Giacomo De Michele
Il potere a rischio di
scompiglio
La pubblicazione degli
ultimi corsi e alcuni convegni hanno reso densa la bibliografia
critica su Michel Foucault: dai volumi collettivi Usages de
Foucault e Marx & Foucault a Le sujet des normes
di Macherey, dalla monografia di Chignola Foucault oltre
Foucault ai capitoli foucaultiani di Confini e frontiere di
Mezzadra e Neilson e di La razón neoliberal. Economía barrocas
y pragmática popular di Verónica Gago. Prova a staccarsi da
questo panorama il volume curato da Daniel Zamora Critiquer
Foucault. Les années 1980 et la tentation néolibérale (edizioni
Aden, Paris), che si propone di svelare, attraverso la comprensione
degli «anfratti più ambigui della gauche intellettuale», una
compromissione con il pensiero neoliberale di Foucault nel suo
«ultimo periodo di lavoro», che sarebbe «relativamente poco
sottolineata e spesso ignorata», e che sarebbe un significativo
indice della deriva della gauche post-68.
Pezzi scelti
In verità, è curiosa la descrizione di un Foucault misconosciuto in un volume del quale sono parte preponderante Michael C. Behrent, Michael S. Christofferson e Jan Rehmann, dei quali le critiche a Foucault sono note da anni: tant’è che buona parte del volume è costituito da testi già pubblicati lo scorso decennio, o riscritture di cose già dette. Vale a dire: testi che precedono non solo il «Foucault greco» (falsificandolo in una sorta di riposo del guerriero conseguente alla sua abdicazione neoliberale), ma anche i corsi sulle istituzioni penali e la società punitiva, dai quali si evince la presenza di Thompson e Porchnev nelle letture del Foucault preteso pre-politico.
Insomma, un «ultimo Foucault» che inizia e finisce dove piace ai
suoi «demistificatori». Cui si aggiunge spesso il mancato uso
sistematico dei Dits et écrits, sostituiti da un utilizzo dei
testi e delle citazioni secondo il metodo dei morceaux choisis.
Così del corso sulla
biopolitica Behrent fornisce una faziosa genealogia, che elenca
l’ingresso in Francia del neoliberalismo senza fornire alcun nesso
causale fra le traduzioni di Hayek e Friedman e il lavoro di
Foucault: si allude a una concomitanza che si insinua essere non
casuale, omettendo di ricordare che quegli stessi anni coincidono con
episodi di militanza attiva, o con intense attività seminariali
delle quali esiste una testimonianza inoppugnabile in un lontano e
prezioso fascicolo del 1978 di «aut aut» (n. 167–168).
Così come viene
riscritta la biografia intellettuale di Foucault con scivoloni
marchiani, come quello che accade a Christofferson per aver preso per
buona senza verifica l’affermazione che «le
parole capitalista e proletariato non appaiono in
alcuna opera di Foucault prima del 1970» (Eric Paras): affermazione
falsa – e molte sorprese avrebbe lo sciatto lettore se cercasse
anche bourgeois, o addirittura Marx; e soprattutto che
non comprende l’intrinseca politicità del Foucault studioso degli
enunciati e dei rapporti fra cose e parole.
Quanto alla tentazione
neoliberale, essa è resa credibile con lo scorporo del corso del
1979 da quello del 1976, nel quale Foucault chiariva l’intenzione
di avviare, enunciando delle fondamentali «precauzioni di metodo»,
a un’analitica del potere tutt’altro che accondiscendente; di
scorporare il corso sulla biopolitica dal conseguente sviluppo in
direzione dei processi di soggettivazione non solo come
assoggettamento, ma altresì come resistenza al potere; e di
spacciare la lettura del neoliberalismo – o l’analisi della
dottrina fiscale di Stoléru (Zamora) – per un’adesione
ideologica.
Ignorando, come
sottolinea Laval nel suo contributo a Usages de Foucault, che
Foucault ha chiarito in un’intervista inedita recuperata dallo
stesso Laval (ma anche in Non au sex du roi, compreso nei Dits
et écrits), come la sua «analisi positiva» delle forme di potere,
in analogia con le pagine di Marx sulla questione dei furti di legna,
non comporta alcun giudizio favorevole agli «aspetti negativi» del
liberalismo, ma al contrario la loro comprensione come «effetti
negativi di una nuova figura di potere».
Lotte trasversali
È Rehmann a esemplificare, suo malgrado, il livello di questa pretesa critica, laddove, riferendosi a Bread and roses di Ken Loach, osserva che lo spettatore «avrebbe difficoltà a identificare le sottili tecniche di condotta di sé, ma vi troverà molte caratteristiche di un feroce «dispotismo del capitale» che gli studi foucaultiani bypasserebbero (con buona pace di Chakrabarty, che si serve proprio di Foucault per attualizzare quel concetto marxiano). Il fatto è che Foucault non negava (si veda il dibattito con Chomsky del 1971) il carattere classista dello sfruttamento: aggiungeva però che la determinazione economica, da sola, non è sufficiente a individuare i luoghi e le forme in cui si esercita questo «potere di classe».
È Rehmann, per contro, a
non riuscire a vedere i processi di soggettivazione presenti nel bel
film di Loach: dalle lotte dei migranti nel settore dei servizi che
mettono in questione la centralità e le pratiche del sindacalismo
tradizionale, alle soggettivazioni di genere e alle pratiche di
assoggettamento. Ciò che sfugge a questi critici è che il corso
sulla biopolitica non chiude, ma riapre la ricerca foucaultiana: in
direzione del rapporto fra liberalismo, biopolitica e regimi di
veridizione, e del rapporto fra neoliberalismo, ragione calcolante e
società del controllo.
Tutta qui, dunque, la loro capacità interpretativa? Sì e no. Perché se gli strumenti sono davvero rugginosi e spuntati, il vero scopo di questo libro appare piuttosto la costruzione di una grunf-filosofia al servizio di quella politica grunf-grunf che vede nelle forme di lotta e conflitto del tempo presente il tradimento di un programma materialistico in stile-Diamat, del quale si indicano i responsabili in Foucault e nei Nietzscheani di sinistra – così Rehmann nel libro omonimo, non per caso introdotto in Italia da Stefano Azzarà, da anni intento a riscrivere il capitolo su Nietzsche del De Ruggero-Canfora. Quasi che non sia stato Foucault a studiare le lotte trasversali al loro manifestarsi, ma i soggetti di queste lotte ad aver agito sobillati dalla lettura di Foucault, Nietzsche e Deleuze.
Non stupisce allora che sia l’autore del saggio più teoreticamente debole, Jean-Loup Amselle, a costruire (come fece Cacciari nel 1977) una «sinistra post-moderna» a suo uso e consumo nella quale ribollono assieme Negri e Aubry, Agamben e Halloway, Occupy Wall Street e gli Indignados, la cui strategia riformista consisterebbe nella svendita all’austerità e all’abbattimento dei livelli di vita in cambio di qualche «leccalecca» come il matrimonio per le coppie omosessuali.
Nondimeno, questi autori
sfiorano una questione aperta: quella del mancato incrocio tra
Foucault e il marxismo. Che non avvenne perché in Francia il
marxismo «ufficiale» reagì chiudendosi a testuggine verso quegli
intellettuali che ne mettevano in discussione i presupposti
ortodossi, a partire dalla centralità della nozione di soggetto. La
stessa polemica contro lo strutturalismo fu caratterizzata dalla
creazione di un oggetto polemico, nel quale erano unificati Lacan,
Althusser, Lévi-Strauss e Foucault, in reazione al tentativo di
rinnovamento del pensiero di Marx. In altri termini, quel marxismo,
costretto a «mollare la presa» di una critica che non poteva più
tenere al guinzaglio, difendeva con ottusa protervia la Fortezza
Bastiani da quel «fertile sconvolgimento dell’orizzonte
scientifico dei rivoluzionari» in atto — così Negri nel 1978 —
al quale anche Foucault contribuiva.
Il potenziale dirompente
Diversa era la situazione in Italia, dove un altro marxismo aveva cominciato a dialogare con Foucault – attraverso la rivista «aut aut», ma anche in quelle pagine del Marx oltre Marx dove Negri descriveva la circolazione e distribuzione delle merci come distribuzione analitica delle funzioni di potere, concatenando di fatto un certo Marx col Foucault dell’analitica del potere. Come sia stata interrotta quella ricerca teorico-pratica, è noto. Ma quei fili erano destinati a riallacciarsi, e di fatto cominciano ad esserlo: lo testimoniano i testi già citati, e in particolare quelli del colloquio Marx & Foucault curati da Laval, Paltrinieri e Taylan. Dove al Foucault lettore di Marx, con saggi, in particolare quelli di Chignola e Laval, che praticano già un uso marxiano di Foucault, succedono tentativi, spesso riusciti, di avviare una rilettura di Marx a partire da Foucault (Negri, Sibertin-Blanc, Dardot, Giardini).
Non si tratta di elevare
la foucaultiana diagnostica del presente a un «insieme di consegne
che il filosofo-maestro di verità donerebbe ai suoi discepoli»,
come sottolineano nel proprio intervento — che conclude il volume —
Nicoli e Paltrinieri, ma di usare la critica per mostrare «il
potenziale dirompente e le trappole che minacciano la pratica delle
lotte», senza reintrodurre la figura dell’intellettuale che
pretende di sottomettere le lotte alle ingiunzioni di verità: per
quello, i grunf-grunf bastano e avanzano.
Il Manifesto – 11
febbraio 2016
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