05 febbraio 2016

LA LINGUA DI GADDA



Un saggio dettagliatissimo svela segreti e riferimenti testuali di un'opera importante del nostro 900

Alberto Asor Rosa
Quello che non sappiamo sul “Pasticciaccio” e la lingua di Gadda


È apparso recentemente un imponente Commento a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, ad opera di Maria Antonietta Terzoli, con la collaborazione di Vincenzo Vitale e di un nutrito gruppo di suoi giovani allievi (due grossi volumi, di complessive 1.181 pagine, con cd allegato, fatica altrettanto imponente e preziosa dell’editore Carocci).
È un’impresa degna d’esser segnalata per più motivi. Innanzitutto: è la prima volta in assoluto che si tenta un’operazione del genere. E cioè: si tratta di un commento riga per riga di un’opera narrativa a noi contemporanea (l’edizione gaddiana di riferimento è quella del 1957, più volte ristampata tale e quale).
Gli aspetti lessicali, sintattici, stilistici, l’infinita serie delle sottolineature tematiche, il proliferare, davvero inaudito, a ripercorrerlo attraverso questo commento, dei rapporti fra lingua e dialetto, tessuto essenziale della narrazione in un’opera come il Pasticciaccio, i sottintesi, gli ammiccamenti, le strizzate d’occhio, di cui Gadda è maestro al di sopra di ogni altro, le molteplici allusioni, apparentemente ermetiche e intraducibili, di natura esistenziale, sessuale, politica, ecc. ecc., risultano tutti osservati, sviscerati, spiegati, rimandati dall’uno all’altro in un impianto interpretativo che, da un certo momento in poi, diventa quasi autonomo rispetto al testo analizzato e commentato, una specie di eloquente e avvincentissimo racconto del racconto, che quasi si potrebbe leggere da sé e per sé, prescindendo dal riferimento al testo commentato.
Si potrà anche osservare che qualche singola nota sia superflua e sovrabbondante, ma l’immensa ricchezza dell’insieme cancella un qualche eventuale, e peraltro rarissimo, abbassamento del tono.
Ora, è del tutto scontato che tale operazione critico-interpretativa potrebbe esser ripetuta per tutte le occasioni sul tappeto: ossia, su tutti i testi più rilevanti della narrativa italiana contemporanea. È un modo nuovo di fare la critica e la storia letteraria, che apre un nuovo orizzonte alla lettura e interpretazione dei nostri testi (qualcosa del genere era stata tentata anni fa da Emilio Manzotti con l’edizione critica commentata della Cognizione del dolore, ma su di una scala molto ridotta).
Al tempo stesso non ci si può nascondere che aver “cominciato” tale esperimento con Gadda, e in modo particolare con Quer pasticciaccio, risponde ad una scelta sapiente della curatrice, la quale ha pescato nel maremagno della narrativa italiana contemporanea l’opera che, fuori di ogni dubbio, avrebbe corrisposto di più al suo progetto (oppure, forse, leggendo e rileggendo Quer pasticciaccio, ha maturato l’intenzione esplorativa, scientifica, di cui ora siamo messi in grado di osservare e giudicare il frutto?).
È un dato di fatto che questo vero proprio capolavoro di un genio italiano assolutamente fuori dagli schemi e dagli incasellamenti si presenta come una miniera letteralmente inesauribile di quel minerale prezioso che è la lingua umana, quando si libera dai lacciuoli e dalle trappole delle convenzioni e degli stereotipi, oggi così soverchianti, ahimè, nell’era massmediatica che ci avvolge tutti nelle sua fittissima ragnatela.
L’esperimento scientifico-interpretativo si collega dunque, quasi ad ogni pagina del commento, con un intento documentario e informativo, che travalica di gran lunga confini e obiettivi iniziali dell’impresa. Si avverte cioè con estrema chiarezza che il lavoro è cresciuto nelle mani della Terzoli man mano che ne venivano raggiunti obiettivi definiti, che forse avrebbero dovuto essere definitivi, e invece si sono scoperti via via provvisori e transitori, momenti di passaggio della ricerca.
Molteplici sono, ad esempio, i riferimenti testuali che, all’interno del commento gaddiano, rimandano ad altri autori e ad altre opere, legandolo perciò ad un momento storico di ricerca, particolarmente intenso, della nostra narrativa e letteratura. È il metodo di lavoro che produce, sempre e comunque, i risultati migliori.

La Repubblica – 28 gennaio 2016







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