Riprendiamo in un
unico post due articoli apparsi oggi su due quotidiani molto diversi
per impostazione. Ad una lettura superficiale sembrano trattare
argomenti diversi. Sono invece aspetti della stessa realtà:
lo stato di virtuale bancarotta dell'Italia (tenuta su dalla tanto
screditata BCE) e il tentativo di uscirne addossandone l'intero costo
ai lavoratori. Insomma, con il governo Renzi, ancora più che per il
passato pagano sempre i soliti. Per questo l'ultraliberista Renzi (e
il vecchio stalinista che da dietro tira le fila) non ci piacciono.
Per questo voteremo NO, sperando che questo serva a mandarli a casa.
Marco Zatterin
Un brivido da sette
punti per Renzi
È bastato un lancio d’agenzia sull’ipotesi di un rallentamento del doping pro-ciclico della Bce a far sobbalzare gli interessi che la Repubblica Italiana pratica per finanziare il suo mostruoso debito. Il differenziale di rendimento fra i Btp e i Bund tedeschi è salito di 7 punti base. Nulla di drammatico, appena un brivido, eppure è un segnale preciso. I mercati pensano che senza crescita e senza Francoforte che compra bond a palate, sostenere il passivo di Stato potrebbe diventare difficile. Se non impossibile.
Abbiamo il terzo debito del globo e una crescita rachitica. L’ossigeno per tirare avanti è oggi garantito dallo scudo di Mario Draghi. Sinché continueranno gli acquisti, l’Italia potrà respirare, perché l’azione dell’Eurotower tiene bassi i tassi e lontane le paure. Così, anche se è giusto avere preoccupazioni per la terra della ripresina nonostante il denaro senza costo, nessuno si fa cogliere da pensieri distruttivamente speculativi.
Magari non succederà. Magari Draghi allungherà il quantitative easing (Qe) come dice il Fmi. Oppure lo ridurrà gradualmente, tenendolo in vita almeno sino al 2018. Ogni possibilità è sul tavolo. La peggiore delle ipotesi è che da aprile Francoforte stoppi gli acquisti. Con l’economia fragile, i cordoni della borsa stretti e le casse storicamente disastrate, i mercati potrebbero pensare che stiamo per collassare e agire di conseguenza. E allora?
L’Italia avrebbe due possibilità di difesa. Una sarebbe quella di tornare a crescere con riforme e politiche di investimento, stimolando la ricchezza, dunque le entrate, tagliando a ruota il debito. Gonfiando il Pil, migliorerebbe i parametri di bilancio calcolati in sua funzione. Il Paese uscirebbe dal guado lentamente, con le carte in regola.
L’alternativa comporterebbe la riduzione dello stock di debito, dunque il taglio delle uscite e/o l’incremento delle entrate. E’ una marcia politicamente difficile da presentare, richiederebbe un improbabile sacrificio di governo nel nome del bene collettivo. Renzi e Padoan non posseggono una terza carta. C’è semmai l’ipotesi che il QE continui quanto basta alla congiuntura globale per rifarsi bella tirando con sé anche l’Italia. Soluzione non sicura neanche questa e, soprattutto, non influenzabile da Roma che può risanare, riformare e rendersi credibile, o affidarsi alla Bce e augurarsi che non molli. Se andasse male sarebbe il peggio. Tanto che, davanti al sospetto che il QE possa finire o assottigliarsi, i 7 punti base ripresi dai Btp possono apparire appena uno schizzo dell’oceano.
La Stampa – 5 ottobre
2016
Irene Mossa
“Venite in Italia,
sfruttiamo i lavoratori”
«Un ingegnere italiano guadagna uno stipendio annuo medio di 38.500 euro, mentre in altri Paesi europei ha uno stipendio medio di 48.500 euro. In Italia il rapporto qualità/costo di profili altamente specializzati è estremamente competitivo rispetto ad altri stati europei».
La notizia, considerata ottima per le imprese straniere che vogliono investire in Italia – un po’ meno per i nostri lavoratori – arriva da un documento presentato il 21 settembre da Renzi e dal ministro dello sviluppo economico Calenda, a Milano, come parte del piano nazionale «Industria 4.0». La brochure è stata realizzata dall’Ice, agenzia per la promozione all’estero delle imprese italiane, per incoraggiare gli stranieri a fare investimenti nel nostro Paese.
Nel documento tra le ragioni per cui l’Italia sarebbe «il posto e il momento giusto per investire», oltre al Jobs act, alla posizione strategica e agli incentivi per gli investitori, a pagina 32, alla voce «Capitale umano», c’è il «basso costo» dei lavoratori italiani, i meno pagati tra tutti i paesi europei. E nella pagina successiva le cose non migliorano: si continua a spiegare, con tanto di grafici, come nel 2014 lo stipendio medio di un lavoratore italiano sia il più basso, e quello con incremento minore, rispetto a Inghilterra, Germania, Francia, Belgio o Irlanda. E come la crescita del costo del lavoro, dal 2012 al 2014, nel nostro paese sia minore rispetto a quello medio dell’eurozona.
L’iniziativa governativa sarebbe passato sotto silenzio, se Sinistra italiana non avesse presentato un’interrogazione al senato. Sottolineando come sia «vergognoso e imbarazzante», da parte del governo, considerare i bassi stipendi e lo sfruttamento dei lavoratori italiani un incentivo per le imprese, piuttosto che un gravissimo problema da risolvere.
il manifesto – 5
ottobre 2016
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