20 luglio 2017

LA PALERMO DI NICOLA LO BIANCO



Una metafora di Palermo


L’opera di Nicola Lo Bianco, In città al tramonto, Bastogilibri (2017), è un condensato di storie, immagini, visioni che connotano una città, Palermo, raccontata da personaggi che, pur essendo ai margini della società, sono ricchi di liricità ed umanità. Rappresenta una vera novità letteraria in quanto è una scrittura di notevole energia e vitalità in cui risalta soprattutto l'umanità dei personaggi. Il Nostro poeta, come da cantastorie popolare, ci regala un gioiello di sette racconti di prosa poetica i cui protagonisti, in parte folli e visionari, diventano man mano emblemi di una condizione tragicomica della vita, riuscendo a trasmettere, nonostante i loro drammi e le contraddizioni, valori di giustizia, fedeltà, libertà. Tuttavia, la modernità della narrazione di Nicola Lo Bianco consiste non solo nell’energica espressività della prosa poetica, ma soprattutto nel linguaggio e nello stile di vivace coralità. Spesso  la mancanza di punteggiatura e di cesure presente in alcuni testi sembra riecheggiare lo stile dei poeti del Primo Novecento, mentre i dialoghi dei vari personaggi, vivificati da una commistione di lingua e dialetto, fanno pensare allo sperimentalismo linguistico dei grandi scrittori delle Neoavanguardie, ne è un esempio la sezione “Cristofalo”, in cui si parla della figura di questo presunto “folle”, il quale, dopo avere ucciso gli assassini di suo nonno, conduce una vita ai margini della società, una specie di cosciente clochard  quasi a espiazione della sua colpa.
Un altro esempio è il monologo un po’ strampalato e surreale,  capace però di  inquietanti visioni apocalittiche, del commovente  personaggio di Isidoro:  un lucido, diciamo così, malato di mente e recluso in manicomio. << Io malatu sugnu? ‘Un sugnu malatu. Dici ca sono malato. Non/sono malato, sono fatto di cristallo fino./Toccami. Mi tocco e mi rompo, ma non sono malato . . ./è ca m’insonnu tanti testi appizzati/ […].    
Nel racconto Le cose da fare di Agostino, Nel personaggio, uomo semplice di un’ingenuità quasi fanciullesca, si può trovare un nesso con  i personaggi beckettiani di “Aspettando Godot” sotto il profilo dell’assurdo e del non-senso.  Il cinquantenne Agostino, disoccupato, in giro per la città e sfaccendato, stanco della inutile routine quotidiana, in preda ad un raptus di follia, tenta il suicidio;  è paradossale che sia proprio un venditore ambulante tunisino, un’altra creatura ai margini di questa città multietnica e composita, a salvarlo.
Nel dialogo di Fifì e Marò sembra riecheggiare l’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. I due personaggi del racconto, marito e moglie, si incontrano dopo morti e si rinfacciano, pure nell’aldilà, tradimenti, rancori, ricatti e ogni sorta di miserie umane. Nella sezione dedicata a Leonardo Vitale, primo pentito di mafia, invece Nicola Lo Bianco dimostra, nel lungo monologo del personaggio, una profonda sensibilità e un grande impegno morale e civile. La storia di Vitale si fa coscienza morale nel momento in cui il pentito, che era stato educato da “uomo d’onore”,  trova nel messaggio evangelico e negli insegnamenti di Gesù la forza per riscattarsi e pentirsi, pronunciando per la prima volta la parola “mafia”. (Il pentito venne ucciso il 2 dicembre 1984, all’uscita della chiesa dei Cappuccini, dopo la Messa, davanti alla madre.)
Insomma, le radici di Nicola Lo Bianco, quelle che il poeta Crescenzio Cane ebbe a definire “sicilitudine”, in questi racconti emergono nello stile colloquiale che aderisce al parlato e nel linguaggio misto di lingua e dialetto proprio delle plebi del sud, di ascendenza verghiana, ma qui trasposto in area metropolitana, nella precarietà della condizione dei diseredati, degli esclusi. Difatti, molte espressioni colorite quali “vecchiu arripuddrutu”, “quattru ossa ncatinati”, “coppola di minchia”, connotano  in senso caricaturale certe situazioni, ma non mancano di afflato lirico.
Ma la Sua “sicilitudine” si rivela anche nel  modo di rappresentare certi profili tipici, soprattutto nei personaggi minori che contornano i protagonisti: quando ironizza, ad esempio sul siculo cialtronesco, che bandisce ogni forma di sensibilità e impone la legge del più forte: è arrogante, cinico, incline al ricatto e alla vendetta trasversale.  
Il Nostro autore sembra però volerci trasmettere un messaggio di matrice quasi dostovjeskiana: la bellezza che salverà il mondo si trova negli ultimi, nelle creature del dolore e della sofferenza.

Giusi Bosco

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