Forse non esiste nella storia un caso simile: non conosco un altro autore su cui è stato scritto tanto come su Socrate che, come dovrebbe essere noto, non ha lasciato scritto nulla! Tutto quello che sappiamo di Socrate si deve ad altri autori. Non esiste, infatti, un suo testo scritto, neppure un appunto, un frammento. Socrate amava parlare, non scrivere. Anche perchè sapeva che la scrittura è incapace di cogliere la verità delle cose che sono sempre in movimento. Mentre la scrittura ha la pretesa di fissare sulla carta verità sempre sfuggenti.
Su questo paradosso, ancora oggi, si continua a discutere e a scrivere. fv
La scoperta di Socrate
Socrate
non ha buona stampa, nemmeno presso i suoi “allievi”, come si esprime Maria
Michela Sassi. Non possedeva altra scienza tranne quella di contraddire
(Montaigne). Praticava “un gioco infinitamente leggero col nulla” (Kierkegaard).
Aveva pancia prominente, faccia da bifolco, aria bovina, naso schiacciato e
moccicoso (Erasmo). Aveva qualcosa di divino
nel senso del demoniaco (“Apologia di Socrate”). Ne ebbe anche di incondizionati,
attesta Sassi, storica dell’antichità, filologa del pensiero scientifico:
Diderot, che tradusse a memoria l’“Apologia” mentre era in prigione, lo stesso
Erasmo (“Sancte Socrates, ora pro nobis”),
il neoplatonismo cristiano di Coluccio Salutati e Marsilio Ficino, gli Atti
degli Apostoli, che lo assomigliano al Cristo. E ne ebbe anche nel senso che
Hannah Arendt ha individuato sessant’anni fa: che fu il primo a portare la
filosofia dal cielo in terra, dall’astratto al concreto, dalla verità all’agire
pratico o politico: Cicerone, e la stessa “Apologia”, come Sassi bene illustra.
Ma senza effetto: Platone, cui Socrate deve la vita, l’ha soffocato.
Atopia
Una
sorta di atopia Sassi delinea. Di cui già in Platone, nel “Simposio” che
Alcibiade introduce: come essere fuori posto, tra bizzarria e disagio. Un tipo
strano, in vita e in morte. Nella decisione di non opporsi ala sentenza di
morte, e nell’insegnamento rigorosamente orale, e programmaticamente elementare,
ma forse esoterico, buono per Platone e per i Cinici. Segnato da Aristofane, che
avviò li il processo che porterà alla morte: anche se per ridere, il commediografo
denunciava le lezioni dietro compenso, per un insegnamento ozioso e a volte
violento, contro la morale.
Altro l’approccio
di Hannah Arendt in questo corso all’università americana di Notre Dame nel
1954, breve - il libro si compone anche di contributi ampi di Adriana Cavarero (“Arendt
non interpreta Socrate, in veste di
storica della filosofia… bensì decide di pensare con Socrate e mediante Socrate”)
e Simona Forti (Socrate e Eichmann, Arendt e Foucault, il “socratismo eretico”
– platonismo – di Jan Patočka), con l’introduzione e le note della curatrice, Ilaria Possenti.
La novità del suo “Socrate” è che la Grecia escludeva la filosofia dall’agire pratico,
dal sapere politico. Socrate si applicò ad appianare questo contrasto, e finì
male, i politici non tolleravano la sapienza. Platone allora affermerà il contrario,
che solo il filosofo è buon cittadino e buon politico, ha le chiavi della
saggezza pratica – ma lo affermerà all’accademia e non al foro, e nessuno lo
importunerà.
Due-in-uno
“L’abisso tra filosofia e politica si apre
storicamente con il processo e la condanna di Socrate”: Arendt va giù subito netta
e diretta, questo “Socrate” ha avuto una lunga gestazione, come confidava al maestro
e amico Jaspers: “Un punto di svolta analogo a quello del processo e della
condanna d Gesù nella storia della religione.” Il che è certamente vero. Per
l’umanità forse no, per gli studi sì: “La nostra tradizione di pensiero
politico ha inizio quando, con la morte di Socrate, Platone perde ogni speranza
nella vita della polis”, riproponendosi
di supplirla con le idee, anche se stravolgeva così l’esperienza di Socrate.
“Socrate aveva scoperto la coscienza, ma non le
aveva ancora dato un nome” – questo farà Platone. “Così”, annota la curatrice, “solo
una ventina di anni dopo la dissertazione di dottorato discussa con Jaspers nel
1929, Arendt torna a leggere Platone, i Greci, la filosofia”. Dopo cioè vent’anni
di impegno contro Hitler e per la sopravvivenza, tra vessazioni e
imprigionamenti, con espatri clandestini, fughe, ripartenze, e le ricerche e la
scrittura delle “Origini del totalitarismo”. Nel tentativo di forzare,
sottolinea Possenti, l’impasse
politico della concezione platonica – ideale - della politica. Socrate H. Arendt
risuscita come alternativa allo “smantellamento della metafisica”: la majeutica
del dialogo, dell’interazione. Sia pure con se stessi, il “due-in-uno”, il
dialogo anche solo “tra me e me”, piuttosto che l’arrampicata sugli specchi
della verità assoluta. Una “ripartenza” necessitata dalla memoria, In forma di
nostalgia, davanti a un cumulo di rovine.
Platonico Marx
Non un “che
cosa ha detto Socrate”, che Platone gli ha fatto dire. Oppure sì, anzi proprio
questo: Platone ha tradito Socrate, che filosofava la politica nella politica, in
piazza, discutendone, non per scoprire la verità ma per accrescerla, moltiplicarla,
anche semplicemente aggiungerle qualcosa. Dividendo la filosofia - la ricerca
della retta verità – dalla politica – l’agire pratico – e questa relegando alla
buona amministrazione. Un tradimento a nessun fine, anzi d’impatto negativo: “L’inumano stato ideale di Platone” è rimasto
ideale. E la filosofia non ha avuto più alcuna influenza sulla politica già in età
moderna: “Gli scritti di Machiavelli sono l primo segno di tale svuotamento,
mentre in Hobbes troviamo, per la prima volta, una filosofia che non sa cose
farsene della filosofia”. A parte Marx,
l’ultimo platonizzante.
Le scoperte
sono molte di Hannah Arendt con Socrate, che poi l’accompagnerà per il resto
della sua propria opera. Un peregrinare non confuso, e non incerto già in
questo primo approccio: “Noi che abbiamo fatto esperienza delle organizzazioni
totalitarie di massa, il cui primo interesse è eliminare qualunque possibilità
di solitudine – eccetto la forma inumana del confino – possiamo testimoniare
come non solo le forme secolari di coscienza, ma anche quelle religiose vengono
eliminate quando non è più garantito lo
stare un po’ da soli con se stessi”.
Essere è apparire
Il
principio di non contraddizione di Aristotele, “con cui Aristotele fonda la
logica occidentale” riconducendo “a questa fondamentale scoperta di Socrate: essendo uno io non mi contraddirò, e al
tempo stesso potrò contraddirmi”. Per un altro più fondamentale fondamento:
“che la vita insieme agli altri comincia con la vita insieme a se stessi”. Riconoscere
se stessi si rende manifesto nella polis
tramite l’apparire: per essere
bisogna “apparire” – “intendiamo per polis
una sfera pubblico-politica in cui gli uomini conseguono la piena umanità, la
loro piena realtà di uomini, non solo perché esistono, come la dimensione privata della sfera domestica, ma
anche perché appaiono”.
Ma
Socrate è in realtà anche il primo a occuparsi principalmente della verità.
Interrogativa e non apodittica ma non per questo meno veritiera. Il primo
filosofo: Arendt lo dice nella prima versione della lezione, che Ilaria
Possenti qui recupera in nota. La verità di Socrate, per cui ha voluto morire,
è che la Grecia escludeva la filosofia dal sapere pratico: accetta per questo
la morte. Platone si rivarrà argomentando che solo il filosofo è buon politico,
ha le chiavi della saggezza pratica. Ma finirà a Siracusa, dal tiranno di
Siracusa. Se c’è una morale, è che bisogna ridare autonomia al politico.
Questo,
però, sessant’anni fa. Quando già Heidegger opinava senza incertezze, sui “Quaderni
neri” che ora si pubblicano: “La politica non ha più nulla a che fare con la polis”. Non più nel “planetarismo”, diceva,
che poi sarà detto globalizzazione.
Hannah
Arendt, Socrate, Cortina, pp. 123 €
11
Maria
Michela Sassi, Indagine su Socrate.
Persona, filosofo, cittadino, Einaudi, pp. 242 € 23
Francesco buongiorno. Questo mio, semplicemente per ringraziarti per i tuoi post (in particolare l'ultimo), e salutari. Penso proprio che non si possa perde: https://sites.google.com/site/filosofoinofficina/programma-degli-incontri con Ermanno Bencivenga! Mi consola molto il tuo ultimo post: personalmente ho sempre voluto parlare che scrivere! Personalmente sono convinto che la parola scritta sia solo un "appunto" del nostro pensiero, come il parlato un tentativo di esprimerlo! Grazie, un abbraccio.
RispondiEliminaMARIO PALMISANO
"E questo posso affermare (sulle cose che ho seriamente a cuore), su queste cose non c'è alcuno mio scritto, nè ci sarà mai. Esse infatti non si possono assolutamente esporre con i medesimi criteri che si adottano per gli altri tipi di saperi ma, da un lungo dialogare insieme intorno al problema e da una vita condotta in comune, improvvisamente, come luce che nell'istante brilla da fiamma balzante, nascono nell'anima e di se stesse si nutrono".
RispondiEliminaPlatone, VII Lettera, 341 d
Sergio Di Vita: Gesù?...
RispondiEliminaFrancesco Virga: Certamente Gesù e Buddha reggono bene al confronto