Esce al cinema
l’antibiografia del Nobel firmata da Pablo Larraín, candidato dal
Cile all'Oscar come miglior film straniero. Interpreta il poeta il
grandissimo Luis Gnecco affiancato da un “tragico” Gael García
Bernal nel ruolo del poliziotto che gli da la caccia.
Natalia Aspesi
Neruda. Il gioco senza
fine del poeta e del poliziotto
Baciato, abbracciato, toccato da chi lo ama, come senatore del partito comunista cileno e come meraviglioso poeta, Pablo Neruda entra nei gabinetti del Parlamento dove lo aspettano i colleghi che subito attacca definendoli “di merda”, offendendo il nuovo presidente González Videla, di cui ha curato la campagna, perché “traditore al servizio dell’America”. È il 1948, Neruda ha 44 anni, è già celebre nel mondo (vincerà il Nobel per la letteratura nel 1971) ed è un uomo grosso, molto stempiato, brutto, che fa impazzire le donne. «È obeso e ha messo per la prima volta le scarpe a 12 anni» lo offende un avversario, ricordando le sue origini popolari.
Così inizia Neruda, il
grande film del quarantenne cileno Pablo Larraín, che lo definisce
un’antibiografia: storicamente e umanamente esatta ma esaltata da
una geniale sovrapposizione di invenzioni simili a sogni, e dall’uso
del colore spesso sfumato nei viola di una natura notturna stupenda e
vuota.
In quell’anno il partito comunista cileno è messo fuori legge, 26 mila cileni privati del voto, i lavoratori in sciopero prelevati dall’esercito e rinchiusi in campi di concentramento, Neruda destituito dal ruolo di senatore, dichiarato nemico pubblico e traditore. Il partito lo convince a entrare in clandestinità e il film segue i lunghi mesi di questa fuga che lo porterà in salvo in Argentina e poi in Europa. Lo insegue il poliziotto Óscar Peluchonneau (così si chiamava davvero chi doveva scovarlo e arrestarlo), che il regista trasforma in un personaggio letterario, che si autoinventa o forse è un invenzione di Neruda.
Lui stesso, Peluchonneau,
non sa chi è, si cerca in quell’inseguimento del poeta che gli
sfugge pochi minuti prima che lui lo raggiunga, come in un gioco
senza fine. Il poeta vaga di paese in paese, di casa in casa,
protetto dagli amici comunisti, assieme alla seconda moglie Delia
(Mercedes Moran), pittrice argentina di famiglia aristocratica che ha
20 anni più di lui, lo venera e lo aiuta a sgrezzarsi.
Neruda era
fisicamente privo di attrattive se non per la voce cantilenante con
cui leggeva i suoi versi, d’amore carnale e di pena per la miseria
del popolo cileno: e lo interpreta un grandissimo attore, Luis Gnecco
(ingrassato di 25 chili), sufficientemente brutto per diventare
davvero identico al poeta.
Come nella realtà Neruda
non sopporta la clandestinità, e di notte ma anche di giorno, sfida
il pericolo uscendo travestito da prete o vistosamente abbigliato di
bianco, anche per rifugiarsi nei casini tra prostitute nude cui
declama i suoi versi e che lo adorano e lo proteggono. In ogni casa,
in ogni macchina, nella tasca della sua elegante giacca che ha
lasciato a una mendicante coperta di stracci, lascia per
l’inseguitore uno dei libri gialli che adora, come un Pollicino
crudele e sprezzante.
Il poeta del film, come quello della realtà, beve molto, fa da mangiare i suoi piatti a base di cipolle, ha sempre con sé le nuove poesie e la macchina da scrivere: è l’epoca, dice Larraín, del grandioso Canto general, che scrive a mano, o ricopia, o detta e poi recita in quella lingua morbida, che non si riesce ad immaginare doppiata.
Peluchonneau ha il viso
chiuso e talvolta tragico di Gael García Bernal, con i piccoli
baffi, i lunghi silenzi, il cappello d’epoca, e pare il detective
Dick Tracy dei fumetti di Chester Gould o il Philip Marlowe di
Humphrey Bogart del Grande sonno diretto da Hawks, sempre più
irreale, anche ridicolo quando guida una moto con occhialoni e casco,
ripreso come fosse un cartoon.
Il duello mortale con
l’inseguito è impari, è una sfida sempre persa, sempre umiliante:
lui figlio di una prostituta e di un padre ignoto che si è
inventato, bisognoso di riscatto, in quella caccia cerca la sua
rivincita sul mondo. Vuole passare alla storia mentre una voce fuori
campo, il suo pensiero, si racconta come fosse il protagonista di un
poliziesco di Raymond Chandler: “il sagace commissario”,
“l’esperto poliziotto che segue un odore asiatico”. Perduto in
una solitudine impotente, rifiuta di essere un personaggio
secondario, di carta, addirittura inventato dal poeta, come gli dice
ironica e sicura Delia.
Neruda tornò in Cile
ai tempi del presidente Allende ed è ormai sicuro che dopo il golpe
di Pinochet sia stato ucciso, a 69 anni con un’iniezione, per
ordine del dittatore: che tra l’altro compare nel film come capo di
un campo di concentramento per comunisti cileni.
In febbraio arriverà da noi Jackie, il nuovo film di Larraín, antibiografia dei giorni di lutto di Jacqueline Kennedy, che alla Mostra di Venezia ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura e che è molto piaciuto anche alla critica
la Republica – 6
ottobre 2016
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