[E’ appena uscito per Carocci La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi di Claudia Crocco. Presentiamo un estratto dell’introduzione].
1.1. Premessa
Parlare di poesia in prosa può sembrare un paradosso, perché sia nella mente di un lettore comune, sia nel discorso critico specialistico, la poesia è quasi sempre contrapposta alla prosa e la maggior parte delle poesie è scritta in versi. Eppure i libri dei quali parleremo in queste pagine sono stati letti e commentati come testi poetici, anche se non presentano quello che è tradizionalmente considerato il requisito principale di questo genere letterario, ovvero il verso.[1] Come si spiega questo apparente paradosso? Cosa fa sì che un testo in prosa sia considerato poetico? La poesia in prosa va intesa come un genere letterario a sé stante? Questo libro è nato per tentare di rispondere alle domande appena poste e, più generale, per ripercorrere la storia della poesia in prosa italiana. Lavoreremo su un corpus molto eterogeneo, composto da opere che hanno in comune una caratteristica macroscopica: sono testi apparentemente in prosa, perché si va a capo solo alla fine del rigo, ma per vari motivi sono stati considerati poetici. Vedremo che la poeticità può essere il risultato di una definizione proveniente dall’autore stesso, dalla ricezione critica del testo oppure dalla collocazione editoriale – dunque dal paratesto – o il frutto di una combinazione di questi elementi; e osserveremo come quel che si intende per poesia in prosa è cambiato molto nel tempo.
La poesia in prosa nasce in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, con Spleen de Paris (1864) di Baudelaire, e in Italia all’inizio del Novecento. Prima di avviare la ricostruzione cronologica, però, proviamo a fare un esperimento: mettiamoci nei panni di un lettore contemporaneo, con una conoscenza media della poesia, che cerca informazioni sulla poesia in prosa. Se proviamo a digitare «poesia in prosa» su Google vengono fuori, nelle prime dieci posizioni: un articolo sul sito della Treccani, intitolato Poesia in prosa, prosa in prosa, firmato da Paolo Zublena; una pagina di Wikipedia dedicata alla prosa; svariati siti per insegnanti e studenti, nei quali si spiega come trasformare una poesia in una prosa; un saggio breve di Andrea Inglese, pubblicato sul blog «Nazione Indiana», intitolato Poesia in prosa e arti poetiche. Una ricognizione in terra di Francia (1); un reindirizzamento al tag «poesia in prosa» sulla rivista online «Le parole e le cose», dove viene usato per undici articoli.
Di queste dieci sedi, alcune sono di tipo divulgativo (la pagina di Wikipedia e i siti scolastici), e in realtà non riguardano la poesia in prosa;[2] le altre sono più interessanti, perché hanno una caratteristica in comune: si tratta di articoli che più o meno esplicitamente indicano un unico modello di poesia in prosa, che considerano innovativo rispetto al genere poetico. L’alterità rispetto alla poesia è sottolineata in modo ancora più esplicito nell’articolo di Zublena, nonostante la sede (pagina online della Treccani) sia apparentemente la meno militante e la più istituzionale. Zublena parla di «prosa in prosa», termine che in Italia viene utilizzato da quando sei autori hanno riunito una selezione di propri testi in un’antologia del 2009 intitolata, per l’appunto, Prosa in prosa (Bortolotti et al. 2009). Questa espressione ricalca il termine «prose en prose» coniato da Jean-Marie Gleize, uno dei principali autori di poesia in prosa francese degli ultimi anni. La prosa in prosa, dunque, prevede la rinuncia non solo all’uso del verso, ma a qualsiasi altro marcatore di letterarietà. Scompare l’io, scompaiono l’allusività e la soggettività dei testi, scompaiono gli artifici formali tradizionali. Uno dei punti di riferimento ideali è la scrittura di Francis Ponge: studiato e commentato anche dallo steso Gleize, Ponge è stato tradotto in Italia solo nel 1979 (Il partito preso delle cose, a cura di Jaqueline Risset, Einaudi); la diffusione della sua opera è un fatto recente, al quale ha contribuito l’attività divulgativa di blog come «Nazione Indiana» e GAMMM (cfr. ad esempio Inglese, 2010b, Inglese, 2012, e Gleize, 2014). Così come Le parti pris des choses (1942) si proponeva di rappresentare gli oggetti che compongono la realtà fisica nel modo più fedele possibile, senza filtrarli attraverso la soggettività dell’autore, la prosa in prosa contemporanea si propone di utilizzare soltanto la lingua parlata (e, dunque, la prosa) per descrivere il mondo. Sulle caratteristiche puntuali e sui modelli di questi autori ci soffermeremo nell’ultimo capitolo. Per il momento, limitiamoci a una osservazione: l’idea più diffusa della poesia in prosa oggi rispecchia una fase del campo letterario in cui una avanguardia cerca di ottenere una canonizzazione e, al tempo stesso, di mantenere la propria alterità in quanto avanguardia.
[…] Una conseguenza di quanto appena descritto, per chiunque voglia ricostruire la poesia in prosa italiana a partire dalle pubblicazioni e dagli articoli critici più recenti, è un difetto di prospettiva. In altre parole, se oggi è molto diffusa l’opinione che la poesia in prosa pubblicata su GAMMM o affine ad essa sia più innovativa di altre, è perché in questa fase alcuni degli autori che praticano il primo tipo di scrittura ambiscono a una posizione egemonica nel campo letterario, e la costruiscono sfruttando tutti i mezzi a disposizione. Allo stesso tempo, inizia a essere percepibile una usura dell’effetto di rottura:[3] nel momento in cui le categorie estetiche introdotte da questi autori si diffondono, il loro effetto di svelamento e di debanalizzazione iniziale viene meno, fino a diventare esso stesso scontato, dunque banale. Ma ormai si è creato un pubblico, per quanto ristretto, le cui attese sono state plasmate e modificate. Poiché questo pubblico coincide con i poeti stessi, una conseguenza ulteriore di questo processo consiste nell’epigonismo e nella moda della poesia in prosa anche presso autori giovani. L’effetto di rottura e la creazione di un pubblico, infine, non sono soltanto il risultato di una politica culturale dei poeti interessati, bensì anche della conquista di una storicizzazione critica.
In questo libro manterremo una prospettiva più ampia; ripercorrendo la storia della poesia in prosa in Italia dall’inizio del Novecento a oggi, mostreremo come la prosa in prosa sia solo una delle sue varietà contemporanee.
Poesia senza verso?
Per portare avanti un discorso sulla poesia in prosa è necessario precisare, innanzitutto, quel che si intende per poesia. Nei saggi e negli articoli sulla poesia in prosa si parla indistintamente di «poesia» e di «poema»:[4] questa ambiguità è causata dal fatto che sia in italiano, sia in francese sia in spagnolo esistono entrambe le parole, e a volte vengono usate indistintamente. Diciamo subito che in questo libro non ci serviremo della parola «poema», alla quale riconosciamo il senso specifico di «opera poetica, di carattere narrativo o didascalico, di notevole estensione e di vasto respiro, che può avere vario tono o argomento» (la definizione è della Treccani), mentre parleremo di poesia in prosa e di poesia in versi. A questo punto, proprio quando sembrerebbe di aver delimitato il campo, appaiono due difficoltà. La prima è che, nel discorso contemporaneo, la parola “poesia” può essere usata con un duplice significato: c’è un senso generale, per il quale è poesia qualsiasi cosa possa suscitare emozioni profonde o profondità di concetti (in questo senso qualsiasi forma d’arte, ma anche un oggetto, può essere poesia); c’è un senso più specifico, per il quale la poesia è un genere letterario che comprende soprattutto componimenti versificati e di argomento personale. Nelle pagine che seguono ci occuperemo di testi che rientrano nella seconda categoria, cioè che appartengono alla poesia in quanto genere letterario. La seconda complicazione è che per lungo tempo la poesia è stata identificata con l’andare a capo, dunque con l’incolonnamento del verso; ma le cose sono cambiate negli ultimi due secoli. Se apriamo l’ultima edizione di La metrica italiana di Beltrami, nel primo capitolo si legge che la poesia non coincide con la scrittura in versi: «‘versificazione’ è infatti un concetto tecnico, che riguarda i tipi di discorso dotati di certe caratteristiche formali, mentre ‘poesia’ è un concetto estetico, sentito come diverso da quello di versificazione fin dalle più antiche teorie estetiche che hanno avuto importanza nella cultura occidentale» (Beltrami, 2011, p. 13). Ma cosa definisce la poesia, allora, se non il verso?
Gli studi teorici sulla poesia non sono mai stati numerosi come nel Novecento, in particolar modo in area anglofona, francese e slava. I tentativi di stabilire cosa sia poesia avvengono spesso a negativo: si parla di poesia come alterazione rispetto a quella che viene comunemente definita “prosa di grado zero”. Ci sono stati tentativi di definire la poesia in base alla struttura del soggetto di enunciazione,[5] anche in questo caso distinguendola dal romanzo e dalle forme teatrali. A differenza di quanto accade per altri generi letterari, insomma, per definire la poesia abbiamo bisogno di criteri eterogenei. La poesia in prosa evidenzia in modo macroscopico questa difficoltà: nulla, da un punto di vista formale, separa una poesia in prosa contemporanea dalla pagina di un racconto breve.
L’idea che il verso non sia indispensabile alla poesia, d’altronde, inizia a diffondersi già nel Romanticismo. In una lettera al padre del 1830, Leopardi scrive che:
Dio sa quanto le son grato de’suoi avvertimenti circa il mio libro. Io le giuro che l’intenzione mia fu di far poesia in prosa, come s’usa oggi; e però seguire ora una mitologia ed ora un’altra, ad arbitrio; come si fa in versi, senza essere perciò creduti pagani, maomettani, buddisti ec. (Leopardi, 2006, p. 8)
La lettera a Monaldo viene citata molto spesso, come prova della modernità della riflessione di Leopardi sui generi letterari. Il «libro» in questione sono le Operette morali, che diventerà un punto di riferimento per autori di prosa d’arte italiana come Cardarelli, Cecchi, Bacchelli. La stessa lettera, infatti, viene citata da Falqui nell’introduzione a Capitoli, la sua antologia della prosa d’arte italiana (ci ritorneremo nelle prossime pagine: cfr. Falqui, 1964, p. 8). Per Leopardi, in effetti, la poesia non è vincolata all’uso del verso:
Forza dell’assuefazione all’idea della convenienza. L’uso ha introdotto che il poeta scriva in verso. Ciò non è della sostanza né della poesia, né del suo linguaggio e modo di esprimere le cose. Vero è che questo linguaggio e modo, e le cose che il poeta dice, essendo al tutto divise dalle ordinarie, è molto conveniente e giova moltissimo all’effetto, che’gli impieghi un ritmo ec. diviso dal volgare e comune con cui si esprimono le cose alla maniera ch’elle sono, e che si sogliono considerare nella vita. Lascio poi l’utilità dell’armonia ec. Ma in sostanza, e per se stessa, la poesia non è legata al verso. E pure fuor del verso, gli ardimenti, le metafore, le immagini, i concetti, tutto bisogna che prenda un carattere più piano, se si vuole sfuggire il disgusto dell’affettazione, e il senso della sconvenienza di ciò che si chiama troppo poetico per la prosa, benché il poetico, in tutta l’estensione del termine, non includa punto l’idea né la necessità del verso, né di veruna melodia.[6]
La poesia non viene identificata con la versificazione regolare, ma piuttosto con «un modo di esprimere le cose»; forse è in questo senso che Leopardi può parlare di «poesia in prosa» a proposito delle Operette morali. Siamo nel periodo – il Romanticismo – in cui la poesia diventa soprattutto lirica. L’idea contemporanea di poesia come componimento breve e versificato, a carattere principalmente autobiografico, si diffonde in modo graduale a partire dalla metà del Settecento, prima nella trattatistica, poi nella discussione critica e nelle menti degli scrittori, infine nel senso comune (cfr. Bernardelli, 2002, Mazzoni, 2005). Alla fine di questo mutamento la prosa diventa il medium naturale del racconto, mentre la versificazione viene percepita come un linguaggio straniato rispetto a quello della comunicazione ordinaria.
Una forma letteraria
Una volta chiarito che il verso non è indispensabile alla poesia, come identifichiamo la poesia in prosa e come la distinguiamo dalla prosa non poetica?
Scorrendo l’indice di The Prose Poem. An International Anthology – una delle poche antologie di poesia in prosa internazionale, risalente agli anni Settanta –, si notano due cose interessanti. La prima è che non compare nessun testo di letteratura italiana, nonostante la poesia in prosa, nell’anno in cui viene allestita l’antologia (1976), fosse già diffusa in Italia. La seconda è che vi sono incluse pagine di libri che in italiano sono stati pubblicati in collane di prosa: ad esempio alcuni frammenti di Kafka e certi racconti di Cortázar. Anche leggendo le antologie italiane, d’altronde, si nota qualcosa di simile. In Capitoli, ad esempio, si trovano sia testi che siamo abituati a leggere in antologie di poesia (La notte di Campana) sia brani di narratori (Tozzi, Gadda, Savinio, Valli, Malaparte). Esiste anche il fenomeno inverso: passando al ventunesimo secolo, nell’antologia di Cortellessa sulla prosa italiana, La terra della prosa. Narratori italiani degli anni Zero (1999-2014) (L’Orma, 2014), si trovano testi di Bortolotti, che pubblica prose in collane di poesia ed è stato antologizzato anche in un’antologia di poesia, Poeti degli anni Zero. Gli esordienti del primo decennio, a cura di Ostuni (Ponte Sisto, 2011). Queste differenze nel trattamento della prosa, sia da parte delle case editrici sia all’interno delle antologie, pongono il problema dei confini del nostro corpus. Non essendo possibile affidarci solo alle differenze formali – e non essendoci una definizione teorica convincente –, partiremo da una distinzione pratica: ci sono testi scritti “a partire dalla poesia”, che talvolta assumono l’aspetto della prosa, e altri scritti “a partire dalla prosa”, che cercano di imitare la poesia. In questo libro ci occuperemo di prose scritte a partire dalla poesia: per destinazione editoriale, per il tipo di pubblico, e per l’allusione o il confronto indiretto con il centro di questo genere letterario, cioè la lirica.
Nella prima e più ampia ricostruzione storica del poème en prose, quella di Suzanne Bernard del 1959, una delle premesse è che la nascita di questo genere sia contemporanea a quella del verso libero, e che i due fenomeni si siano sviluppati in parallelo nei centocinquanta anni successivi.[7] Questo è vero anche per la poesia in prosa italiana, nonostante la cronologia sia diversa. Leopardi separa ancora in modo netto poesia e prosa, perché quando va a capo non segue soltanto l’andamento del pensiero, ma anche precise convenzioni metriche. Nella poesia post-romantica, invece, tradurre in versi un modo personale di vedere il mondo diventa più importante che rispettare le convenzioni formali della tradizione: Govoni, Corazzini, Gozzano, Campana, Sbarbaro, Rebora scrivono in versi liberi. Nella stessa fase in cui viene meno la barriera della poesia come istituzione formale caratterizzata dal rispetto dell’isosillabismo, della rima e dell’isoritmia, cade anche quella della segmentazione verbale. Non a caso, alcuni di questi autori scrivono anche prose: le raccolgono in libri autonomi e separati da quelli di versi, come fanno Sbarbaro e Soffici; oppure le accostano alle poesie in versi all’interno di uno stesso libro: è quel che fanno Campana o Jahier, come vedremo nel prossimo capitolo.
Rispetto all’analisi di Bernard, però, questo libro si basa su una premessa diversa: considereremo la poesia in prosa una forma all’interno del genere poesia, non un genere letterario a sé stante. Le caratteristiche costitutive di questa forma variano lievemente fra le varie letterature nazionali (brevitas, organicità, autonomia), ma possiamo dire subito che una è realmente costitutiva: l’ibridazione fra generi letterari o artistici diversi. L’ibridazione, come vedremo, può riguardare i contenuti e le strutture (narrazione, argomentazione, mimesi, trattamento della dimensione temporale) o le forme (lunghezza, organizzazione e ricerca di un ritmo, rapporto con il macrotesto e allusione a una dimensione iconica del testo, ecc). Per questo motivo la poesia in prosa è contigua ad altri generi letterari e alle loro periferie: a romanzi che ambiscono a esprimere una componente lirica nel tono e nel ritmo (La parte dei delitti in 2666 di Roberto Bolaño, Sottofondo italiano di Giorgio Falco), a raccolte di racconti (Bestie di Tozzi, ma anche i Sillabari di Parise) ecc. Tuttavia le poesie in prosa delle quali ci occuperemo sono state scritte e lette come poesie. Le collane in cui vengono pubblicate sono di poesia; il loro pubblico è quello della poesia. Anche quando vengono scritte per contestare il senso comune della poesia, implicitamente alludono a una aspettativa dei lettori. Come vedremo, infatti, proprio la contestazione di una idea di poesia – quella basata interamente sul rispetto della tradizione – è alla base della prima diffusione della poesia in prosa in Italia.
Questo lavoro: confini e obiettivi
Se l’ibridazione è una prima caratteristica costitutiva della poesia in prosa, intesa come forma letteraria all’interno del genere poesia, la seconda è la ribellione al modello poetico dominante. Proprio per questo la nostra forma letteraria ha avuto una storia intermittente: è emersa in maniera più evidente, tanto da assumere una autonomia estetica, nei periodi di contestazione e di ridefinizione dei generi letterari.
Integrando gli studi già esistenti con i risultati di nuove ricerche, in questo libro cercheremo di dare una visione complessiva del fenomeno in Italia, ricostruendone l’origine e rintracciando elementi di continuità strutturale in un arco di tempo abbastanza ampio da permettere di trarre qualche conclusione generale. Non ci soffermeremo sui periodi e sugli autori nei quali la poesia in prosa compare soltanto in modo episodico, ma non indica una discontinuità né apre una nuova fase poetica. Per questo motivo, ad esempio, non si parlerà delle prose di Montale, né di quelle di Raboni, Orelli o Caproni. Analogamente, non approfondiremo il fenomeno della prosa d’arte né quello della prosa rondista. La prosa d’arte, infatti, nasce in modo autonomo, e in un contesto più propriamente prosastico: la poeticità dei testi inclusi in questa categoria si gioca soprattutto sul piano formale, e comporta una fissità della struttura. Nelle poesie in prosa che considereremo, invece, la forma è un territorio più mobile, nel quale non ci sono regole prestabilite e non si creano modelli di stile; la sfida che alcuni testi pongono al lettore è di identificarli come poetici nonostante l’assenza di un codice formale riconoscibile. La ricostruzione diacronica sarà confrontata di continuo con l’analisi di alcuni testi esemplari.
[…]
La struttura peculiare di questo libro è motivata dalle scelte di partenza che abbiamo già elencato. Non si tratta solo di fare una ricostruzione storica, ma anche di definire le caratteristiche di una forma letteraria: perciò ci è sembrato giusto approfondire i due periodi nei quali la poesia in prosa viene usata in modo sperimentale e innovativo, con consapevolezza della sua autonomia estetica – il primo Novecento e il periodo a cavallo fra la fine di quel secolo e l’inizio del successivo –, e dare spazio a pochi autori esemplari, case study a tutti gli effetti, piuttosto che presentare una carrellata di nomi. Questo spiega il modo in cui sono costruiti il secondo e il quarto capitolo, e in parte anche il quinto. Nella conclusione, infatti – intrecciando analisi stilistica, considerazioni sulla logica dei generi letterari e attenzione alle dinamiche sociologiche del campo letterario –, viene tentata una mappatura della poesia in prosa degli ultimi quindici anni. Quanto al terzo capitolo, l’unico monografico, è motivato da due ragioni: innanzitutto Giampiero Neri è il primo autore del secondo Novecento per il quale la poesia in prosa non è solo una scelta formale, bensì il principio fondativo di una poetica; considerarne in dettaglio le opere, inoltre, permette di notare sia gli elementi di continuità con la poesia del suo secolo, sia il ruolo di archetipo per molti autori successivi. Neri è stato visto spesso come un caso isolato e marginale nella poesia del Novecento, ma in una storia della poesia in prosa italiana assume un ruolo da protagonista, incomprensibile senza nominare le esperienze poetiche in prosa che lo precedono e fondamentale per quelle che lo seguono.
[…]
Questioni irrisolte
[…] Due questioni, mi pare, rimangono ancora da discutere. Innanzitutto, la prosa in prosa non rappresenta l’unico esempio di poesia in prosa degna di attenzione. Esistono altri tipi di scrittura in grado di dare un’espressione estetica adeguata al mondo contemporaneo; fra questi, altri tipi di poesia in prosa. La militanza del gruppo di autori già citato, nonché dei critici che si sono occupati delle loro opere, ha messo in ombra altri poeti in prosa di questi anni, che provengono da esperienze diverse e hanno modelli lontani dalla linea Ponge-Gleize o da quella americana, peraltro eterogenei fra loro (abbiamo già fatto i nomi di Benedetti, Dal Bianco, Frasca, Magrelli, Neri; ne aggiungeremo altri nei prossimi capitoli), e ha determinato una lettura faziosa, se non addirittura un travisamento, di autori affini al gruppo di prosa in prosa nei risultati, ma molto diversi per poetica e per genealogia letteraria (come vedremo, è il caso di Bordini). Questo libro si propone di ricostruire il panorama della poesia in prosa del XXI secolo, per poterla accostare a quella del XX.
Proprio il tentativo di storicizzazione pone un problema di categorie. Lo studio della poesia in prosa italiana vive una contraddizione tra l’uso di criteri formali ed extraformali: in parte è una conseguenza della impossibilità di definire la poesia attraverso un unico criterio, come abbiamo spiegato all’inizio di questo capitolo. All’inizio del ventesimo secolo le poesie in prosa presentano spesso una poeticità latente nella dispositio e nel ritmo, mentre è sempre presente una soggetto di tipo lirico; verso la fine del secolo, quando ormai la media dei testi poetici è fatta da brevi componimenti autobiografici, scritti con uno stile soggettivo e indipendente dalla tradizione metrica italiana, la poesia in prosa diventa un testo nel quale il ritmo può essere irrilevante e spesso si esibisce l’assenza di un punto di vista soggettivo. La nostra ipotesi di partenza è che la sopravvivenza della metrica, di moduli prosodici tradizionali e di altri espedienti per preservare una forma di ricorsività all’interno del testo siano solo in parte rappresentativi della poesia in prosa. Mostreremo che questa forma letteraria ha realizzato alcune possibilità della poesia, anche quando ne ha confermato la componente di autobiografismo empirico, soprattutto ibridando la logica del discorso poetico con quella di altri generi letterari.
Note
[1] La segmentazione versale è considerata il principale elemento distintivo della poesia soprattutto nei saggi e nei manuali di metrica italiana più datati: cfr. ad esempio Di Girolamo (1976). Un ruolo simile ha anche negli studi del filosofo Jean Cohen (Cohen, 1974) e di altri studiosi che partono dalle tesi di Cohen. Come vedremo, si tratta di un’idea non del tutto corretta, se applicata al Novecento.
[2] La definizione data dalla pagina di Wikipedia riguarda soltanto una delle parole coinvolte (la prosa): non esiste una pagina di Wikipedia dedicata alla poesia in prosa in italiano, mentre esistono le corrispondenti in francese(https://fr.wikipedia.org/wiki/Po%C3%A8me_en_prose), in inglese (https://en.wikipedia.org/wiki/Prose_poetry) e in spagnolo (https://es.wikipedia.org/wiki/Poema_en_prosa e https://es.wikipedia.org/wiki/Prosa_po%C3%A9tica).
[3] Cfr. Bourdieu (2013), p. 332: «L’azione sovversiva dell’avanguardia, che scredita le convenzioni in vigore, ossia le norme di produzione e di valutazione dell’ortodossia estetica, facendo apparire come superati, démodés, i prodotti realizzati nel rispetto di quelle norme, trova un sostegno oggettivo nell’usura dell’effetto delle opere consacrate. Questa usura non ha nulla di meccanico. Essa deriva prima di tutto dalla trasformazione della produzione in routine, per effetto dell’azione degli epigoni e dell’accademismo, al quale i movimenti d’avanguardia stessi non sfuggono, e che scaturisce dalla messa in opera ripetuta e ripetitiva di procedimenti collaudati, dall’utilizzazione prima di invenzione di un’arte di inventare già inventata».
[4] L’oscillazione fra «poesia in prosa» e «poema in prosa», ad esempio, è presente sia in Cohen (1974) sia in Todorov (1993).
[5] Fra gli approcci di questo tipo, in questo libro si considererà soprattutto quello di Hamburger (2015). Il concetto di soggetto di enunciazione non è assente neanche nella più recente teoria di Culler (2015).
[6] Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1695-1696, 14 settembre 1821 (si cita dall’edizione critica commentata a cura di Rolando Damiani, Mondadori, “I Meridiani”, 1997).
[7] La stessa premessa è condivisa da alcuni studiosi italiani che si sono occupati della nascita del verso libero. Cfr. ad esempio Menichetti (1990) e Bertoni (1995). Fra gli studi complessivi sulla poesia in prosa francese, oltre a quello di Bernard, segnaliamo almeno Jechova et al. (éd., 1993), Munnia (1996), Sandras (1995) e Vadé (1996). Altri saggi verranno citati nei capitoli successivi.
Pezzo ripreso da http://www.leparoleelecose.it/?p=41428
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