Esposti a Napoli gli autografi che compongono «Storie e leggende napoletane» di Benedetto Croce: una serie di splendidi documenti che costituiscono una guida sentimentale (e filosofica) della città
Napoli secondo Croce
di Erminia Pellecchia
«Quando levandomi dal tavolino, mi affaccio al balcone della mia stanza da studio, l’occhio scorre sulle vetuste fabbriche che l’una incontro all’altra sorgono all’incrocio della via della Trinità Maggiore con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara… A me giova, all’ombra degli alti tetti e tra le angustie delle vecchie vie, riparare nella più vasta ombra delle memorie…». Così si apre Storie e leggende napoletane di Benedetto Croce, il volume pubblicato per la prima volta nel 1919 con Laterza e in cui raccoglie, con la dedica all’archivista e studioso Bartolomeo Capasso, una serie di scritti, soprattutto giovanili, su Napoli, sulla sua anima colta e popolare, sui suoi palazzi e le sue chiese, sulle strade dove si respira ancora la storia di un’antica civiltà. «Perché – spiega il filosofo nell’avvertenza – il legame sentimentale con il passato prepara e aiuta l’intelligenza storica, condizione di ogni vero avanzamento civile e soprattutto assai ingentilisce gli animi». Gli “autografi” di quello che Giuseppe Galasso, curatore dell’edizione del 1999 per Adelphi, definisce un «incantevole libro, che ci aiuta come pochi a capire Napoli e le sue disparate vicende», sono conservati alla Biblioteca nazionale.
Ed è dalla loro esposizione che parte il progetto, sicuramente tra i più interessanti dell’ampio pacchetto del Forum delle Culture, della scoperta di Napoli vista con gli occhi di Croce: una mostra, appunto, questa alla Nazionale, dove, tra l’altro, si possono ammirare anche rare carte geografiche, splendidi disegni acquerellati, antichi testi a stampa, pregiate xilografie, incisioni e litografie; e una serie di itinerari che condurranno il visitatore in una sorta di viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca di volti, parole, suggestioni e luoghi della città che l’intellettuale abruzzese, «il pensatore che cammina», amava intensamente. Lo ricorda la nipote, Marta Herling, segretario generale dell’Istituto italiano di studi storici, fondato da Croce nel 1946, che con l’Accademia Pontiana, la Società di scienze, lettere e arti, l’Istituto italiano per gli studi storici, la Società napoletana di Storia patria e la Fondazione Premio Napoli, ha dato vita a questo singolare Maggio dei monumenti: conferenze, letture, incontri, visite guidate teatralizzate: un nutrito programma che, già dal suo via il 1 maggio, ha richiamato un folto pubblico e che punta tutto su di un’identità culturale spesso messa in discussione da cronache di degrado e di violenza.
Spenti i riflettori sulla kermesse, il «diario di Croce» può diventare lo spunto per un tour fai da te sulle tracce sbiadite della “Napoli nobilissima”. Come punto di partenza l’osservatorio privilegiato di palazzo Filomarino, che il senatore aveva acquistato per abitare la casa dove aveva trascorso la vita Giambattista Vico. Siamo a Spaccanapoli, il cuore antico della Neapolis greca e dei decumani. «Mi pare quasi di toccare il campanile di Santa Chiara», scrive il senatore-letterato che, da subito, innesta, nella descrizione dell’area segnata dalla devozione degli angioini per il Poverello d’Assisi, le storie dell’amore non corrisposto della dolce regina Sancia di Maiorca, che trovò conforto tra le mura claustrali del monastero fondato col marito Roberto d’Angiò, e quella di Giulia Gonzaga, che dimorò nel vicino e più modesto San Francesco delle Monache, facendone un centro spirituale, considerato eretico dall’Inquisizione.
Le figure femminili sono al centro dell’indagine crociana. Sembra quasi ispirata agli amori di Paolo e Francesca, il dramma che si svolge nel sedile Capuana: Caterina-Tirinella Capece, sposa quindicenne di un vecchio vedovo, si innamora, ricambiata, del veneziano Alvise Dandolo; i figliastri li scoprono e li trucidano. Ci spostiamo tra il duomo e il porto. Nel fondaco del Malpertugio svolge i suoi affari madonna Flora, la Fiordaliso di Boccaccio che menò per il naso Andreuccio da Perugia. Procediamo verso il Maschio Angioino. Tutt’altro tipo di “cortigiana” è Lucrezia D’Alagno, favorita di Alfonso d’Aragona, con il quale, secondo le testimonianze dell’epoca, ci sarebbe stata solo una liaison platonica, giacché la patrizia di origini amalfitane, puntava soprattutto alla corona e usò tutte le sue arti – perfino con papa Callisto III Borgia – per far ottenere, inutilmente, l’annullamento delle nozze del reale amante con Maria di Castiglia. La sua bellezza è scolpita bell’arco trionfale di Castel Nuovo, novella Partenope a guida di un re che, con quell’opera, voleva testimoniare l’avvento della sua dinastia.
Restando in Casa d’Aragona, siamo sul finire del Quattrocento, ecco la sventurata Isabella del Balzo, coivolta con il marito Federico tra ribellioni e guerre. Perderà il marito e due figli, l’erede al trono Ferrando condotto prigioniero in Spagna. Il ricordo di «quelli re nostri poveri» è affidato a Iacopo Sannazzaro. Nella villa sul declivio di Posillipo, la sua poesia «era un perpetuo spettacolo di campagna e mare». Qui volle edificare una doppia chiesa, dedicata alla Madonna del Parto, a san Nazario. Qui c’è la sua tomba e, tra gli arredi, il dipinto di San Michele Arcangelo, battezzato dal popolino «Il diavolo di Mergellina». Già, perché il dragone ha il volto bellissimo di Vittoria d’Avalos che tentò di sedurre il cardinale Diomede Carafa. Dall’altro capo di spiaggia c’è Chiaia, di cui Croce ricorda lo scoglio di “messer Leonardo” dove ragazzi e ragazze mangiavano frutti di mare e facevano l’amore. Una “piaggia” sparita per la grandeur di Ferdinando IV di Borbone che affidò l’incarico a Carlo Vanvitelli di costruire un “real passeggio”, la “Tuglieria” napoletana, con la Villa delle delizie, dove, sulla fontana maggiore troneggiava il gruppo originale del Toro Farnese (oggi al Museo archeologico nazionale).
Passato e presente, luoghi cancellati da trasformazioni urbane, come l’isolotto di Nisida, che prende il nome dalla ninfa amata da Giove e Posillipo. È per Croce il simbolo della Napoli perduta, lo stimolo a recuperare «con amorosa sollecitudine i più piccoli rimasugli di leggende popolari». Ecco Niccolò Pesce capace di intrattenersi per giorni immerso nelle acque, scolpito in un bassorilievo di fronte a Mezzocannone. Ecco la lussuriosa Giovanna, che ammazzava mariti e amanti di una notte. Ma quale delle due regine di casa d’Angiò: la nipote di re Roberto o la sorella di re Ladislao? Confuse nella storiografia e nei racconti popolari. La sua dimora, su uno scoglio di Posillipo, è abitata da spettri. Si vuole che si tratti di palazzo Donn’Anna, residenza della duchessa Anna Carafa che, folle di gelosia, avrebbe fatto avvelenare la nipote Mercedes. Ancora una sovrapposizione di donne sanguinarie, ancora una storia di amori maledetti che sollecita la curiosità di noi erranti nella Napoli dei misteri.
Da http://www.succedeoggi.it/2014/05/napoli-secondo-croce/
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