Radici storiche e
significati esoterici di un viaggio alla fine della terra e ritorno.
Le foto sono quelle del nostro personale cammino.
Raffaele K. Salinari
Il cammino di Santiago
di Compostela
Il 25 di luglio gli
spagnoli festeggiano il loro santo protettore: San Giacomo il
Maggiore, fratello di Giovanni, entrambi
soprannominati Boanerges (Figli del Tuono), per il loro
temperamento impulsivo. Da più di mille anni, ogni giorno, centinaia
di persone abbracciano la sua statua nella Cattedrale di Santiago di
Compostela, in Galizia. Sono i Pellegrini che convergono verso questo
antico luogo di culto dai vari Cammini che, da tutte le nazioni del
Vecchio Continente, arrivano alla città costruita intorno alla tomba
dell’Apostolo. La leggenda jacobea narra della sua predicazione in
Galizia. Qui arrivato dalla Palestina convertì i locali al
cristianesimo e dopo qualche anno fece ritorno a Gerusalemme in
occasione della Dormizione mariana, dove, nel 42, fu decollato per
ordine di Erode Agrippa I. I suoi discepoli, ligi alla tradizione che
il corpo di un predicatore doveva essere sepolto nella terra in cui
aveva operato, lo riportarono in Galizia, nel luogo che poi si chiamò
Santiago di Compostela.
La leggenda del Campo
delle stelle
Compostela deriverebbe
dal latino campus stellae, cioè campo della stella. Secondo
una tradizione medievale che appare per la prima volta
nella Concordia de Antealtares (1077), l’eremita Pelayo
(Pelagio), scorse delle luci notturne a forma di stella che si
producevano nel bosco di Libredón, dove ancora esistevano le
vestigia delle antiche fortificazioni di un antico villaggio celtico.
A questo punto, illuminato più che dalle piccole comete, da una luce
interiore, avvisò il vescovo di Iria Flavia (l’attuale Padrón),
Teodomiro, che, recatosi sul posto, scoprì un sarcofago con i resti
di tre corpi, due intatti ed uno senza testa, ed una scritta: «Qui
giace Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomé». Il prelato decretò che
si trattava dei resti dell’apostolo Giacomo e dei suoi due
discepoli Teodoro e Attanasio, che ne avevano trasportato il corpo
sino a lì.
Altra teoria riguardo
l’origine del nome è legata al latino composita tella (terra
felice), in realtà un eufemismo per cimitero, data la presenza
nel luogo di una antica necropoli. IlCronicón Iriense (XI-XII)
invece, lo fa derivare da compositum tellus, terra composta o
bella, sostenuto anche dalla Crónica de Sampiro del XII
secolo che dice: Compostela, id est bene composita (cioè
che è ben fatta). E dunque Compostela sarebbe risultata sin
dall’antichità romana una «cittadina ben fatta», come poi la
renderà la ricostruzione e fortificazione del XI secolo dopo la
distruzione dell’arabo Almanzor nel 997. Fu Bermudo II di León a
ricostruirla, ma si deve al vescovo Diego Xelmírez la trasformazione
della città in luogo di culto e pellegrinaggio, facendo terminare la
costruzione della Cattedrale, iniziata nel 1075, ed arricchendola con
numerose reliquie. Crespo Pozo e Luis Monteagudo, a questo proposito,
lo considerano un toponimo pre-jacobeo, perché ci sono
più Compostelas in Galizia.
Ma esiste da ultima, e
non per ordine di importanza, una interpretazione che lega il culto
cristiano all’esoterismo alchemico di cui il Cammino, come vedremo,
è una metafora non solo astratta ma decisamente operativa.
Questa interpretazione nasce dalla leggenda secondo cui il corpo
dell’Apostolo, deposto su una pietra, comincio a fonderla
costruendo così il suo stesso sepolcro. Ángel María José Amor
Ruibal (1869–1930), un canonico insegnante dell’Università di
Compostela, nel suo ponderoso Los problemas fundamentales de la
filología comparada, ricorda che il significato originario
di compositum, è «interrato», che già compare in Virgilio, e
dunque lo interpreta come «luogo dove sta interrato qualcosa».
In questo caso certo il corpo di San Giacomo che, per così dire, si
scava il suo stesso sepolcro, ma anche dove resta interrata, cioè
impressa a fondo sulla superficie terrosa di uncompositum, una
stella.
Ora, come risaputo anche
dai profani, la prima fase dell’Opera alchemica è detta «opera al
nero», dal colore del compost appunto che si ottiene dalla
dissoluzione della cosiddetta Prima Materia, che ritroveremo lungo il
Cammino di Santiago. Quando si sta per passare alla seconda fase
dell’Opera, quella «al bianco», i testi alchemici dicono che
«sul compostappare una stella», segno della progressiva
formazione del sale, lo «zolfo filosofico». E dunque, in
conclusione, compost stellae, Compostela, indicherebbe il
passaggio dalla prima alla seconda fase della Grande Circolazione.
La storia della
Cattedrale ed il Cammino
La scoperta del sepolcro
fu propizia per Alfonso II delle Asturie detto «il Casto»
(789-842), che fece un pellegrinaggio — annunciato all’interno
del suo regno ed all’esterno — in questo nuovo luogo di culto
della cristianità, in un momento in cui l’importanza di Roma era
decaduta e Gerusalemme non era accessibile perché posseduta dai
musulmani. Il sovrano ordinò dunque la costruzione di un tempio dove
i monaci benedettini, nell’893, fissarono la loro residenza.
Iniziarono così i primi pellegrinaggi alla tomba dell’Apostolo,
dapprima dalle Asturie e dalla Galizia poi da tutta Europa. Venne
allora fondato il Santuario di Santiago di Compostela, divenuto in
seguito Cattedrale e poi Basilica. E così, attraverso antiche vie
prevalentemente romane o tracciate nel corso del tempo dai
pellegrini, si aprono i Cammini verso Santiago, composti da varie
tappe e da una serie crescente di Ospitali, luoghi di accoglienza che
forniscono un letto per la notte ed un pasto frugale per chi chiede
accoglienza nel nome del Santo. Nel corso dei secoli tutto questo non
è cambiato molto, ed ancora oggi la logistica del Cammino è a
misura dello spirito di chi lo percorre. Se si osservano bene molti
degli edifici anche nelle nostre città, si ritrova effigiata una
conchiglia di San Giacomo o una stella, segno che anticamente questi
erano poste per i Pellegrini.
Anche le fortune del
pellegrinaggio sono legate alla storia del Continente, ovviamente.
L’uso politico del Sepolcro divenne massimo durante
la reconquesta cristiana dei territori iberici occupati dai
Mori, basti pensare all’icona di Santiago Matamoros, cioè uccisore
di Mori. Questa trovata, totalmente avulsa dalla storia pastorale
dell’Apostolo, trova la sua origine nella scena originaria della
miracolosa intercessione del Santo nella Rioja, attorno al castello
di Clavijo, dove Santiago, su un cavallo bianco, avrebbe guidato alla
vittoria le armi cristiane di Ramiro I d’Asturia contro i musulmani
di Al-Andalus il 23 maggio 844. L’episodio diede una forte spinta
al Pellegrinaggio, sostenuto anche da un decreto apocrifo attribuito
al medesimo Ramiro I, di un tributo annuo di primizie di grano e
vino, dovuto da tutta la Spagna «para el mantenimiento de los
canónicos que residen en la iglesia del bienaventurado Santiago y
para los ministros de la misma iglesia» al fine di «magnificare e
conservare la Cattedrale di Santiago in segno di profonda gratitudine
e perenne devozione per la liberazione della Spagna».
Con la liberazione dei
luoghi santi in Palestina e le lotte tra papato ed impero in Europa,
il Cammino venne trascurato per secoli, anche se i Pellegrini
continuarono, seppur in chiave minore, il loro percorso devozionale o
di ricerca spirituale. Il rilancio avvenne nello scorso secolo
quando, il 23 ottobre 1987, il Consiglio d’Europa riconobbe
l’importanza dei percorsi religiosi e culturali che attraversano
l’Europa per giungere a Santiago de Compostela, dichiarando la via
di Santiago «itinerario culturale europeo», anche finanziando
adeguatamente le iniziative per segnalare in modo conveniente el
camino de Santiago.
Oggi, come secoli fa,
esistono dunque diversi Cammini: la Ruta de la Costa, cioè la
via di Santiago lungo la costa cantabrica, è quella più antica, a
testimonianza che i Pellegrini arrivavano a Santiago da porti
atlantici anche più ad est di La Coruña. Le principali vie di terra
sono descritte nel Codex calixtinus (il Liber Sancti
Jacobi) ed erano, e sono ancora: dall’Italia, la via Francigena
attraverso i passi del Moncenisio o del Monginevro, e poi la via
Tolosana fino ai Pirenei; dalla Francia, la via Tolosana,
utilizzata anche dai pellegrini tedeschi provenienti
dalla Oberstrasse, la via Podense da Lione e Le
Puy-en-Velay, che passava i Pirenei a Roncisvalle, la via
Lemovicense, da Vézelay per Roncisvalle, la via Turonensis da
Tours, che raccoglieva i pellegrini che arrivavano dall’Inghilterra,
dai Paesi Bassi e dalla Germania del nord lungo la Niederstrasse. Per
qualunque di questi Cammini arrivassero i Pellegrini, il punto di
raccolta era, ed è, il Puente la Reina. Esiste infine il Cammino
Portoghese che parte da Lisbona, passando poi da Coimbra e Porto, ed
arriva a Santiago dopo circa 700 kilometri.
I simboli del Cammino
Il Pellegrino che
intraprende il Cammino, si dota dei simboli del pellegrinaggio, che
lo rendono riconoscibile e gli danno un profondo senso identitario e
di comunione con gli altri che percorrono la stessa strada. In
origine, ad ancora oggi, sono fondamentalmente tre: il bastone, la
zucca e la conchiglia. Il bastone rappresenta la «terza gamba» del
viandante alla quale appoggiarsi durante le salite faticose o
semplicemente per scostare i rami che possono nascondere insidie; al
bastone si appendeva poi la zucca per l’acqua, oggi sostituita
dalle moderne borracce. Un tempo senza bastone non si veniva accolti
negli Ospitali perché era con questo che si doveva bussare alla loro
porta. Infine ecco la conchiglia, simbolo del Cammino per
antonomasia, onnipresente come indicatore della giusta direzione sui
cippi miliari o cucita sugli abiti del viandante. La conchiglia era
una tempo raccolta all’estremo limite del Cammino, che oltrepassava
Santiago per giungere, ancora oggi, a Fisterre, cioèfinis terrae, la
«fine della terra» come, prima delle scoperte di Colombo, veniva
considerata questa punta all’estremo ovest della Galizia. Qui,
sulle spiagge ventose scosse dalle onde dell’Atlantico, il
Pellegrino raccoglieva la sua conchiglia, detta di San Giacomo, come
prova del compiuto pellegrinaggio. Oggi la conchiglia si prende
all’inizio del Cammino e si porta sempre con se, ma arrivati a
Fisterre, si cercherà la propria conchiglia finale, magari insieme a
qualche cosa di altro, di cui tra poco parleremo, e si brucerà un
indumento usurato dal percorso come simbolo di rinascita. Altri
getteranno il bastone tra le onde del grande mare antico osservando
il sole al tramonto compere la sua opera sullo spirito.
Il viaggio alchemico
Ma, da sempre, il Cammino
ha rappresentato per gli adepti, o per coloro che volevano essere
iniziati alla Grande Opera, una prova preliminare della loro volontà
di intraprendere un percorso mistico all’interno della materia come
di se stessi. Abbiamo già detto che il nome stesso di Compostela
richiama la prima fase dell’Opera, ma è giusto chiarire che la
mortificazione di cui parla l’«opera al nero», la nigredo,
il caput mortuum, è innanzi tutto, qui, metafora del corpo
stesso dell’adepto che, attraverso le fatiche del viaggio, impara a
conoscere la sua Prima Materia, fondendosi col Cammino, imparando il
dono del silenzio, della meditazione, dell’ascolto dei simboli
naturali che la Grande Madre gli propone ad ogni incrocio. E così
ogni passo diviene un destino, ogni battito un attimo di tempo fuori
dal tempo, ogni respiro quello che ci fece nascere, ogni sasso
l’immagine della nostra stessa anima che, rotolando senza posa sul
sentieri scoscesi ed impervi, sulle allungatoie della conoscenza,
potrà forse, un giorno, purificarsi tanto da pervenire a farsi
attraversare dalla lice dello spirito che tutto anima e vivifica.
Se questo percorso nella
materia del Cammino avviene anche nello spirito del Pellegrino, ecco
che l’«opera al nero» sarà compiuta poiché, com’è risaputo,
l’alchimia è un’Arte operativa nella quale la materia operata
nel crogiolo alchemico, nel crucibulum, cioè sulla croce del
sacrificio, corrisponde alle trasformazioni dell’operatore, creando
un sistema di intime corrispondenze. E cosa sono queste se non la
possibilità che viene offerta lungo il Cammino di identificarsi
progressivamente con tutto, con il Tutto?. Ecco, allora, che ogni
crocefisso in pietra assume una tonalità che travalica quella
puramente cristiana: la sua forma esagonale ci ricorda la
trasformazione del quadrato, la terra, nel cerchio del cielo.
Arrivati adesso alla
grande Chiesa potremo, nel Portico della Gloria, se conosciamo il
significato del gesto, porre le nostre braccia all’interno delle
due bocche di leone dominati da Ercole, che campeggiano alla base del
pilastro centrale, per simboleggia la padronanza della Forza, per poi
appoggiare la nostra testa a quella della piccola statua di Maestro
Matteo l’architetto che edificò la chiesa, come segno di rispetto
ed invocazione della sua Saggezza muratoria, ed infine entrare nella
Bellezza della chiesa perché il suo splendore compia in noi tutto
questo.
Il Manifesto/Alias – 22
luglio 2017
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