Le feste natalizie e
di fine anno ci ricordano (al di là delle credenze religiose)
l’importanza che riti e gesti strutturati rivestono nella vita
degli uomini. Ripetere periodicamente un fatto mitico mette ordine
e attribuisce senso al fluire caotico della realtà.
Carlo Rovelli
Perché non possiamo
rinunciare alle feste
Le feste sono passate. Anche quest’anno è passata l’ondata di emozioni, pranzi, dolci, parenti, piccoli viaggi, regali e quant’altro che accompagna il periodo natalizio. Mi stupisce sempre quante cose riesca a smuovere questo periodo. Anche chi cerca di resistere, finisce per esserne trascinato. Non si può non andare a trovare un parente caro. Non si può, alla fine, non fare un regalo. Non si può non imbandire almeno un poco la tavola, preparare almeno un alberello, un piccolo presepe, una lucetta colorata, o almeno una candela. Non segnare questo tempo dell’anno con un gesto. Da dove viene questa immensa forza delle feste su tutti noi?
Per i cristiani il Natale è la celebrazione della nascita del Salvatore. La celebrazione dell’arrivo di Chi ci ha salvato. È una celebrazione che non può non smuovere nel profondo: l’arrivo dell’invisibile nel mondo. Il presepe ricrea questo momento magico assoluto, immerso in una luce di pura emozione. Ma la festa di fine dicembre è assai più antica e profonda del Cristianesimo: il Cristianesimo l’ha fatta propria, vi ha innestato la propria mitologia e la propria teologia, ma è salito su qualcosa di profondamente umano, che lo precedeva. Nella Roma antica già si accendevano le candele e ci si scambiava regali all’avvicinarsi della fine di dicembre, ben prima della nascita di Gesù. Tribù del Nord celebravano il solstizio d’inverno ben prima che arrivasse loro il messaggio cristiano. La forza che ci spinge a questi gesti è più antica del Cristianesimo. Che forza è?
Un grande libro, pubblicato alcuni anni or sono e scritto da uno dei maggiori antropologi del secolo scorso, Roy Rappaport, è interamente dedicato all’origine antica dei riti. Rappaport ha passato la vita a studiare i riti, a cercare di rintracciarne la storia e il senso. I riti, se ci pensate, sono qualcosa che sembra strano e poco comprensibile agli occhi di una modernità ingenua.
Un rito è un gesto,
un’azione, una parola, che vengono ripetuti eguali, più o meno
regolarmente, e che hanno un’intensa portata emotiva per chi li
compie, anche se spesso non sembrano avere utilità diretta, o almeno
non un’utilità capace di giustificare la straordinaria forza con
cui permangono.
Perché da millenni ci
scambiamo un regalo alla fine di dicembre? Sono crollati imperi, sono
stati trucidati interi popoli, abbiamo cambiato religione più volte,
siamo stati ricchi e poveri, dominati e dominatori, abbiamo creduto
nelle streghe e siamo arrivati sulla luna, e con assoluta regolarità
ad ogni fine dicembre ci siamo scambiati un piccolo regalo, abbiamo
acceso una candela o una piccola luce. Non è straordinario?
Secondo Rappaport, la nascita dei riti risale alla formazione stessa dell’umanità: al periodo dell’apparizione del linguaggio articolato che caratterizza oggi così marcatamente la nostra specie. I riti secondo Rappaport giocano addirittura una funzione chiave nella costruzione stessa del nostro essere umani, e in particolare del nostro essere sociali. Comportamenti rituali, cioè elaborati gesti complessi ripetuti e senza apparente fine diretto sono comuni in molte specie animali e spesso ancorano la formazione di legami duraturi, come per esempio i complessi rituali di corteggiamento di molte specie monogame.
Nella
specie umana il linguaggio porta a costruire un complesso mondo
astratto dove prendono vita innumerevoli entità nuove che prima non
esistevano (leggi, matrimoni, sentenze, contratti, regni, nazioni,
proprietà, diritti...), le quali hanno statuto di realtà per
all’azione degli uomini, e hanno forza in quanto componenti di un
sistema che è condiviso.
Tutto questo si regge
sull’adesione di ciascuno al sistema condiviso, e quest’adesione,
seguendo leggi profonde nella nostra struttura mentale di primati, si
forma con un gesto rituale e si riafferma regolarmente in un gesto
rituale. Il rito, insomma, è il fondamento stesso della complessa
realtà sociale e spirituale umana entro la quale si svolge la parte
più grande della nostra vita di esseri umani.
Così la vita comune di due persone che si amano si appoggia ad un rito che è il matrimonio; la vita professionale di un dottore si appoggia su un rito che è la sua laurea; gli anni di galera di un ladro dipendono da un rito che è il processo; la legittimità di un parlamento si appoggia sul rito elettorale; la legittimità della proprietà della mia casa si appoggia su un rito che è la firma da un notaio; la vita interiore di un cattolico su un rito settimanale che è la Messa cattolica, la vita interiore di un buddista sul rito della meditazione, e la vita scientifica del mio piccolo gruppo di ricerca a Marsiglia su quel rito un po’ sfilacciato che sono le nostre più o meno regolari riunioni per mangiare un panino e parlare di fisica..., e via così all’infinito.
Rito di iniziazione africano
Alla ripetizione di gesti
strutturati e regolati, affidiamo il compito di mettere ordine nel
fluire caotico della realtà e di darci i punti fermi, i punti dove
ancorare la nostra lettura del mondo, e il nostro essere nel mondo.
Non so se la lettura dei riti che fa Rappaport sia giusta nei dettagli. Non so neppure fino a che punto sia condivisa da chi si occupa oggi di antropologia dei riti. Ma certo ci insegna qualcosa di importante e profondo: noi esseri umani siamo complessi, siamo fatti di strati diversi che noi stessi spesso in generale non capiamo del tutto. Delle regole che ci portano, se non ci occupiamo di studiarle, non siamo neppure consapevoli. Diamo loro dei nomi, e ci lasciamo trasportare da esse e dalla vita.
E a ogni Natale, che siamo cattolici ferventi o atei cristallini, noi italiani torniamo a casa a trovare il nostro vecchio padre, e scambiamo qualche dono con i nostri amici. Così il mondo torna in ordine: ci rassicuriamo del legame di affetto che ci lega, ci sentiamo a casa nel mondo. E siamo pronti a ripartire per la vita.
Il Corriere della sera –
7 gennaio 2016
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