Chi
era veramente Hieronymus Bosch, l'ultimo grande artista medievale, continua a sfuggirci.
Dario Pappalardi
Bosch
Alla fine i misteri
restano. Non bastano sette anni di studi, un pool internazionale di
ricercatori, il coinvolgimento di decine di musei, un catalogo di
opere ridiscusse e passate letteralmente allo scanner. E questa
mostra, che con venti dipinti dati per certi e riuniti per la prima
volta, più 19 disegni, ma anche con oggetti, sculture e quadri del
tempo, celebra – a 500 anni esatti dalla morte – l'ultimo uomo
che ha dipinto il Medioevo.
No, chi era veramente
Hieronymus Bosch non si capisce nemmeno qui, a Den Bosch, la città
olandese dove tutto è cominciato ma quasi nulla è rimasto.
Hieronymus van Aken nasce a Den Bosch intorno al 1450. E qui torna
mezzo millennio dopo con l'allestimento di Hieronymus Bosch. Visioni
di un genio, da ieri (e fino all'8 maggio, a cura di Matthijs Ilsink
e Jos Koldeweij;www. bosch500. nl) al Noordbrabants Museum,
l'istituzione diretta da Charles de Mooij che ha lanciato il Bosch
Research and Conservation Project a cui si deve un nuovo studio
critico e il restauro di nove opere.
A Den Bosch – "il
bosco" – da cui prenderà il nome, l'artista rimane tutta la
vita. Non c'è testimonianza di un solo viaggio. Lavora nell'atelier
sulla piazza del mercato: ancora si vede l'esterno del palazzo dove
visse. Ma i documenti che lo citano si contano sulle dita di una
mano. Si trovano nell'archivio dei libri di conti della Confraternita
di Nostra Signora, a cui i van Aken appartengono. Tre sono esposti in
mostra. Due riferiscono che Hieronymus ospita i confratelli per la
cena tradizionale a base di cigno, nel 1498-99 e poi dieci anni dopo.
Il terzo foglio registra il funerale del pittore, tenutosi nella
cattedrale di San Giovanni il 9 agosto 1516.
Oltre a questi
manoscritti, le certezze sono pochissime. Il suo mistero sembra
quello di Omero o di Shakespeare. Bosch è il primo artista
figurativo a costruire quasi dal nulla un immaginario nuovo, un mondo
di visioni uniche, che porta solo il suo marchio. Tolkien, Disney,
George Lucas si sarebbero affacciati sul pianeta Bosch per fondare il
loro. Per tentare di avvicinarsi all'origine degli incubi di
Hieronymus, alle sue "guerre stellari", ci si può
arrampicare sui ponteggi esterni della cattedrale di San Giovanni,
ora in restauro. Ma tra i gargoyle, le bestie, gli angeli e i demoni
e un'unica donna che si inerpicano sulla chiesa, non si trovano
quelle figure postumane, i corpi ibridi, gli anfibi e gli umanoidi
delle tavole dell'artista.
La mostra prende il via
da due libri: il breviario di Giovanna di Castiglia, moglie di
Filippo il Bello, committente di Bosch, e La Nave dei folli del
tedesco Sebastian Brant, tradotto in Olanda nel 1500. Sono due testi
che suggeriscono un'iconografia di partenza e il clima di fermento
morale che influenza gli artisti nei Paesi Bassi.
Il Medioevo fiammingo è
agli sgoccioli. Erasmo da Rotterdam è a pochi passi. In meno di
vent'anni, Martin Lutero sconvolgerà l'Europa. Hieronymus respira
l'aria e attraverso di lui è come se l'età di mezzo celebrasse
l'ultimo esorcismo, si liberasse fino in fondo dei suoi mostri su
quelle tavole dipinte. Accade nel frammento con La Nave dei folli del
Louvre, una inconsapevole zattera della Medusa, dove ognuno combatte
la sua guerra, anche cantando. E poi in quel set teatrale che è la
Morte dell'avaro della National Gallery di Washington.
L'uomo di Bosch – come
nel tondo del museo di Rotterdam – è un vagabondo con una scarpa e
una pantofola sullo sfondo di un mondo in dissoluzione. «Ogni carne
è fieno» dice il profeta Isaia. E il pittore segue questa traccia
per costruire il Trittico del Carro del fieno in arrivo dal Prado. È
una processione divisa in tre, dal Paradiso all'Inferno. In mezzo, la
cieca avidità che porta re, monaci e mendicanti ad accaparrarsi una
inutile porzione di fieno. Non lo sanno, ma si stanno dirigendo tutti
verso il fuoco eterno e torture inedite: il terzo pannello è un
fantasioso campionario di sadismo.
Anche nei soggetti
religiosi apparentemente più semplici, Bosch inserisce dettagli
"lunari". Il Battista di Madrid medita perso in una
vegetazione antropomorfa, sullo sfondo un orso divora un cervo e una
scimmia si arrampica sull'albero. Gli uccelli beccano i semi di un
frutto sproporzionato e l'agnello, attributo iconografico del santo,
sembra quasi fuori posto. Il San Girolamo di Gand prega davanti a uno
stagno, tra zucche rotte e psichedeliche, mentre il suo leone è
ridotto a un piccolo animale domestico.
Il Bosch Research and
Conservation Project ha censito 24 dipinti "certi". Uno è
attribuito per la prima volta: La tentazione di Sant'Antonio del
Nelson-Atkins Museum of Arts di Kansas City. A vederlo sembra
fratello dello stesso santo del Trittico degli eremiti prestato
dall'Accademia di Venezia. Per un Bosch nuovo che arriva almeno tre
eccellenti sono stati "espulsi" dal catalogo ufficiale.
Sono: i Sette peccati capitali, La pietra della follia e Le
tentazioni di Sant'Antonio: tutti dal Prado. Madrid, che non ha
prestato il capolavoro totale – Il giardino delle delizie – si
prepara alla battaglia con la mostra che celebra il "suo"
El Bosco al Prado dal 31 maggio, ribadendo la paternità delle opere.
Smorza i toni il
direttore olandese De Mooij: «Nessuna polemica. Loro presenteranno
la loro ricerca. Il dibattito sarà interessante». C'è un disegno
di Bosch che raffigura una civetta in un albero cavo e occhi e
orecchie distribuiti sul prato e tra i tronchi. Una scritta recita
"Il campo ha occhi, la foresta ha orecchie". È un invito a
custodire i propri segreti. Bosch, 500 anni dopo, ci riesce ancora.
La repubblica – 14
febbraio 2016
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