Nei suoi dipinti
compaiono geroglifici, frecce, caratteri alfabetici e note musicali.
Paul Klee si rivela artista eclettico: pittore, musicista, architetto
e anche scrittore, come dimostrano i suoi taccuini che ora tornano in
libreria. Presentiamo le parti principali dell'introduzione al volume.
Hans Ulrich Obrist
Paul Klee e l’arte
di tenere un diario
Etel Adnan, poetessa e artista tra le più grandi, mi disse, poco tempo fa, che riteneva che Klee appartenesse a quella stirpe di geni per i quali una singola definizione – che sia «pittore», «musicista» o «architetto » – risulta inevitabilmente riduttiva. Occorre, mi disse, dedicare la dovuta attenzione agli scritti di Klee, così come alla produzione in poesia e prosa di geni poliedrici come Leonardo da Vinci, Vasilij Kandinskij e Igor Stravinskij.
Non vi è dubbio che Klee
sia stato uno degli artisti più versatili mai esistiti. La sua
genialità nella pittura, nel disegno e nell’arte dell’incisione
può essere compresa appieno solo nel momento in cui viene messa in
relazione con le altre espressioni del suo talento: l’attività
come musicista, designer, filosofo dell’arte e insegnante. A questi
molteplici aspetti della sua creatività, dobbiamo aggiungere
l’eloquenza e la lucidità della scrittura, di cui questi diari
costituiscono un esempio mirabile.
La scrittura di Klee, già magnifica di per sé, fornisce in questo caso un ritratto dell’artista nel suo cammino verso la grandezza. Un artista altrettanto poliedrico, Joseph Beuys, affermava che «ogni essere umano è un artista »: non vi è dubbio che anche per Klee la vita fosse inscindibile dall’arte. L’idea che lo sviluppo creativo fosse per lui indissolubilmente legato all’esperienza vissuta trova riscontro, in particolare, in un brano dei suoi diari che risale al 3 giugno 1902, nel quale si legge: «Ciò che ora conta non è neppure di dipingere soggetti prematuri, bensì di essere uomo o almeno di diventarlo. L’arte di dominare la vita è la condizione fondamentale di tutte le manifestazioni ulteriori, si tratti poi di pittura, architettura, dramma o musica».
Insieme composito di
annotazioni in ordine cronologico e di modifiche e aggiunte
successive, queste riflessioni, risalenti agli anni centrali della
sua vita, sono costellate di allusioni al tema della crescita, intesa
nelle sue più svariate forme. Affascinato dai cambiamenti che
avvengono nel mondo naturale, Klee illustra, in un altro scritto, il
processo di costruzione di un dipinto come se stesse parlando della
crescita di una pianta, il cui sviluppo è strettamente dipendente
dal terreno da cui è emersa. (...)
Uno dei grandi paradossi
che caratterizzano l’opera di Klee – e dobbiamo intendere il
termine paradosso nell’accezione dei presocratici, come fonte di
nuove idee e nuova ispirazione – è la sua capacità di essere allo
stesso tempo privata e profondamente sociale. Se da un lato il suo
lavoro appare come il frutto di una visione soltanto individuale e
particolare, dall’altro sembra trasmettere, con grande forza, la
voce di un’epoca storica durante la quale il mondo è cambiato fino
a diventare irriconoscibile. Ciò si riflette nel modo in cui Klee fa
convivere improvvisazione e regola, modelli matematici e una
straordinaria libertà di espressione. Seguendo la numerazione
scrupolosa con la quale ha ordinato i suoi dipinti, possiamo
osservare come, da un giorno all’altro, fosse capace di produrre
opere che sembrano non avere assolutamente nulla in comune.
Klee inventò un sistema
all’interno del quale aveva la libertà di improvvisare, così come
fece Georges Perec creando una struttura entro cui sviluppare le
proprie storie. La sua genialità consisteva nel sapersi adattare
alle esigenze dell’opera d’arte, senza tuttavia perderne il
controllo. «Come una barca in mezzo al mare» afferma Etel Adnan
«non era lui che indicava una direzione al dipinto, era il dipinto a
indicarla a lui.» (...)
Non esiste nulla che non
sia importante nella vita, questo sembrano testimoniare i dipinti di
Klee: non vi si troverà mai un angolo insignificante, o frammenti
della superficie che non siano riempiti con qualche affascinante
simbolo, colore, forma o motivo. La pittura classica assegna un
centro alla composizione del quadro, trasformando i bordi della
superficie pittorica in spazi marginali, suggerendo in modo chiaro
che si deve prestare minore attenzione a ciò che si trova nella zona
periferica, ai margini, nei contorni. Trovo estremamente affascinante
il rifiuto di questo principio da parte di Klee, dal momento che
scrivo in un’epoca in cui la sola idea dell’esistenza di un
«centro» appare obsoleta, in un mondo così polifonico, interrelato
e interconnesso come quello in cui viviamo oggi. In Klee ogni cosa
riveste la stessa importanza, nulla è trascurato, considerato
inferiore, marginalizzato. L’artista è noto per aver detto che
«l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile ciò che non
sempre lo è».
Qualcosa di simile può
essere sostenuto a proposito dei suoi diari, i quali non si limitano
a registrare la vita e l’opera di Klee, ne sono parte integrante;
non riproducono eventi, sono eventi essi stessi. Ciò è
particolarmente evidente nella loro modalità di composizione: Klee
interruppe la scrittura dei diari nel 1918, per poi riprenderla in
seguito inserendo aggiunte e correggendo brani composti in
precedenza, prima di stendere una nuova versione del manoscritto. I
Diari non vanno intesi solo come documentazione di fatti avvenuti, ma
anche come vere e proprie creazioni plasmate consapevolmente,
nell’ambito di un’idea ampia e olistica di arte.
L’intenzione di Klee di
abbattere i confini che separano la scrittura dall’arte si
manifesta nel suo incorporare nei dipinti un linguaggio visivo nuovo
e idiosincratico, fatto di simboli e segni tratti da diverse sfere
dell’attività umana. Geroglifici, caratteri alfabetici, frecce,
lettere, note musicali, cifre sembrano invitarci a leggere i dipinti
come leggeremmo un testo scritto, e, analogamente, a leggere i suoi
scritti come fossero dipinti.
Questa idea di arte allargata, intimamente legata ad altre discipline, è uno degli insegnamenti più importanti che Klee ci abbia trasmesso.
La Repubblica – 24
febbraio 2016
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