26 ottobre 2016

F. SABATINI, Il greco, il latino e il pensiero complesso


Nel dibattito, ancora in corso, sulle ragioni degli studi classici interviene un grande linguista e filologo:

Francesco Sabatini



Il greco, il latino e il pensiero complesso


Caro direttore, siamo all’appello, al voto popolare, per difendere le versioni di latino e di greco nell’esame di maturità. È comunque una sconfitta: in cinquant’anni, almeno, di dibattiti culturali, politici, accademici, non si è trovato il modo di ripensare il profilo degli studi classici, per tener conto dei profondi cambiamenti che andava subendo tutto il quadro dell’istruzione, sotto la spinta di tre fattori: la pressione della massa sull’istruzione superiore; l’ampliamento dell’orizzonte culturale richiesto dal mondo globalizzato; l’avanzamento di tutte le scienze che sono alla base delle discipline scolastiche. Tre fattori incontestabili che richiedevano speciale attenzione perché non colpissero malamente il settore di questi studi. L’allarme contro questo rischio era stato già lanciato (per iniziativa del sottoscritto) dalle Accademie della Crusca e dei Lincei nel 1990.

A rincalzo dell’appello odierno, il sociologo Luca Ricolfi ha denunciato apertamente l’intenzione, tipica del populismo di molti politici e di molte famiglie, di ridurre il livello di difficoltà (produttiva) degli studi. Sottoscrivo anche questa denuncia, ma ribadisco che occorre anche rivedere seriamente obiettivi, contenuti e metodi di questi studi. Non in chiave di semplificazione, ma del loro adeguamento allo scopo di colmare le distanze tra un sapere molto lontano nel tempo e la sua utilizzazione nel presente.

Credo anch’io, da linguista e filologo, che una buona traduzione di un brano latino o greco sia una specifica prova di capacità di analisi di un oggetto complesso. Dall’apparire dell’Homo sapiens, qualsiasi sapere ben definito passa attraverso i simboli del linguaggio verbale, per quanto affiancato dagli altri linguaggi (tra i quali quello dei numeri) e dall’operare tecnico. Non è verbalismo, questo, purché alla base di questo esercizio si pongano i principi che, scoperti nell’antichità, sono oggi messi molto più chiaramente in luce dalle scienze antropologiche, neurologiche e linguistiche: queste ultime oggi lavorano al passo con le altre per precisare le linee da seguire nell’esercizio di quelle nostre facoltà. Riferimenti fondamentali, nelle attività di studio, la scoperta del meccanismo della lingua prima già insediata nel cervello e il riconoscimento delle modalità di comunicazione mediante i diversi tipi di testo, soprattutto scritti. Grammatica e testualità, scientificamente ridefinite.

Italiano, altre lingue, lingue classiche: principi e metodi sono sostanzialmente comuni. Passato e presente, da collegare strettamente, per non perdere l’uno o l’altro. Questi i parametri per rivitalizzare un’area degli studi così particolare e ricca di risorse. Ma sono tenuti poco o pochissimo presenti.

Tutte le lingue moderne occidentali sono state enormemente arricchite, nella loro crescita dal Medioevo fino ai nostri tempi, con il lessico ripreso dal latino dei libri e dal greco. Motivo non da poco per interessarsi a queste lingue. Ho chiesto spesso a studenti del classico di trovare il concetto di base che accomuna parole come propellente, impellente, repellente, pulsione, propulsione, repulsione, compulsione, impulso, pulsazione, polso: non sono stati quasi mai capaci di risalire al verbo latino pellere «spingere». Lucrezio, autore del De rerum natura , è tenuto piuttosto in poco conto negli studi testuali e di letteratura latina; e nei manuali di questa disciplina si dedica sì e no una mezza pagina finale, che nemmeno si legge, alla vicenda della sua esplosiva riscoperta nell’Umanesimo e all’acceso interesse che essa destò a lungo in Europa (mentre in Italia veniva messo all’Indice), in Bruno, Galilei, Montaigne, Bacone, Shakespeare, Gassendi, Newton e infine Darwin (vedi S. Greenblatt, Rizzoli 2016).

Perché non farne un percorso proiettivo, di interesse linguistico e filosofico-scientifico, che giunge fino a noi? Nel Fedro di Platone, dialogo poco letto a scuola, Socrate condanna l’invenzione dell’alfabeto. Sembrerebbe un tema marginale o superato, ma la rivoluzione culturale e psichica introdotta dalla scrittura è tornata bene al centro dell’attenzione degli studiosi della comunicazione umana (Walter J. Ong) e di una schiera di neurologi (S. Dehaene, M. Wolf, …) e c’è materia per riascoltare Socrate.

Esiste una saggistica di servizio per il docente che voglia spingersi, momentaneamente, a costruire qualche ponte. Ma manca il disegno complessivo per l’istituzione: l’unico che può fare da rete, non per catturare gli uccelli desiderosi di volare verso piscine e discoteche, ma per tenere insieme parti vitali del sapere globale. E manca la formazione dell’insegnante, che l’Università non ha previsto in tali direzioni.

Il Corriere della sera - 23 ottobre 2016

Nessun commento:

Posta un commento