Animali mostruosi, frati
ghiottoni, suore lussuriose: in Olanda si apre oggi la mostra che
celebra uno dei geni della pittura nordica. In estate sarà al Prado.
Fiorella Minervino
Hieronymus Bosch. Le follie di un visionario alle radici della modernità
Hieronymus van Aken, pittore del religiosissimo Brabante Settentrionale, al calare del Medioevo nordico verso il Rinascimento aveva scelto di trasformare il nome d’arte in Bosch, dalla città natale Hertogenbosch (bosco ducale, oggi Den Bosch), fra le più antiche dei Paesi Bassi, dove nel 1450 circa aveva aperto gli occhi ai colori e alla luce, e dove nella piazza del Mercato aveva creato le fantasmagorie che lo hanno reso celebre.
Sono capolavori come il
Carro del fieno, al Prado, o La nave dei folli. al Louvre, piuttosto
che le Visioni dell’aldilà da Palazzo Grimani a Venezia e altri
dal Metropolitan, Rotterdam e dalle veneziane Gallerie dell’Accademia
che ora, a 500 anni dalla scomparsa, ritornano a casa in prestito. E
sono appena approdati al Noordbrabants Museum, quello della sua
quieta cittadina che paradossalmente non ne possiede alcuno, essendo
lui troppo famoso e ricercato dai sovrani di tutta Europa primo fra
tutti Filippo II di Spagna.
Ora l’esposizione, inaugurata ieri da re Guglielmo Alessandro, offre l’occasione di ammirarli l’uno accanto all’altro; basti pensare che studiosi e specialisti, grazie alla Bosch Research and Conservation Project, lavoravano dal 2007 a questa mostra. Il risultato sono 17 dipinti sui 24 noti e 19 mirabili disegni, oltre 7 tavole dalla bottega o di allievi, mentre 70 opere raccontano l’ambiente fra ’400 e ’500; resteranno in patria qualche mese, salutati da molti eventi che cadono sotto il nome di «Bosch 500», poi approderanno al Prado, dal 31 maggio all’11 settembre.
L’omaggio porta il titolo Visioni di un genio, perché proprio di uno spirito geniale si tratta, tanto che non ha smesso mai di attrarre e scuotere intere generazioni - come i Surrealisti del secolo XX - specie per i suoi audaci incubi, le allusioni inconfessabili, le allucinazioni o le simbologie di uomo ancora calato nel Medioevo. Il tutto con tecnica prodigiosa e realismo.
Dopo secoli Bosch resta avvolto nel mistero e nelle mille interpretazioni. Fin dalla morte, fu subito celebrato come artista insigne, poi scordato fino all’800 per raggiungere in seguito la fama stellare: per taluni è il moralista fustigatore dei costumi di contemporanei e concittadini; per altri un ironico provocatore contro la Chiesa cattolica.
Oggi l’enigma continua
e i musei sono in allerta, la commissione della mostra, con inedite
ricerche, restauri, tecnologie, illustrate dal direttore Charles de
Mooij, raffronti di firme e dettagli, attribuisce al maestro due
nuove opere: la tavola Tentazioni di Sant’ Antonio dal Nelson
Atkins Museum di Kansas City e il disegno Paesaggio infernale di
privato belga. Mentre giudica di bottega due lavori celebri del Prado
fra cui La cura della follia.
La mostra nei saloni procede per temi come il pellegrinaggio della vita, i santi, la fine dei tempi. Ma molti restano i quesiti: da dove scaturivano tutti quei sozzi diavoletti dalle teste ferine intenti a infilzare i peccatori o i bizzarri angeli dalle ali diafane, se non le teste smisurate dove fuoriescono le gambette rachitiche? E da dove vengono i colossali pesci al guinzaglio, o la Santa Liberata barbuta e crocefissa come il Cristo, nel trittico dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia? E come nasce il tunnel spettacolare di luce che conduce i beati al paradiso nella Via al cielo di Palazzo Grimani, o quel guscio di noce affollato di gaudenti per la Nave dei folli?
Si rincorrono bocche di
rospo, orecchie trafitte da frecce, vergini incinte, frati corpulenti
e ghiottoni con suore lussuriose, come nel mirabile trittico del
fieno al Prado; per non parlare dell’incerto vagabondo (tondo di
Rotterdam) dai calzoni stracciati, berretto in testa e cappello in
mano, ciabatta al piede e stivaletto nell’altro, mentre dietro un
coppia amoreggia e un gentiluomo orina.
Spirito ironico, ribelle, Bosch ha dato forma concreta a ciò che affollava la fine secolo, con fiabe, maghi, alchimia, sette, eresie o predicatori infuocati, sullo sfondo di paure millenarie. Guardava alle miniature e ai mostri scultorei nell’ambiziosa Cattedrale di San Giovanni dove egli stesso lavorò.
Esplorava la natura,
citava leggende e storie dei santi per i committenti, poi attingeva
all’immaginazione dando vita a questa stupefacente miscela.
Raffinato pittore di pale, viene ricordato per le bizzarrie inventive
in tavole di impianto scenografico. Variando dai fondi sulfurei ai
paesaggi chiari e armoniosi sin madreperlati, illustrava il legame
fra uomo, ambiente, creatore, attraverso le tappe d’obbligo:
peccato, presa di coscienza, riscatto.
Poco si sa della vita,
incerta la data di nascita, famiglia di artigiani pittori, sposa la
ricca patrizia Aleid, sicché abita nell’agiato Nord della piazza
ed entra nella Confraternita di Nostra Signora, non viaggia, dipinge
tante opere scomparse. Se ne ignora la sepoltura.
La Stampa – 13 febbraio
2016
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