10 luglio 2017

G. G. BATTAGLIA, Un poeta dentro la CGIL












          Sull'ultimo numero della rivista DIALOGHI MEDITERRANEI  -  http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/giuseppe-giovanni-battaglia-un-poeta-corsaro/potete leggere integralmente il testo dell'intervento che ho svolto l'anno scorso ad un Convegno dedicato alla memoria del compianto Pino Battaglia. Di seguito ripropongo un brano del mio testo:


     Un poeta corsaro dentro la CGIL

            Sia Pasolini che Battaglia hanno avuto chiara consapevolezza che l’universo contadino, da entrambi, forse, un po' idealizzato, fosse condannato a scomparire. Eppure, così come Pasolini non avrebbe scambiato una lucciola per tutta la Montedison, Battaglia considerava più prezioso un piccolo albero d’ulivo che l’intero stabilimento della FIAT di Termini Imerese. Le ragioni del cuore, cui si richiama esplicitamente Pino Battaglia in una importante nota introduttiva ai suoi ultimi versi scritti nella «lingua della madre»[1], sono state sempre anteposte dai due poeti alle ragioni della storia.
            Una spia dei profondi mutamenti sociali in corso, Battaglia li avverte già nella metà degli anni '70, quando, ancora studente universitario ospite del Pensionato palermitano di S. Saverio, tornando al suo paese non si sente più riconosciuto dai vecchi contadini. Scriverà più tardi: Unni nascivu ‘un mi canuscinu chiù (dove sono nato non mi riconoscono più). Proverà, infatti, sgomento davanti alla piazza vuota del suo paese.[2]
            Verso la fine degli anni '70 Battaglia comincia a scrivere anche in prosa. Ma in tutto quello che scrive si trova sempre un fondo di poesia. Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai pezzi che pubblica su un periodico palermitano nel biennio 1979/1980.
            A differenza di Pasolini, infatti, Battaglia scrive questi articoli su un modesto periodico della Camera del Lavoro di Palermo, intitolato  SINDACATO, che pochi leggevano. A spingerlo a scrivere e a pubblicare su questa testata sarà lo stesso direttore del periodico, Aurelio Colletta, che, conosciuto Pino quand’era ancora un suo alunno dell’Istituto Tecnico Commerciale di Termini Imerese, ed avendo letto con simpatia i suoi primi versi, gli affida, senza alcuna esitazione, l’autogestione di una pagina della  rivista, oltre alla cura di alcune originali inchieste, pur sapendo quanto fosse imprevedibile e poco addomesticabile il poeta.
            Battaglia dimostra la sua autonomia e indipendenza di giudizio, la sua profonda laicità, appunto, fin dal suo primo pezzo, intitolato Corsivo, pubblicato nell’aprile del 1979. Qui, infatti, insieme ad alcuni brani (allora inediti) de L’ordine di viaggio, vede la luce un testo polemico, intitolato DAI PRIMI ANNI 50, in cui si rappresenta un dirigente sindacale che rivolge a dei giovani compagni questa domanda:
[…] in una delle mie mani ho una patata
bollita, nell’altra Proust;
al contadino che mi
sta di fronte cosa è giusto che io dia? E cosa
pensate, se gli fosse dato di scegliere, che
prenda?
            Lo stesso Battaglia, caustico, risponde:
Aveva, di già, scelto per il contadino la patata bollita; aveva disposto che solo quella gli era necessaria.[3]
            Come si vede, pur scrivendo su un foglio della CGIL, Battaglia non teme di criticare l’operato di tanti sindacalisti del tempo, dimostrando, ancora una volta, quanto laico fosse il suo punto di vista in anni in cui i furori ideologici e lo spirito di appartenenza prevalevano nettamente sullo spirito critico.
            Un mese dopo intervista il poeta cileno Herman Castellano Giron e, successivamente, pubblica un lungo resoconto dell’incontro che il cileno ha con gli operai di una fabbrica palermitana.[4]
                In un graffiante articolo del giugno 1979, intitolato Sindonia di anime morte, prendendo spunto dalle notizie relative alle famigerate imprese del banchiere Michele Sindona, sferra un duro attacco al sistema di potere democristiano con un esplicito richiamo al famoso articolo sulla scomparsa delle lucciole di Pasolini. Ne riprendiamo di seguito l’amaro e sarcastico passo finale:
O mostri dell’intelligenza, menti mostruosamente fantastiche, genìa sublimemente illuminata. O sterminatori di lucciole e di rami, amici degli uomini e della poesia, puri di cuore che, anche, il cielo asseconda. Noi, adesso, ammirando la vostra Opera, non possiamo fare a meno di dire: oh! Ci inchiniamo meravigliati ai vostri piedi, […]. E, se la distruzione delle lucciole pasoliniane, che, dice Renard, figlie di una goccia di rugiada e di un raggio di luna, sembra sempre più definitiva, a noi certo poco interessa; noi ci inchiniamo alle grandiose città; ai centri storici; alle fabbriche, alle scuole. Ci inchiniamo alle immense opere di Lor Signori. E siamo felici, lo confessiamo. Il mondo, ormai, è davvero mondo. Muoiono le lucciole ed, anche, i fiordalisi, finalmente. Le morte cose ritornano alla terra. Ma la storia, dice un compagno contadino, è una pentola senza coperchio.[5]
         Sarcasmo a parte, Battaglia nel 1979 mostra ancora di avere fiducia nella storia, non si spiegherebbe altrimenti il rimando alla battuta finale, mutuata dal compagno contadino.
            Ma il pezzo che mostra, inequivocabilmente, quanto il poeta di Aliminusa avesse assimilato in profondità lo stile dello scrittore corsaro, capace di scandalizzare i benpensanti di destra e di sinistra, viene pubblicato nel novembre del 1979. L’articolo, intitolato Note ai margini di un funerale, è dedicato ad uno dei tanti “funerali di Stato” celebratisi a Palermo in onore dei rappresentanti delle Istituzioni caduti sul fronte dell’antimafia. Battaglia ricorda che l’espressione Carinu comu li pira viene usata a Palermo per indicare i morti ammazzati dalla mafia. Il poeta è colpito, soprattutto, dall’indifferenza che traspare già da questo modo di dire. Ma, a differenza di tanti altri, prova a darne una spiegazione non moralistica, avvalendosi, oltre che di Rousseau, di una antica metafora contadina:
La violenza che è nell’indifferenza, soglia di ogni male, a Palermo si respira ovunque. Negli occhi degli uomini, vuoti, come l’occhio delle capre. Negli occhi impertinenti dei bambini, impudichi, che, in questa sciagurata città, la vita porta a disprezzare sé e gli altri. Non è problema di educazione e rieducazione; la violenza che è nell’indifferenza, soglia di ogni male, affonda le radici, per fermarci alle cose vicine, in quella classe di inetti e spergiuri che, da trenta anni, ha governato all’insegna del detto tiriamo a campare (o ad ammazzare?), assopendo la coscienza dei molti, consentendosi rapacità principesche. Da educare e rieducare c’è, soltanto, la classe politica al potere. (Rousseau: È certo che i popoli sono alla lunga ciò che il Governo li fa essere…). Vale il principio della terra da seminare. Bruciare le male erbe, spetrare, tracciare i solchi e arritibulari, cioè ripassare con l’aratro il terreno, in senso contrario; si potrà, poi, seminare. Soltanto dopo aver zappato i fili di grano primieri e tolte le male erbe[…] si potrà mietere e raccogliere. Vale, per questo Stato, il principio della terra da seminare, se si vuole raccogliere.[6]
            Particolarmente tagliente la stoccata finale contro la retorica dei “funerali di Stato”:
Il F. S. - mi si perdoni la brutalità, ma la cosa è brutale - serve ad incontrarsi e a tessere e disfare orditi. Nella sfarzosa cornice della Cattedrale, molte, troppe persone sembrano dicessero: volemose bene.[7]


[1]              G. G. Battaglia, Nota dell’autore (1992) all’ultima edizione de L’Ordine di Viaggio, 1968-1992, comprendente gli ultimi versi scritti in dialetto da Battaglia Fantasima e Discesa ai morti (1992), ora nella nuova edizione Arbash già citata, p. 143.
[2]              La chiazza vacanti è il titolo di una sua poesia.
[3]              SINDACATO. Periodico della Camera del Lavoro di Palermo, n. 3, aprile 1979, p. 22.
[4]              Ivi, n. 4, maggio 1979, pp. 4-7. Significativo appare il fatto che lo stesso periodico, qualche mese dopo, e precisamente sul n.7/1979, pubblichi un profilo di Neruda firmato dallo stesso H. Castellano Giron.
[5]              Ivi, n. 5, giugno 1979, p. 21. Sottolineatura mia.
[6]              Giuseppe Battaglia, Note ai margini di un funerale, in SINDACATO, novembre 1979, pp. 5-6.
[7]              Ibidem, p. 6.

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