02 aprile 2021

L' UTOPIA DI ANNA MARIA ORTESE

 




Anna Maria Ortese (1914-1998) è stata una grande scrittrice del 900. Ci piace riproporre oggi alcune sue pagine tratte da uno dei suoi ultimi libri, CORPO CELESTE, dove è possibile  ritrovare la sua visione del mondo che, secondo me, ha più di un tratto in comune con quella del grande pensatore ebreo-tedesco Walter Benjamin. La Ortese, infatti, come Benjamin,  ha creduto nella resurrezione dei morti  e nel riscatto degli ultimi e degli sconfitti dalla storia. (fv)

LA DISPERATA SPERANZA DI ANNA MARIA ORTESE

Crede ancora in qualche cosa?

Naturalmente. Credo in tutto ciò che non vedo, e credo poco in quello che vedo. Per fare un esempio: credo che la terra sia abitata, anche adesso, in modo invisibile. Credo negli spiriti dei boschi, delle montagne, dei deserti, forse in piccoli demoni gentili (tutta la Natura è molto gentile). Credo anche nei morti che non sono più morti (la morte è del giorno solare). Credo nelle apparizioni. Credo nelle piante che sognano e si raccomandano di conservare loro la pioggia. Nelle farfalle che ci osservano, improvvisando, quando occorra, magnifici occhi sulle ali. Credo nel saluto degli uccelli, che sono anime felici, e si sentono all’alba sopra le case… In tutto credo, come i bambini. In una sola cosa non credo: nell’uomo e nella donna, che esistano ancora. Posso sbagliarmi, ma essi mi sembrano ormai luoghi comuni, simulacri di antichi modelli, canne vuote, dove, nelle notti d’inverno, fischia ancora, piegandole, il vento dell’intelligenza, che li sedusse e distrusse.

A questo punto si può concludere, e mi dispiace, che lei non è più a sinistra?

Ma no! Sono ancora e più grandemente a sinistra: ma dell’Antenato e del Bambino, intendendo per Bambini tutti i perduti alla crescita e all’intelligenza. Sono anzi all’estrema sinistra di tutti i caduti sotto i colpi dell’intelligenza. Sogno la resurrezione dei Padri morti, di tutti i morti nell’ingiustizia. Penso talora, è strano, anche a Laika, la cagnetta che fu mandata, dicono, nello Spazio Esterno (definizione di Milton per gli abissi senza speranza che circondano l’Universo), e che forse avrà chiamato infinitamente gli umani. Vorrei gridare: Laika! Siamo qui! Ti amiamo! Torna indietro, Laika! Sì, sono questi i miei sogni: la resurrezione, il ritorno di tutti i morti nell’ingiustizia. Già la morte è ingiustizia. Ma l’ingiustizia, talora, come per Laika, è più ingiusta di ogni altra cosa ingiusta. È del tutto il segno della disgrazia di Adamo, dice l’orrore della intelligenza di cui si è fidato. Dice che non bisognerebbe più fidarsi di questa guida. Tornare indietro!

Laika! Ormai è morta! Svanita tra le stelle, e per sempre.

Ma non per me.

Spiriti! Folletti! Spiriti di Padri morti, di Bambini perduti, di piante che sognano, di farfalle che ci guardano! Di anime all’alba (gli Uccelli) che ci salutano cantando… È questa, dunque, la sua patria?

Sì, è questa.

Stiamo per chiudere, mi perdoni se è solo curiosità. Ma cosa le fa pensare che la Natura (figlia della Ragione, no?) sia viva quanto l’Intelligenza?

Di più! Di più! Perché l’Intelligenza non ci guarda, non ci interroga, la Natura ci interroga continuamente. La Natura ha occhi! Chi non ha mai guardato negli occhi di un figlio o di una figlia della Natura, non ha mai visto nulla di divino – per significare benevolenza, pace – per quanti possano essere gli altari a cui si sarà inginocchiato.

Allude, penso, al suo incontro con la Tartarughina?

Appunto. Mi aiuta, dove sono – come sono -, mi aiuta anche il ricordo della Tartarughina del Levante, una sera di dicembre freddo, dietro un’oscura vetrina. Sì, guardava me, proprio me! Alzò i suoi occhi su quella triste distanza. Penso sempre di tornare là, appoggiare la faccia sulla oscura vetrina, parlarle. È lì la mia patria.

Mi sorprende questa parola, pronunciata così seriamente, appassionatamente. Lei ama… amerebbe ancora, dunque, ciò che si dice… patria?

Naturalmente! Anzi, naturellement! (patria è parola francese). Ma la mia idea di patria è modesta. Amo ciò che è piccolo, amo le cose e creature infinitamente piccole, mute, che ci guardano con coraggio. Esse si appellano a noi dal fondo della loro tristezza e innocenza… ecco la mia idea di patria: lo sguardo mite e interrogante della Tartarughina del Levante, lo sguardo calmo degli Ultimi. Ho lì la mia casa, i miei inni, le memorie, le fiammanti e lacere – per tutti i venti dell’inverno – care Bandiere.

La conversazione è finita. Riprenderemo fra altri anni? Forse ascolterò, coi lettori, parole meno severe sulla intelligenza?

Non da me. Non da luoghi di esilio.

1989

Testo ripreso da Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi, Milano 1997, pp. 159.


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