21 aprile 2021

L' INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI M. KUNDERA

 



LA LEGGEREZZA DELLA SCRITTURA DI M. KUNDERA NON ALLEVIA LA PESANTEZZA DEL VIVERE.

Manuela BUSALLA

Con L’insostenibile leggerezza dell’essere siamo di fronte a uno dei più noti romanzi della letteratura degli anni Ottanta del 900. Milan Kundera (Brno, 1929) scrive questo libro nel 1982 e tra le sue pagine è impossibile non notare un ordito storico all’epoca ancora molto significativo. Infatti la Primavera di Praga (città in cui è ambientata gran parte dell’opera) e le vicende del partito comunista in Cecoslovacchia – l’attuale Repubblica Ceca – sono parte integrante della narrazione, un fluire di eventi, aneddoti e dispute filosofiche. Altrettanto importante l’invasione del Patto di Varsavia e un clima di fermento che informa di sé l’intera stesura di un successo, tradotto in lingua ceca solo dopo l’ottobre 2006. Perché, per espressa volontà dell’autore (ceco ma naturalizzato francese), fino ad allora i diritti per la pubblicazione nel suo Stato d’origine non vennero concessi.

Lasciando da parte questi elementi storico-politici è comunque altresì fondamentale soffermarsi su un aspetto non meno interessante: L’insostenibile leggerezza dell’essere presenta alcuni aspetti dal dichiarato spessore autobiografico. La musica di Beethoven e Parigi ne sono soltanto un esempio. Kundera studiò musica, suo padre era un celebre pianista e la passione per il pentagramma torna tra le pagine di tale romanzo. Poi c’è la Ville Lumière dove lo scrittore vive dal 1975. Tutto ciò dà un senso e un valore al romanzo la cui trama ruota attorno a quattro protagonisti, una storia di amori e tradimenti che inizia davvero solo dopo un incipit dall’autentico registro filosofico. Friedrich Nietzsche e la teoria dell’eterno ritorno dell’uguale, l’ossimorico contrasto di un’insostenibile leggerezza e «…l’opposizione pesante-leggero …la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni» segnano il passo persino nel quartetto formato da Tomáš e Tereza, Sabina e Franz. Seguiti e scrutati nel profondo dei loro animi, i quattro personaggi sembrano figure congeniali per sviluppare temi legati all’amore, all’amicizia erotica e al tradimento. Infedeltà e relazioni clandestine si presentano così in tutta la forza narrativa. Nei sogni/incubi di Tereza deflagra la gelosia «… tenuta a freno durante il giorno» e lo stile usato da Kundera, le parole, il lessico che fluiscono tra le righe sono ora nobili ora crude, perché servono a far risaltare magistralmente lo spessore dei temi affrontati.

Sorprendono anche i simbolismi e i miti. Se si inizia con Tereza e la cesta spalmata di pece e affidata alla corrente – chiaro riferimento al Mosè biblico – si finisce con quell’Edipo e l’articolo che farà perdere a Tomáš il lavoro da chirurgo. Assai critico nei confronti dei comunisti cechi, è proprio l’articolo a scatenare reazioni, problemi, dilemmi. In egual misura il politico Alexander Dubček e gli accadimenti del 1968 – espressamente citati da Kundera – sono la cifra di questo manifesto.

Altro tema di assoluta valenza è la compassione che «nella gerarchia dei sentimenti è il sentimento supremo». Ad esso fa eco persino la poesia sottesa all’amore tra Tomáš e Tereza che «… era stato bello ma anche faticoso... Ora, la fatica era scomparsa e rimaneva solo la bellezza». In una cornice filosofica pagine prettamente narrative cedono il passo a capitoli in cui riluce un côté saggistico fatto di profonde riflessioni. Sottraendosi all’ordine cronologico delle storie, Milan Kundera si addentra nelle pieghe dell’anima. Racconta l’esistenza dei suoi personaggi come se si trattasse di una composizione musicale. Non a caso scene di sesso in cui «l’amore fisico è impensabile senza violenza» fanno da controcanto al lirismo di considerazioni ben più auliche («L’uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza persino nei momenti di più profondo smarrimento»). Eppure i tradimenti – filo conduttore del testo – vanno letti in una chiave altra. Nulla è fine a se stesso, «tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l’ignoto». L’uomo lo sa bene e di questo ha urgente bisogno. In equilibrio precario tra la leggerezza e la pesantezza, prigionieri di un destino in continuo divenire, Tomáš e Tereza, Sabina e Franz sono tratteggiati nella complessa individualità. Specchiarsi nelle debolezze, negli ideali e nelle loro velleità arricchisce di senso la lettura.

L’insostenibile leggerezza dell’essere si compie su più livelli. La sua architettura è strabiliante, in alcuni passi sembra di vedere tradotti in prosa i capolavori e le litografie di Maurits Cornelis Escher: mondi impossibili, labirinti di scale e illusioni ottiche rimandano all’idea dell’eterno ritorno nietzschiano. Ma l’elenco non si chiude certo qui. Nel Piccolo dizionario di parole fraintese – parte costituente del romanzo di Kundera – irrompono sulla scena Franz Kafka e André Breton (nel capitolo intitolato Vivere nella verità quest’ultimo «diceva di voler vivere “in una casa di vetro” dove nulla è segreto e ognuno può guardare»). Più avanti, invece, è la filosofia a imporre il ritmo narrativo. Il corpo diventa insegna dell’anima e i limiti delle possibilità umane «tracciano i confini dell’esistenza umana». A fare il resto arrivano le metafore sparse con una tecnica sofisticata nel racconto. Bisogna assolutamente domandarsi perché Tomáš – chirurgo di provata fama – affronti le sue amanti come farebbe in sala operatoria con i propri pazienti. Sembra impugnare un bisturi per conoscerne lo spirito, i segreti, quello che si cela dietro l’invisibile alla vista.

Tuttavia il sesso non esaurisce qui il suo significato. Kundera sa che «…il desiderio di impadronirsi del mondo… lo spingeva (Tomáš) a inseguire le donne». Forte e dissacrante è pure il concetto di “Kitsch”. Associato all’eliminazione dell’inaccettabile, è l’ideale estetico dei partiti e dei movimenti politici. In grado di bandire dal quotidiano sia il dubbio che l’ironia, il Kitsch si fa totalitario. Ed è ciò che interessa a Milan Kundera nel corso di una personalissima analisi. Per sua stessa ammissione il «… romanzo è un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato».

Come mero concetto e cardine di questo romanzo, l’insostenibile leggerezza dell’essere la si afferra nel profondo solo quando ci si rassegna all’evidenza: le problematiche dei quattro protagonisti sono – mutatis mutandis – le nostre problematiche. Diventano quindi concetti universali ed esistenziali, ma al loro cospetto siamo disarmati. Valersi dell’esperienza è impossibile. Ogni situazione con cui potremmo misurarci è unica e si rivela ai nostri occhi per la prima volta. La leggerezza del vivere risiede nell’irrevocabilità degli eventi, la pesantezza alberga nell’eterno ritorno di cui parla Nietzsche. Kundera ci lascia senza speranza. Grida con veemenza che «…il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione». Le coincidenze fortuite e l’Es muss sein! (Ciò deve essere!) di Beethoven sono un fardello inesorabile. Esemplare a riguardo la lettura che ne dà Italo Calvino in Lezioni americane – Sei proposte per prossimo millennio («L'insostenibile leggerezza dell'essere è in realtà un'amara constatazione dell'ineluttabile pesantezza del vivere», 1988).

Manuela Busalla © 2016



1 commento:

  1. Chissà quale recondito significato ha spinto l'autrice ad usare il vocabolo "côté" invece di lato -parte ?! Forse era troppo leggero? ;-)

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