10 luglio 2017

LO STIPENDIO DI UN INSEGNANTE IN ITALIA


Non c'è giorno che, in televisione o sui giornali,  di fronte ad una miriade di fenomeni (dal consumo delle droghe al femminicidio) non si senta ripetere la solita domanda cretina: cosa fa la scuola? Nessuno che si chieda cosa si fa per la scuola, a partire da una più adeguata retribuzione dei docenti. Uno studio dell’Ocse evidenzia ancora una volta che gli insegnanti italiani sono i peggio pagati d'Europa. E in una società dove la considerazione sociale è legata strettamente al tenore di vita, i bassi salari degli insegnanti sono la prova della scarsa considerazione di cui gode la scuola.

Salvo Intravaia
Insegnanti sempre più poveri in 10 anni stipendi giù del 7% 


Maestre e professori italiani sempre più poveri. Più di quanto non accada all’estero dove, in alcuni paesi europei, le retribuzioni si sono addirittura incrementate. E superano perfino quanto percepiscono i docenti universitari, come accade alla scuola superiore in Germania, Lussemburgo e Finlandia.
In Italia, invece, il calo dello stipendio in termini reali è stato superiore a quasi tutti i paesi presi in considerazione dall’Ocse — l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico — che tre giorni fa ha dedicato ai salari di maestre e professori il suo ultimo focus: «Come si sono evoluti gli stipendi degli insegnanti e come si relazionano con quelli dei docenti universitari? ». Il perché è presto detto: «Il compenso e le condizioni di lavoro — dicono dall’Ocse — sono fattori importanti per attrarre, sviluppare e trattenere una persona altamente qualificata come forza lavoro e, in particolare, i salari degli insegnanti possono avere un impatto diretto sulle decisioni individuali di intraprendere la carriera dell’insegnamento».
In altre parole, paghe più alte possono assicurare docenti maggiormente motivati e bravi al sistema formativo di un paese. In Italia il blocco degli stipendi quasi decennale ha determinato una forte erosione degli emolumenti. E probabilmente anche un calo della motivazione in chi sta dietro le cattedre. Basta fare qualche esempio.
Fatto cento lo stipendio del 2005 — anno assunto dall’Ocse come punto di partenza — nel 2014, in Italia, il potere d’acquisto delle maestre è calato a 93: si è ridotto del 7 per cento. Un taglio reale che ha riguardato nella stessa misura tutti altri docenti italiani. Ma non tutti quelli europei.
Restando nel Vecchio continente, la tabella fornita dall’Organizzazione riserva diverse sorprese. In Germania, locomotiva d’Europa, nello stesso periodo il mensile alla scuola elementare si è incrementato del 10 per cento e in Irlanda addirittura del 13 per cento. Anche i governi dei paesi scandinavi hanno combattuto la crisi sostenendo gli stipendi degli insegnanti. In Norvegia lo scatto in avanti è stato del 9 per cento e in Finlandia di 6 punti. Anche Belgio e Danimarca fanno segnare un segno positivo. A soffrire come gli insegnanti italiani (ma un po’ meno) i colleghi francesi che dal 2005 al 2014 hanno dovuto sopportare un taglio reale del 5 per cento e solo la Grecia fa peggio dell’Italia: con un sonoro 30 per cento in meno in busta paga.
«In Italia — spiega Pino Turi, a capo della Uil scuola — abbiamo pagato la crisi economica col blocco degli stipendi. In altri paesi, come la Germania, si è preferito investire sulla scuola e quindi sul futuro ». «Nel nostro paese — aggiunge Francesco Sinopoli, della Flc Cgil — c’è una grande questione salariale. Quella che gli stipendi italiani nella pubblica amministrazione sarebbero più alti che all’estero è semplicemente una favola».
Ora all’orizzonte c’è il rinnovo del contratto, congelato al 2009. «In un Paese con mille problemi, i docenti sono l’unico baluardo in tutti gli angoli d’Italia. È per questo — spiega Lena Gissi, della Cisl scuola — che abbiamo bisogno di un riconoscimento sociale e di un reale investimento in termini economici. Colgo positivamente la dichiarazione della ministra Fedeli che ha compreso le difficoltà della scuola a partire dal gap stipendiale dei docenti italiani. Ora aspettiamo azioni concrete ».

La Repubblica – 10 luglio 2017

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