16 luglio 2017

UN PENSIERO VIVENTE E POLIMORFO




Una ricerca sulle comuni radici dell'umanità di Ananda Coomaraswamy. Un testo esoterico nel senso vero del termine, senza sensazionalismi o derive new age.

Giuseppe Montesano

Quando gli dèi danzavano con le idee degli uomini
Vogliamo aprire un promettente romanzo esoterico intitolato La tenebra divina e capire quale tenebrosa storia ci racconta? Non è facile, perché i veri thriller non sono riassumibili, ma, in sintesi un po’ brutale e casuale, ecco alcune delle sorprese che il thriller ci fa: scopriamo che Dio è maschio e femmina, e non è maschio e femmina solo il dio che incontriamo nei sacri testi indiani dei Veda o nel misterioso Ermete Trismegisto, ma ce l’hanno anche il più serio Jahvè e suo Figlio, e capiamo infine che è maschio e femmina ogni dio di ogni religione, e che l’unione sessuale e la fecondità sessuale e il gioco sessuale fanno parte degli dèi e di Dio; scopriamo poi che il cattolico San Tommaso D’Aquino diceva su Dio le stesse cose dette tremila anni prima dal Rigveda, e che esiste da sempre una sorta di società semisegreta i cui adepti studiano religioni diverse che però considerano discendenti da una religione eterna, la quale è una religione ma ancor più una filosofia; e scopriamo che le Lettere di San Paolo, la Bhagavadgita, le Upanisad, i poemi persiani e arabi, i poemi e i miti greci, il Graal e il dio Brahma sono connessi come in un puzzle elettronico; e poi…

E poi, a questo punto, bisogna svelare che le storie culturali raccontate nel nostro bizzarro romanzo non le ha scritte un Borges in preda all’Lsd, né un Maestro tantrico reincarnatosi in Philip K. Dick, ma il grande studioso Ananda Coomaraswamy. La tenebra divina non è un romanzo, ma una raccolta di saggi pubblicati da Adelphi a cura di Roberto Donatoni, e va a completare due libri essenziali che sono Il grande brivido e La danza di Shiva pubblicati sempre da Adelphi. Eppure se questo libro non è un romanzo, i singoli saggi che lo compongono sembrano avere la struttura di racconti, di tasselli conoscitivi che finiscono col comporre una specie di stupefacente narrazione su argomenti che vengono in genere definiti “esoterici”: e quando si dice stupefacenti non si esagera, perché l’effetto di questi scritti è quello di una droga.
Il famigerato esoterismo, oggi spruzzato come mistero d’accatto dentro libri su codici e angeli che non valgono la carta su cui sono scritti, diventa in Coomaraswamy una lente quasi magica per leggere una verità essenziale nel brulicare di teorie e miti del Passato: un Passato che scopriamo essere in realtà anche un Presente e un Futuro, dal momento che Coomaraswamy ci spiega, solidale con tutti i sapienti che cita, che il Tempo non esiste così come lo concepiamo noi, e che le nostre vite, che crediamo individuali e separate dal Mondo e da Dio, sono come la spuma dell’onda: noi compariamo per un attimo, realissimi e concreti e molteplici come l’onda e la spuma dell’onda e la goccia che si stacca per un attimo dalla spuma dell’onda, ma poi siamo riassorbiti nel mare che è eterno e unico da sempre e per sempre: come Dio e il Mondo.

I racconti culturali che traboccano dalla Tenebra divina, e che a volte sembrano usciti dalla mente di un visionario, sono il frutto del lavoro accurato di uno studioso indiano che lavorava al Museum of Fine Arts di Boston a capo della sezione di arti orientali, capace di leggere il sanscrito e il pali, il greco e il latino nonché le principali lingue occidentali, e che a un certo punto della sua vita fu influenzato dalle teorie di René Guénon, l’autore del Re del Mondo e di altri scritti che oscillano anch’essi tra il romanzo culturale lisergico e il serio studio comparativo. 
Libri come La tenebra divina ci pongono una domanda radicale: perché mai in tempi di algoritmi dovremmo leggere “roba” che parla di dèi? E la risposta è semplice: perché gli algoritmi ci sono già nei Veda, perché la storia delle civiltà e delle idee è il romanzo più affascinante che ci sia, e anche perché nell’abisso lontano da cui emergono accoppiamenti di dèi e idee ci sono pensieri che potrebbero essere utili per noi ora.

Per esempio l’idea di Coomarasewamy che la tolleranza religiosa non va intesa come sopportazione indifferente, ma scaturisce dal pensiero che c’è un’unica verità e che ogni religione è solo il riflesso di quell’unica verità che nessuna religione possiede completamente: non sarebbe utile oggi capire che la parola stessa “religione” è pronunciata in modo abusivo? E scopriamo poi in Coomaraswamy l’idea che Platone, i Veda, le Upanisad e Cristo dicevano la stessa cosa, e cioè che Dio e gli dèi si manifestano giocando, e che gli esseri umani, imitando Dio, non possono fare niente di meglio che giocare: «L’attività di Dio è chiamata “un gioco” proprio perché si dà per scontato che egli non abbia fini propri da perseguire; è in questo stesso senso che la nostra vita può essere “giocata”’, e che, nella misura in cui la nostra parte migliore è presente in essa senza però appartenerle, la nostra vita diviene un gioco. A questo punto non possiamo più distinguere il gioco dal lavoro».

E se a qualcuno sembrasse di aver letto qualcosa del genere nel Marcuse di Eros e civiltà, sappia che Coomaraswamy non filosofeggia, ma cita alla lettera i Vangeli, Platone e la storia delle religioni. E ci si chiede: se per caso oggi questa idea fosse approfondita, e si scoprisse che stava alla base di grandi civiltà passate ma che non sta alla base della nostra meschina civiltà di eurobond e terrore, e che quelle grandi civiltà costruivano e scrivevano meraviglie e noi costruiamo e scriviamo scemenze: questo non ci darebbe da riflettere? E non sarebbe interessante sottoporre l’idea di lavoro come gioco agli attuali reggenti del pianeta, che ci impongono il lavoro come annullamento di ogni creatività? 
Ecco a cosa servono i romanzi culturali come La tenebra divina: a farci uscire dall’analfabetismo mentale totalitario, perché se l’analfabetismo mentale si fregia oggi di essere “contemporaneo”, non perciò smette di essere totalitario: e a noi non serve un pensiero unico e mortuario del mondo, asservito alla tecnocrazia e all’economicismo, a noi servirebbe un pensiero vivente e polimorfo: un pensiero con molti dèi e molte idee che giochino e facciano l’amore tra di loro.


La repubblica – 30 giugno 2017

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