Un mondo tutto al
femminile in un fluttuare di ricordi, rancori, delusioni e forti
rimpianti. Dopo Le ricette della signora Toku un altro bel film
giapponese in programmazione nelle sale italiane.
Cristina Piccino
I fantasmi silenziosi
del Giappone nel diario intimo di quattro sorelle
Sovrastato dalle commedie
annuali e dall’urto di Star Wars è da ieri in
sala Little Sister di Hirokazu Kore-eda, giapponese, tra i più
importanti registi contemporanei, anche se forse il nome dice poco al
pubblico italiano visto che i suoi film non hanno circolato
troppo spesso sul nostro mercato così ristretto nonostante siano
presentati nei principali festival internazionali (compresa la Mostra
del cinema di Venezia). Non perdetelo perché è davvero un bel
film nonostante le inevitabili penalizzazioni del doppiaggio (più
forti e fastidiose in film come questo), di quelli che regalano
momenti di intensa emozione, leggerezza, e felicità.
Ispirato a un manga
«familiare» di Akimi Yoshida, Little sister segue la vita
quotidiana di quattro ragazze, quattro sorelle che vivono un una
vecchia casa di legno nel bosco di Kamakura, a sud di Tokyo.
Cosa racconta la semplicità apparente di quel presente, in bilico su
equilibri rischiosissimi come quello di ciascuna esistenza? Piccoli
drammi o episodi lontani, l’incognita del futuro, sentieri
impalpabili lungo i quali si avventurano i personaggi che
il suo sguardo segue con pudore e dolcezza.
Ci sono tre sorelle, la
maggiore ha cresciuto le due più piccole quando la madre le ha
abbandonate, appena adolescenti, nella vecchia casa di famiglia, dopo
che il padre era andato via con un’altra donna. Al funerale
dell’uomo le tre ragazze conoscono la sorellina, una ragazzina di
tredici anni, Suzu, che la maggiore, Sachi, decide di portare con
loro riconoscendo in lei la sua stessa dolorosa sofferenza alla sua
età, quel sentirsi responsabili per tutto e per tutti che, come
le dice l’uomo con cui ha una relazione, le ha tolto il piacere
dell’infanzia. Ma la presenza di Suzu cambierà anche i rapporti
tra le sorelle portandole dolcemente a riflettere su sè stesse
e sulle scelte reciproche.
Siamo in un mondo
declinato interamente al femminile, le sorelle, la anziana pro zia,
la madre delle tre ragazze, la piccola Suzu, che condividono il
fantasma paterno, quella figura per le tre maggiori fantasmatica, per
Suzu invece concreta intorno alla quale continuano a fluttuare
ricordi, rancori, delusioni, rimpianti. La memoria soffusa e delicata
dell’infanzia, anche nel dolore, per una delle ragazze è l’odore
della nonna, per un’altra i kimoni dell’estate, per Suzu le
giornate col padre a pesca, per la sorella maggiore
l’ostinazione a mantenere le tradizioni, come il liquore di
prugna, e per quella appena più giovane, e molto fashion,
lo smalto per le unghie che la madre le ha regalato quando aveva solo
sei anni.
Il Diario narra lo scorrere di queste giornate, il rito sospeso del tempo quotidiano in cui nulla sembra accadere, i passaggi dell’esistenza, gli incontri e gli addii, le lente scoperte di sé, la crescita dei desideri, la necessità di lasciarsi alle spalle l’infanzia mondo dell’infanzia …
Oltre i bordi delle
immagini balena, il Giappone in crisi delle piccole imprese oppresse
dai debiti e dalle banche, di un’irrequietezza giovane, di
sogni lasciati a metà. Non è facile mantenere teso questo
filo dell’emozione, e renderlo immagine.
Kore-eda guarda al cinema
classico del Sol levante, alle sfumature emozionali impalpabili di
Ozu, anzi Little sister è forse il più vicino per
sensibilità alle storie del regista di Viaggio a Tokyo, e non
solo per i fiori di pesco che danzano spinti dal vento o per
la delicatezza con cui costruisce la sua messinscena. Il movimento
delle esistenze tra conflitti, silenzi, ferite anche involontarie,
sorrisi, umorismo che disegna questa geometria narrativa c parlano
di una ricerca del proprio posto al mondo in cui ognuno porta in sé
le tracce di qualcun altro: le sorelle e la sorellina, il
paesaggio, la memoria e i cambiamenti intimi del presente, quel
passaggio tra le generazioni che procede per salti (la nonna più
della madre), che può essere paura, follia, rimpianto ma anche una
consapevolezza determinata che si palesa all’improvviso. E ai
fantasmi sostituisce la realtà delle cose. Un film «piccolo»
questo Little sister, senza proclami, che lieve rende la vita, e lo
scorrere delle sue stagioni nel tempo del cinema.
Il Manifesto – 2
gennaio 2016
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