Un saggio dettagliatissimo svela segreti e riferimenti testuali di un'opera importante del nostro 900
.
Alberto Asor Rosa
Quello che non
sappiamo sul “Pasticciaccio” e la lingua di Gadda
È apparso recentemente
un imponente Commento a Quer pasticciaccio brutto de
via Merulana di Carlo Emilio Gadda, ad opera di Maria Antonietta
Terzoli, con la collaborazione di Vincenzo Vitale e di un nutrito
gruppo di suoi giovani allievi (due grossi volumi, di complessive
1.181 pagine, con cd allegato, fatica altrettanto imponente e
preziosa dell’editore Carocci).
È un’impresa degna
d’esser segnalata per più motivi. Innanzitutto: è la prima volta
in assoluto che si tenta un’operazione del genere. E cioè: si
tratta di un commento riga per riga di un’opera narrativa a noi
contemporanea (l’edizione gaddiana di riferimento è quella del
1957, più volte ristampata tale e quale).
Gli aspetti lessicali,
sintattici, stilistici, l’infinita serie delle sottolineature
tematiche, il proliferare, davvero inaudito, a ripercorrerlo
attraverso questo commento, dei rapporti fra lingua e dialetto,
tessuto essenziale della narrazione in un’opera come
il Pasticciaccio, i sottintesi, gli ammiccamenti, le
strizzate d’occhio, di cui Gadda è maestro al di sopra di ogni
altro, le molteplici allusioni, apparentemente ermetiche e
intraducibili, di natura esistenziale, sessuale, politica, ecc.
ecc., risultano tutti osservati, sviscerati, spiegati, rimandati
dall’uno all’altro in un impianto interpretativo che, da un certo
momento in poi, diventa quasi autonomo rispetto al testo analizzato e
commentato, una specie di eloquente e avvincentissimo racconto del
racconto, che quasi si potrebbe leggere da sé e per sé,
prescindendo dal riferimento al testo commentato.
Si potrà anche osservare
che qualche singola nota sia superflua e sovrabbondante, ma l’immensa
ricchezza dell’insieme cancella un qualche eventuale, e peraltro
rarissimo, abbassamento del tono.
Ora, è del tutto
scontato che tale operazione critico-interpretativa potrebbe esser
ripetuta per tutte le occasioni sul tappeto: ossia, su tutti i testi
più rilevanti della narrativa italiana contemporanea. È un modo
nuovo di fare la critica e la storia letteraria, che apre un nuovo
orizzonte alla lettura e interpretazione dei nostri testi (qualcosa
del genere era stata tentata anni fa da Emilio Manzotti con
l’edizione critica commentata della Cognizione del dolore, ma
su di una scala molto ridotta).
Al tempo stesso non ci si
può nascondere che aver “cominciato” tale esperimento con Gadda,
e in modo particolare con Quer pasticciaccio, risponde ad
una scelta sapiente della curatrice, la quale ha pescato
nel maremagno della narrativa italiana contemporanea l’opera
che, fuori di ogni dubbio, avrebbe corrisposto di più al suo
progetto (oppure, forse, leggendo e rileggendo Quer
pasticciaccio, ha maturato l’intenzione esplorativa,
scientifica, di cui ora siamo messi in grado di osservare e giudicare
il frutto?).
È un dato di fatto che
questo vero proprio capolavoro di un genio italiano assolutamente
fuori dagli schemi e dagli incasellamenti si presenta come una
miniera letteralmente inesauribile di quel minerale prezioso che è
la lingua umana, quando si libera dai lacciuoli e dalle trappole
delle convenzioni e degli stereotipi, oggi così soverchianti, ahimè,
nell’era massmediatica che ci avvolge tutti nelle sua fittissima
ragnatela.
L’esperimento
scientifico-interpretativo si collega dunque, quasi ad ogni pagina
del commento, con un intento documentario e informativo, che
travalica di gran lunga confini e obiettivi iniziali dell’impresa.
Si avverte cioè con estrema chiarezza che il lavoro è
cresciuto nelle mani della Terzoli man mano che ne venivano raggiunti
obiettivi definiti, che forse avrebbero dovuto essere definitivi, e
invece si sono scoperti via via provvisori e transitori, momenti di
passaggio della ricerca.
Molteplici sono, ad
esempio, i riferimenti testuali che, all’interno del commento
gaddiano, rimandano ad altri autori e ad altre opere, legandolo
perciò ad un momento storico di ricerca, particolarmente intenso,
della nostra narrativa e letteratura. È il metodo di lavoro che
produce, sempre e comunque, i risultati migliori.
La Repubblica – 28
gennaio 2016
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