Il
ritorno dello Spread ai livelli dell’autunno scorso sta contribuendo a
mettere in crisi il Governo Monti. La fiducia taumaturgica che era stata
riposta nel Governo Tecnico vacilla. Sono sempre più numerosi coloro che pensano
che la via intrapresa per risolvere la
crisi non sia quella giusta.
Lo scorso mese di gennaio Daniele Bivona ha
provato a spiegarci, da un punto di
vista strettamente finanziario, le
ragioni dell’impennata dello Spread. Una spiegazione diversa ce la offre oggi
Raniero La Valle in un articolo,
pubblicato ieri su MicroMega,
che riproponiamo:
SERVIRE DIO E LO SPREAD
Il martedì nero è stato un brutto risveglio dopo la radiosa notte di Pasqua.
Lo Spread, cioè il differenziale tra i titoli italiani e tedeschi, è schizzato
di nuovo sopra quota 400, come ai peggiori tempi di Berlusconi, e le Borse sono
sprofondate.
Il magico professor Monti, che si trovava in Egitto, ha fatto sapere che lui
non poteva farci niente, che la cosa non dipendeva da cause “endogene”, cioè
italiane. Erano i Mercati. Gli speculatori, cioè i signori del Mercato, avevano
preso un’altra rincorsa per arricchirsi a spese nostre e di altre economie
dell’Occidente.
Poi si sono ritirati, fino alla prossima occasione.
La delusione è stata cocente. Noi avevamo fatto tutto per lo Spread. Per lo
Spread avevamo mandato via Berlusconi, dopo non esserci riusciti per anni per
altre cose, anche più gravi, che stava facendo ai danni della Repubblica.
Per lo Spread avevamo venduto l’anima, e la politica, a una squadra di
tecnici che sembrava fossero gli unici a sapere che cosa si dovesse fare (né
mancavano di dircelo).
Per lo Spread avevamo gettato nella disperazione quelli che avrebbero dovuto
essere pensionati e d’improvviso più non lo furono.
Per lo Spread avevamo tolto soldi ai Comuni e alle Imprese, togliendo
assistenza ai vecchi, asili ai bambini, guide ai ciechi, e mettendo in mezzo
alla strada lavoratori nel pieno della loro capacità operativa.
Per lo Spread avevamo aumentato le tasse, di ogni genere e misura.
Per lo Spread avevamo aperto a freddo un conflitto caldissimo sull’art. 18 e
sui diritti del lavoro.
Per lo Spread avevamo liberalizzato perfino i tassì, che ora riempiono tutte
le strade e non sappiamo dove metterli.
Ed ecco che lo Spread si rivolta contro di noi, non era un idolo a cui
bastassero i sacrifici umani. E ci dicono che non c’è niente da fare, bisogna
stare nei rifugi aspettando che finiscano i bombardamenti, come quando c’era la
guerra, e qualcuno ancora se lo ricorda.
Ma a chi è posta la questione?
La questione non è posta all’economia, è posta alla politica. Perché
l’economia, dopo che le abbiamo sciolto le briglie, le abbiamo tolto lacci e
lacciuoli, le abbiamo permesso di battere non solo moneta, ma derivati, usure e
prodotti finanziari di ogni tipo, corre libera e felice lì dove trova profitti
rendite e potere. Ma è stata la politica che ha fatto questa scelta. È lei che
si è invaghita del liberismo, che nemmeno Einaudi immaginava così
incontrollato.
E a rovesciare le conquiste costituzionali e internazionaliste del
dopoguerra, prima sono arrivate le politiche reaganiane e tatcheriane, poi le
politiche dei neofiti del capitalismo nei Paesi dell’Est, poi le politiche
subalterne delle sinistre europee, di Tony Blair, dei partiti postcomunisti.
La conseguenza è che gli Stati, le democrazie, non hanno più in mano gli
strumenti per governare il corso delle cose. Non la moneta, non la leva del
credito, degli investimenti, delle politiche industriali, delle partecipazioni
statali. Siamo in mano a poteri incondizionati e incontrollabili, siamo
affidati a automatismi che nessuno può fermare.
Abbiamo manomesso anche la Costituzione, facendo del pareggio di bilancio
non un’opzione politica ma un obbligo giuridico, e in quattro e quattr’otto
abbiamo cambiato l’art. 81; e quando entrerà in vigore il “Fiscal compact”
firmato a Bruxelles, i governi dovranno andare a giustificare le loro politiche
economiche non davanti ai Parlamenti ma alle Corti di giustizia.
Un monito si leva allora da questa lezione: non compiamo altri atti
irreversibili, che ci mettano in condizioni di sempre maggiore impotenza. Non
continuiamo a fare scelte che decidano per noi una volta per tutte. Non
continuiamo a firmare trattati, a cambiare Costituzioni, a alienare diritti per
cui, ai figli che chiedono pane, dovremo dare pietre, dicendo che è Maastricht,
che è l’euro, che è il Patto di stabilità, che è la Banca centrale, che è il
debito.
Cioè, torniamo alla politica. Chi non vede che la crisi dei partiti sta
anche nel fatto che in realtà non possono fare più nulla per dare vere
risposte, per dare aiuto alla vita della gente che rappresentano?
La Repubblica non può fare più nulla di quelli che sarebbero i suoi compiti
secondo la Costituzione: garantire, tutelare, curare, provvedere, rimuovere gli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e così via. E
non potendo fare nulla per il bene comune, i partiti sono rimasti senza causa.
È rimasto solo il potere, e la lotta per il potere.
È colpa loro, hanno tagliato i rami su cui erano seduti.
Ed è qui il vero incentivo alla corruzione: i soldi dei finanziamenti
statali, non impiegati per mettere in grado i partiti di fare politica, di
servire gli interessi pubblici, sono destinati, dai partiti disonesti e dagli
amministratori infedeli, ai godimenti privati. Non solo perciò bisogna rendere
trasparenti i soldi dei partiti, ma bisogna vincolarli a fini sociali. Se non
vogliono più fare i comizi, che almeno facciano una scuola.
Raniero La Valle 25 aprile 2012
fonte:
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/04/25/raniero-la-valle-servire-dio-e-lo-spread/