Soffici e il
Novecento. A Firenze una mostra ricostruisce l’opera (e le
polemiche) del critico-pittore. Accanto alle tele di Courbet e di
Segantini, anche Cézanne che insegnò all’artista a vedere le cose
da una prospettiva moderna. A noi la sua figura piace perchè, pur
nell'estrema diversità delle posizioni politiche, ne apprezziamo la
grande
coerenza. Critico verso il regime negli anni della guerra e della
sconfitta (ma non verso Mussolini che seguì con Marinetti a Salò), non
nascose mai il suo pensiero di fascista disincantato ma convinto. Uno
"schiaffo al secolo", appunto.
Roberta Scorranese
Schiaffo al secolo
Quanti schiaffoni
sbatacchiano il primo Novecento. «Noi vogliamo esaltare il movimento
aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto
mortale, lo schiaffo ed il pugno», recita il Manifesto dei
Futuristi, italianissimo ma uscito su «Le Figaro» nel 1909.
Schiaffi dipinti, quelli della Rissa in galleria di Boccioni,
dell’anno dopo, e schiaffoni veri, quelli che nel 1911 lo stesso
Boccioni assesterà in faccia a un critico secco e sulfureo, seduto
in un caffè di Firenze e reo di aver definito «delusione sdegnosa»
la mostra dei Futuristi allestita a Milano. Ecco, Ardengo Soffici, il
critico preso a ceffoni, è la somma di tutti questi schiaffi.
Nato nel 1879, il
fiorentino aveva appena un anno in più di Guillaume Apollinaire ma
l’irruenza di una lingua che prova a cimentarsi con la violenza è
la stessa. È un verme crepuscolare che si raggricchia in una goccia
di fosforo/ Ogni cosa è presente, scrive il ragazzo di Rignano
sull’Arno che a 21 anni, sul principio del secolo, se ne va a
Parigi, affrontando mesi di «miseria, freddo e fame», come
scriverà. Che cosa cercava? Uno schiaffo, ovviamente.
Non era soltanto l’ansia
della rottura con la tradizione, che attraverserà buona parte del
movimento futurista. Soffici rimase sempre molto legato alla sua
terra e ai suoi riti. Lo «schiaffo» che cercava era piuttosto uno
strumento, un modo di comprendere e raccontare il mondo che stava
cambiando. Perché, a Parigi, il giovane Ardengo non aveva solo
cercato di «proporre qualche disegno più o meno spiritoso ai
giornali umoristici o licenziosi». Aveva anche studiato da vicino
artisti come Paul Cézanne, al quale dedicherà uno scritto denso in
«Vita d’arte», nel 1908. Soffici, che non era solo un pittore ma
era anche uno scrittore, un elaboratore di teorie, notò la grande
novità cezanniana: lo sguardo simultaneo sulle cose, il mostrare la
realtà non come è (la prospettiva rinascimentale) e nemmeno
soltanto come potrebbe essere (l’impressionismo), bensì come la
vediamo noi. Le mele disposte in modo irregolare sopra a un tavolo
(che secondo i dettami brunelleschiani potrebbero cadere da un
momento all’altro), sono il modo con cui noi, sporgendoci al di
sopra, le possiamo osservare realmente, con i nostri limiti come la
posizione o il campo visivo.
Soffici capì che il solo
concetto di velocità (che pure innervava tutto il Futurismo) non
bastava a spiegare il mondo che stava nascendo. Nel saggio del 1920
Primi principi di una estetica futurista, del 1920, accenna a questo
superamento e parla di un mondo che doveva Assonanze In alto Paul
Cézanne, Paesaggio, 1885-1887. Sotto, Ardengo Soffici, Natura morta,
1939 tenere conto della simultaneità (pensiamo a quanto è
importante oggi) e delle conseguenze stesse della velocità, come il
fatto che qualcuno deve necessariamente rimanere indietro (e oggi la
globalizzazione dimostra dolorosamente l’esattezza di questa
intuizione). Soffici comprese che lo «schiaffo» vero del Novecento
non poteva accontentarsi di uccidere il passato. Deve anche preparare
una nuova sensibilità, pronta ad affrontare i cambiamenti.
Così anche la sua veste
critica non si fermò mai alle stroncature, come dimostra Scoperte e
massacri - Scritti sull’arte, la raccolta di articoli per La Voce e
Lacerba che dà il titolo alla mostra degli Uffizi — uscita nel
1919 da Vallecchi. Un testo in cui, sì, c’erano ceffoni (critiche
anche a Michelangelo), ma dove c’era anche il tentativo di
rifondare l’arte con Courbet, Rosso o l’amato Cézanne.
Fu questa lungimiranza
astorica che lo portò a vedere nei dipinti di Rousseau il Doganiere
un rimando alla purezza del quattrocentesco Piero di Cosimo e ad
apprezzare quelle tele del francese che pochi volevano? Fu questa
sensibilità fuori dal tempo a farlo scendere in campo, nel 1955, per
la liberazione di Ezra Pound? — il poeta era stato rinchiuso nel
manicomio criminale di Washington dopo il sostegno al regime
fascista.
E chissà quale demone
dell’inconscio lo indusse a smarrire la preziosa copia dei Canti
Orfici che l’amico Dino Campana gli aveva amorevolmente messo nelle
mani. Per la cronaca: Campana dovette fare appello alla sua malandata
memoria e ricostruire da zero l’opera più importante della sua
vita, che poi uscì nel 1914. Scoperte, massacri e messaggi
subliminali. L’amico Prezzolini lo aveva detto chiaro: «Va preso e
lasciato com’è, Soffici, seddiovole».
Il corriere della sera/La
Lettura – 2 ottobre 2016
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