Qualcuno disse una
volta che la pornografia era il sesso degli altri. Lo stesso vale per
la tortura, che a quanto pare esiste solo fuori d'Italia. Eppure la
storia della Repubblica (irredentisti sudtirolesi negli anni 60, brigatisti negli anni
di piombo, Diaz e Pontedecimo nel 2001) e la cronaca (caso Cucchi,
ecc) ne sono pieni. A dimostrazione del legame inscindibile tra
potere e violenza.
Riccardo Mazzeo
Lo Stato ordinario
della tortura e della violenza
Un nuovo spettro si
aggira per il pianeta: il «principio di eccezione» di Carl Schmitt.
Il sovrano, incarnato da un Leviatano-mosaico con i volti dei potenti
della Terra, si sottrae così a ogni regola e, soprattutto, crea zone
sempre nuove off limits in cui si soverchia, si annienta, si tortura
in totale impunità sotto le insegne del migliore dei mondi
possibili.
Questo scenario di
«eccezione» e «sopraffazione» non trova realizzazione unicamente
nei Paesi refrattari alla democrazia e alla libertà dei cittadini,
come i Paesi del Golfo, la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan,
l’Ungheria, la Cina con l’incarcerazione sistematica degli
oppositori, ma è discernibile anche nelle nostre democrazie.
In tutti i casi emerge
«il cosiddetto triangolo della violenza» i cui vertici sono
occupati dal soggetto attivo (chi esercita o commissiona la
violenza), dal soggetto passivo (la vittima) e dal soggetto
spettatore (chi assiste alla violenza ma si guarda dall’intervenire).
Ed è in questo terzo vertice che si rileva la mancanza del principio
di responsabilità, che coincide con «l’estraniazione o la
separazione dell’individuo da alcuni aspetti del mondo fenomenico»
(l’indifferenza, l’apatia).
Nel 2005, ad esempio, il
14 per cento dei cittadini Usa ritenevano la tortura giustificata
nell’interrogatorio di persone sospettate di terrorismo, ma quattro
anni dopo tale percentuale era schizzata al 52 per cento. Questo dato
relativo alla tortura implica un corto circuito nella posizione del
cittadino-spettatore, che situa il torturato in una categoria
socialmente svalutata, e «la salvezza del torturato non dipende
tanto dalla mano abbassata del torturatore, quanto dalla mano protesa
dello spettatore». È lo spettatore che può dunque fare la
differenza.
E’ uno dei passaggi di
Violenza e democrazia. Piscologia della coercizione: torture, abusi,
ingiustizie (Mimesis, pp. 197, euro 18), scritto da Adriano Zamperini
e Marialuisa Menegatto, rispettivamente professore di psicologia
sociale e ricercatrice dell’Università di Padova. Libro denso,
costellato di case study e fenomeni di ordinaria violenza
istituzionale. Il volume affronta inoltre la «violenza strutturale»,
a suo tempo descritta da Johan Galtung, che riguarda il
disconoscimento dei diritti di cittadinanza agli immigrati di seconda
generazione o le disparità di genere, e la «violenza simbolica»,
teorizzata da Pierre Bourdieu, che è incarnata dall’imposizione
impercettibile di modelli di comportamento per acquisire il consenso
dei dominati.
Libro quindi che invita
alla resistenza nei confronti della tortura e della violenza
istituzionale. Non a caso gli autori, insieme a un drappello di altri
compagni di impegno, fra cui l’ex pm del processo Diaz Enrico Zucca
e Ilaria Cucchi, hanno redatto un manifesto-appello per criticare ciò
che definiscono la «legge truffa» sulla tortura da poco varata dal
Senato.
Il manifesto – 4
luglio 2017
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