni che hanno subìto più condanne: ricevono quattro lire al giorno dal governo, vivono denutriti e in ozio forzato, molti sono alcolizzati. I trenta confinati politici sono l'élite della popolazione carceraria e Gramsci ha parole di grande pena per i coatti «presi in un girone infernale che dura all'infinito».
A Pietro Sraffa, suo grande amico sempre pronto ad aiutarlo, Gramsci scrive che il soggiorno a Ustica è abbastanza piacevole: l'unico mezzo di locomozione è l'asino, l'inverno è mite e lui fa lunghe passeggiate fra «paesaggi amenissimi e visioni marine». Si sente bene, vuole continuare a lavorare. Fra gli altri confinati politici ha ritrovato il napoletano Amedeo Bordiga, lo coinvolge nell'organizzazione di una scuola pensata per i confinati ma aperta a tutti: Sraffa fornisce i libri, Bordiga dirige la sezione scientifica e Gramsci quella storico-letteraria trasformandosi in alunno per i corsi di tedesco.
Il 2 gennaio scrive che la scuola viene frequentata con grande diligenza e attenzione anche da alcuni funzionari e abitanti dell'isola, ed è una scuola in piena regola, con corsi di livello elementare e di approfondimento.
L'arrivo dei confinati ha modificato la vita isolana. Gramsci ha capovolto l'assenza di libertà determinata dal regime creando una comunità che è quasi un esperimento utopico dove cultura e politica sono inseparabili. Fra i confinati ci sono dei tecnici, in una delle sue lettere Gramsci scrive: «Si sta combinando per impiantare la luce elettrica». E l'orologio del campanile, fermo da sei mesi, viene riattivato in due giorni. Poi, il 14 gennaio 1927 il Tribunale di Milano spicca un mandato di cattura e di nuovo Gramsci viene arrestato per essere trasferito nel carcere milanese di San Vittore. Prelevato dai carabinieri inizia un terribile viaggio in "traduzione ordinaria": incatenato e febbricitante, per diciannove giorni va da Palermo a Milano con fermate in ogni carcere. Ha ancora la forza di tentare di strappare un sorriso alla moglie e alla cognata, scrive: «Immaginate che da Palermo a Milano si snodi un immenso verme, che si compone e decompone continuamente, lasciando in ogni carcere una parte dei suoi anelli, ricostruendone di nuovi, vibrando a destra e a sinistra…». Iniziava un decennio di sofferenze nelle carceri fasciste, che si sarebbe concluso con la morte nel 1937.
Articolo di Amelia Crisantino pubblicato su Repubblica Palermo del 23 gennaio 2016
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