“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
17 ottobre 2016
N. BOBBIO CI RICORDA CHE LA STORIA NON E' FINITA
Era l’inizio degli Anni 90, in Europa cadevano i muri, nel mondo il mercato trionfava e da più parti si sentiva dire che la dicotomia tra destra e sinistra non aveva più motivo di essere. C’era anche chi pretendeva che fosse finita la storia. Invece la storia è continuata, e la vecchia distinzione non ha perduto nulla della sua validità. Come vedeva bene Norberto Bobbio, dal suo studio torinese di via Sacchi. In un lungo intervento uscito nel ’94 sulla rivista spagnola El socialismo del futuro, inedito in Italia e uscito dagli archivi del Centro Gobetti (qui ne presentiamo uno stralcio), l’ottantacinquenne filosofo, alla ricerca di «un criterio unico che consenta di distribuire tutti gli enti politici o da una parte o dall’altra» della dicotomia, squaderna lucidamente i problemi con cui dovrà confrontarsi la sinistra negli anni a venire per continuare ad avere un senso: dai nuovi conflitti ai flussi migratori con le connesse rescrudescenze xenofobe, alle insidie della tecnica, all’emergenza ambientale, la rassegna è completa. Manca soltanto, perché non era ancora dilagata, la sfida islamista: e sarebbe interessante, al riguardo, sentire oggi la sua voce.
Maurizio Assalto
IL FUTURO DEL SOCIALISMO
Norberto Bobbio
Dal secolo scorso a oggi, o almeno sino a ieri, il criterio fondamentale che ha permesso di dare un senso alla «grande divisione» [tra destra e sinistra] è stata la questione sociale, ovvero la divisione della società essenzialmente in due classi contrapposte, borghesia/proletariato, cui hanno corrisposto due concezioni sociali in contrasto fra loro, capitalismo/socialismo.
Oggi, al conflitto che nel secolo scorso era considerato principale, e dal quale tutti gli altri dipendevano, se ne sono aggiunti altri, non meno laceranti, cui non corrisponde più con la stessa evidenza il significato attribuito tradizionalmente alle parole «destra» e «sinistra». Le fratture ( cleavages ) non solo sono aumentate ma non si sovrappongono, tanto che chi sta alla sinistra secondo una frattura non è detto che stia dalla stessa parte anche rispetto a una frattura diversa. […]
La maggiore difficoltà è rappresentata dal fatto che i problemi, che si affacciano minacciosamente all’orizzonte dell’umanità alle soglie del Duemila, non sono problemi tradizionali della sinistra (e neppure, a dire il vero, della destra). E sono proprio questi problemi nuovi che hanno indotto molti scrittori politici, seguiti da uno stuolo di giornalisti, avidi di novità, a ritenere che parole come «destra» e «sinistra» non abbiano più senso nel linguaggio politico di oggi. […]
Tra Kant e Heidegger
I problemi cui mi riferisco sono: la guerra dopo l’invenzione delle armi nucleari che hanno cambiato la natura dei conflitti armati tra gli Stati; la progressiva distruzione dell’ambiente da cui segue la riduzione altrettanto progressiva delle risorse necessarie alla continuazione della vita sulla terra; l’accrescimento esponenziale della popolazione che rende non del tutto incredibile la previsione della futura inabitabilità del pianeta. […]
Rispetto a questi problemi, la cui drammaticità è senza precedenti, mi pare indubbio che la grande divisione tra sinistra e destra sia stata sconvolta. Si può ricomporre? Ma come? Il problema del «futuro» della sinistra, e in modo particolare, del socialismo, si pone proprio a partire da queste domande. Non escludo che la soluzione di questi tre problemi permetta di distinguere, come la questione sociale del secolo scorso, chi sta da una parte e chi dall’altra. Ma dove passa il discrimine?
L’unico punto di riferimento per una possibile risposta è la constatazione che la sfida mortale cui si trova di fronte l’umanità di oggi deriva dal vertiginoso e sempre più rapido progresso tecnico, che appare, almeno sino ad ora, irreversibile. […] Naturalmente non si tratta del progresso «verso il meglio» di cui parlava Kant, dove il «meglio» aveva un chiaro significato morale. Si tratta del progresso rispetto alla conoscenza della realtà e al dominio della natura, che di per sé stesso non implica un giudizio morale di bene o di male, e pure ha un potere enorme sulla condizione umana e ancora di più ne avrà nel prossimo futuro. Se una nuova «grande divisione» si formerà rispetto a una valutazione positiva o negativa del progresso scientifico e tecnico, questa passerà attraverso il giudizio sul suo potere salvifico o demoniaco. Ma una simile contrapposizione è destinata a unire o a dividere la sinistra?
Sarebbe tutto risolto se si potesse attribuire alla destra un atteggiamento incondizionatamente favorevole al progresso tecnico, alla sinistra l’atteggiamento contrario, ma una divisione così netta non rispecchierebbe la realtà del dibattito attuale. Si pensi al giudizio ambivalente che viene dato rispettivamente da filosofi di sinistra e di destra su Heidegger, considerato come l’interprete più lucido e lungimirante dell’età della tecnica. Che politicamente sia stato un pensatore di destra (come Nietzsche) è indubbio. Ma deve pure fare riflettere che si siano serviti del suo pensiero autori che secondo la grande divisione sono considerati tanto di destra quanto di sinistra.
Oltre alla difficoltà che nasce dalla emergenza di problemi che la sinistra non aveva mai dovuto affrontare, e rispetto ai quali non è chiaro quale possa essere la sua risposta oggi, la sinistra si trova anche di fronte al prepotente emergere di problemi di cui aveva creduto di essersi sbarazzata una volta per sempre. Mi riferisco in particolare alla questione nazionale e a quella religiosa.
Dopo il conflitto di classe
La sinistra non è mai stata nazionalista. È sempre stata internazionalista e cosmopolitica: «Proletari di tutto il mondo unitevi!». […] Quando allo scoppio della Prima guerra mondiale il partito socialdemocratico tedesco non si oppose alla guerra, che era una guerra nazionale, si gridò al tradimento. Per un autentico comunista la patria autentica è stata non quella in cui è nato e di cui è cittadino, ma l’Unione Sovietica. «Se l’Italia entrasse in guerra - si sono sempre domandati i nostri anti-comunisti - che cosa farebbero i comunisti italiani? Sarebbero combattenti leali?».
I socialisti, e a maggior ragione i comunisti, avendo sempre considerato come conflitto principale, da cui tutti gli altri dipendono, il conflitto di classe, hanno sempre sottovalutato l’importanza storica dei conflitti diversi da quelli di classe, ossia dei conflitti nazionali, etnici, religiosi. La sinistra in genere, avendo polarizzato la propria attenzione sul conflitto di classe, avendo trovato in questo conflitto la propria ragion d’essere, ha elaborato una teoria limitata del conflitto, assolutamente inadeguata a comprendere la complessità del movimento storico. Dovrebbe recuperare il tempo perduto. Ma è possibile? Come è possibile? O non è possibile soltanto rivedendo a fondo i suoi presupposti? Non voglio dire che la sinistra non si sia mai posta questi problemi. Il dibattito sul rapporto tra questione sociale e questione nazionale ha una lunga storia. Ma quello che sta succedendo oggi nel mondo, lo scoppio di conflitti etnici e tribali, di lotte a dominanza religiosa, come quella tra indù e musulmani, ci offrono un quadro storico completamente diverso da quello tracciato da una filosofia della storia che partiva dal presupposto che «la storia di ogni società sinora esistita è una storia di lotta di classi». […]
Accenno ancora brevemente a un ultimo problema, la cui novità, per lo meno nei paesi economicamente più sviluppati, fra cui anche l’Italia, trova incerta la sinistra sulla soluzione da prendere tra le tante possibili; incerta e mal preparata. Mi riferisco al problema dell’emigrazione, problema nuovo in senso assoluto, perché storicamente il flusso emigratorio si è mosso da paesi sovrappopolati verso paesi poco popolati o addirittura spopolati. Oggi avviene il contrario. I paesi verso cui muove il flusso migratorio dal Terzo Mondo, cui si aggiungono masse povere dei paesi ex comunisti, sono fra i più popolati del globo. Di qua sorgono problemi gravissimi cui i governi dei paesi di nuova immigrazione debbono far fronte.
Il futuro del socialismo
Indipendentemente dal dibattito sul razzismo, cioè dalla maggiore o minore frequenza di atteggiamenti xenofobi nei diversi paesi, sta di fatto che il contatto improvviso, impreveduto, di individui appartenenti a diverse tradizioni culturali, specie poi quando i «diversi» alimentano una concorrenza nel mercato del lavoro, genera inevitabilmente conflitti etnici, che si aggiungono a tutti gli altri conflitti da cui ogni società è lacerata. Esiste una soluzione del problema che possa considerarsi di sinistra? Le soluzioni estreme sono, com’è noto, o l’assimilazione o il riconoscimento e conseguente regolamentazione di una società multiculturale. Quale delle due soluzioni può dirsi di sinistra? Si può dire che una soluzione è più di sinistra di un’altra? […]
Ho sollevato tutti questi dubbi perché ritengo che il «futuro del socialismo» dipenderà dal modo con cui li saprà affrontare e risolvere. Ciò di cui non ho mai dubitato è della esistenza e della permanenza della «grande divisione», nonostante sia in quest’ultimi tempi, quasi sempre banalmente, contestata. La «grande divisione» è tanto più evidente oggi che si allunga il nostro sguardo al di là dei nostri paesi economicamente avanzati, e si osserva quello che accade nel Terzo e nel Quarto Mondo, in quello che è stato chiamato il «pianeta dei naufraghi».
Non ne ho mai dubitato, perché non è mai tramontata la stella polare cui ha sempre guardato e continuerà a guardare il popolo di sinistra per trovare la propria rotta in tutte le tempeste della storia: l’ideale dell’eguaglianza. La grande sfida cui oggi si trova di fronte il socialismo in tutto il mondo è la vittoria del mercato. Ma il mercato, nel momento stesso in cui libera immense energie, crea enormi e intollerabili disuguaglianze. Pertanto la vittoria del mercato non solo non rappresenta la fine della sinistra (e tanto meno la fine della storia), ma ricrea continuamente le condizioni per la sua perpetuazione.
Norberto Bobbio
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