03 luglio 2017

N. VASSALLO, Navigare contro vento


ph. f.v.

Nicla Vassallo, filosofa molto nota, si è specializzata al King’s College di Londra ed è attualmente professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Genova. Al presente lavora su diversi aspetti dei rapporti affettivi e amorosi in relazione alle istituzioni. Riprendiamo parte di una recentissima intervista incentrata soprattutto sul rapporto tra filosofia e vita.

Nicla Vassallo

Difendere la verità

Intervista di Riccardo Malatto

Al giovane che fa filosofia viene a volte rimproverato dai suoi colleghi iscritti a discipline scientifiche, di rimanere per sempre uno studioso di filosofia, e di non diventare mai un “vero professionista”, ossia un ingegnere, un medico, un avvocato, un fisico, un matematico ecc.

Dipende sempre con chi studia e dove si studia. Mentre in alcuni tempi bui abbiamo avuto l’onore di un Cartesio (filosofo e matematico; al contempo, evoluto nel suo dialogare razionalmente con donne quali la principessa Elisabetta del Palatinato e Cristina di Svezia), oggi, purtroppo, eccezioni a parte, gli scienziati puntano all’iperspecialismo nel proprio settore, e alla fama, e per la filosofia nutrono scarso interesse. E pensare che molti progetti che fisici, ingegneri e professionisti di altro genere hanno portato a termine sono nati, in origine, da idee di filosofi che con loro hanno collaborato. Oppure gli stessi “veri professionisti”, come lei li ha chiamati, hanno indossato un doppio vestito che siamo soliti attribuire a categorie distinte. Albert Einstein, Werner K. Heisenberg forse prima che fisici sono stato filosofi, in molti casi il confine non è tracciabile in modo definito. Se la tendenza dovesse continuare in questa direzione di eccessiva settorialità si avranno sempre meno Oliver Sacks, per citare un altro personaggio che ha speso la sua vita nel dialogo interdisciplinare con la filosofia. Purtroppo anche sul fronte filosofico le cose non stanno procedendo meglio. Troppi scrivono, per esempio, di filosofia della medicina o filosofia della fisica, senza aver mai studiato con la serietà necessaria le scienze in questione. A rimetterci non può che essere la conoscenza. Per fortuna ci sono ancora molte persone che perseverano nel lavoro di qualità, nella convinzione che prima di parlare è bene conoscere e che, rimanendo ancorati alla propria nicchia privilegiata, gran parte di ciò che sappiamo sul mondo ci sfuggirà. Speriamo abbiano il giusto riconoscimento.

A differenza di altri professori, lei si pone in un dialogo costante con suoi studenti, alla Socrate. Perché? Per “mostrarci” cosa significhi fare filosofia indicandoci la strada per diventare filosofi?

Forse perché non sono presuntuosa. Come potrebbe darsi un filosofo vanaglorioso? Non si tratterebbe di un filosofo. E pertanto qui mi ritrovo amica di Wittgenstein quando sostiene che in filosofia si traducono i medesimi antichi pensieri in diversi linguaggi. Il non aspirare a conoscere conduce alla disumanità: lo afferma con nettezza Aristotele sulle forti spalle di Platone, e ancor prima Socrate e con il suo “conosci te stesso”, esortazione religiosa e di sapienza oracolare che troviamo scolpita sul tempio Delfi. Privi di conoscenza e di conoscenza della nostra identità, ci imbeviamo di quella brutalità che pure Dante, ricordando Ulisse, aborriva. Per questo sto pensando a un volume contro l’ignoranza. Ignoranza, tuttavia, non sempre da condannare, quando è origine della consapevolezza di se stessa e si anima del desiderio di venire superata. Confido fermamente nel progresso conoscitivo mio e dei miei studenti. Senza menti che collaborino insieme criticamente e si trasmettano conoscenza per testimonianza ci si ritroverebbe ancora all’età della pietra. Per questo è indispensabile un progresso conoscitivo che riguarda se stessi, l’altro-da-sé e il mondo che ci circonda. Il pensarsi onniscienti o onnipotenti alla Icaro crea invece seri problemi.

Vuol dire in fondo che sta educando un’élite epistemica che poco a che fare con la massa? A cosa ci riferiamo quando parliamo di verità?

La conoscenza è una questione elitaria solo in quanto arricchisce la nostra identità personale, la nostra singolarità, quotidianamente, secondo per secondo: pochi ne prendono atto. Mentre la cultura di massa – “popular culture”, ossia una cultura intrecciata al potere – si collega più alla stereotipizzazione, non alla conoscenza, non alla ricerca della verità. Non voglio assolutamante educare un'élite epistemica, se con questo temine ci trasciniamo dietro connotazioni negative quali settaria e separata. Lungi da me! Il mio desiderio è diametricalmente opposto. In quanto teorico della conoscenza vorrei diffondere a più larga scala il mio contributo. Purtroppo, però, poche persone scelgono la prima via e troppe si fregiano di sventolare il vessillo della seconda. Sbattiamo ancora il muso sul bivio di Parmenide. Non si può certo dimenticare l’identificazione cristiana della verità con Dio, ben dichiarata nell’affermazione «Io sono la via, la verità, la vita», con tutto il suo contenuto platonico, per cui la verità è proprietà dell’essere o della realtà, Cosicché si parla del vero essere e della vera realtà, come nel linguaggio comune si parla del proprio vero amico. Aristotele limita l’applicazione di “vero” e “falso” al discorso apofantico, ovvero alle proposizioni affermative o negative, cosicché “vero” e “falso” non si possono predicare dei nomi o degli aggettivi, né dei discorsi non apofantici come le preghiere, le domande, i comandi, eccetera. In altre parole, una proposizione è vera se corrisponde a fatti o a stati di cose. Aristotele, invece, esprime con forza questa teoria nel seguente modo (La metafisica, IV, 7, 1011b): «Dire di ciò che esiste che non esiste, o di ciò che non esiste che esiste, è falso, mentre dire di ciò che esiste che esiste, e di ciò che non esiste che non esiste, è vero». Nello scorso secolo egli trova un celebre difensore nel Wittgenstein del Tractatus (4.01): «La proposizione è un’immagine della realtà». La post-verità? Una bufala. La verità relativa? Altra bufala. Bufale di cui la cultura di massa e il potere abusano in ottica opportunistica.

In tempi in cui la menzogna domina, dire la verità è un atto rivoluzionario”. Questa frase di George Orwell spicca sulla sua pagina web. Perché?

Chi dedica l’intera propria vita ad andare di bolina, ovvero all’insegnamento serio, socraticamente inteso e  con la fatica che questo impegno comporta, seguendo ogni studente singolarmente e lavorando coi giovani migliori, dedicandomi inoltre alla ricerca filosofica più avanzata, scrivendo, studiando… cosa vuole che le dica? Una cosa è garantita: la ricerca della verità oggi è senz’altro un atto rivoluzionario.


(http://www.niclavassallo.net/)

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