14 aprile 2021

DANIELA GAMBINO e LORENZO GASPARRINI di fronte al FEMMINISMO .

 




IL FEMMINISMO A CASA MIA

Daniela Gambino

In genere, moltissime persone, non sanno di cosa parliamo quando “parliamo di femminismo”.
Le donne credo che disconoscano il femminismo, intanto, perché non lo considerino sexy, come dice la scrittrice Isabel Allende, durante una intervista (forse l’ho già detto).
Cosa è dunque il femminismo, e cos’è il maschilismo (secondo me)?
.... Ma femminismo è una filosofia, un modo per ripensare il tempo, il modo di trascorrerlo e viverlo, di approcciare la politica, i problemi, di stare al mondo.
Un approccio femminista tiene conto di movimenti del cuore, sentimentali e ormonali. Delle esigenze di una donna, dalle mestruazioni, allo spazio per crescere, allattare, desiderare i figli, a quello per invecchiare, decidere del suo status sociale, del suo corpo. È una spiegazione succinta e personale.
Il femminismo è naturale. Se ci riflettete è profondamente istintivo chiedere un riposizionamento. Domandarsi, perché? Perché gli uomini hanno protratto questa ingiustizia per tutti questi secoli?...
Cos’è il maschilismo? È tutto il resto, nel senso che, io ho avuto amiche e parenti maschilisti, e, ohibò, ho avuto parti di me, maschiliste. Il mondo è pensato e progettato dai maschi scardinarlo comporta una profonda analisi (...) Quando dico “dovresti farlo, sei un uomo”, compreso compiere il primo passo in amore, io vengo a patti con la mia parte maschilista.

Per conoscere meglio il punto di vista di DANIELA GAMBINO seguitela su:
#lamiarubricadevastazioni è su @loftcultura

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CONTRO L’INCONSAPEVOLEZZA DI GENERE: “PERCHÉ IL FEMMINISMO SERVE ANCHE AGLI UOMINI” DI LORENZO GASPARRINI

di Giuseppe Luca Scaffidi

articolo ripreso da https://www.minimaetmoralia.it/wp/antropologia/contro-linconsapevolezza-di-genere

«Lo scopo di questo libro è quello di mostrare le storture che il sistema patriarcale crea anche negli uomini, e ci proveremo attingendo a quel patrimonio raccontato, teorizzato, messo in pratica soprattutto da chi uomo – etero, cisgender, bianco occidentale – non è».

Le pagine che aprono Perché il femminismo serve anche agli uomini, il quinto saggio di Lorenzo Gasparrini, docente, filosofo, attivista e fondatore del blog Questo uomo no, pubblicato dai tipi di Eris Edizioni nella preziosa collana BookBlock, mettono immediatamente in chiaro l’intento pedagogico ben visibile già a partire dal titolo: introdurre gli uomini a quel patrimonio stratificato di «pratiche di libertà create – con l’azione, il pensiero, la parola scritta e pronunciata – da donne che hanno provato, provano e proveranno a liberarsi dalle oppressioni della società in cui vivono».

Una corretta ricezione delle teorie femministe – troppo spesso dimenticate dai programmi scolastici – può rappresentare uno strumento di autodifesa culturale imprescindibile, il solo rimedio veramente utile per provare a smontare le narrazioni machiste dominanti e decostruire il concetto di patriarcato, sgombrando il campo da tutti i cortocircuiti logici che, frequentemente, scaturiscono da una sua mancata o soltanto parziale comprensione; come evidenzia Gasparrini, infatti, l’acredine e il livore maschili nei confronti dei femminismi rappresentano, in primis, il naturale portato di un problema culturale: anche se l’intreccio fra genere e dominio continua a rimanere centrale nell’organizzazione dei nostri rapporti sociali – permeandoli in un modo talmente pervasivo da diventare subdolo, tanto ovvio da finire per essere irriconoscibile – da parte maschile la tendenza generale è quella di opporre all’evidenza dei fatti un meccanismo forzato di rimozione, obnubilando un privilegio esistente e dettato da contingenze sistemiche. A confermarlo sono i numeri: secondo le stime dell’ultimo Global Gender Gap Report, l’impatto della pandemia da COVID-19 ha prodotto l’effetto di esacerbare un’emorragia già piuttosto estesa, acuendo le disparità tra i sessi. Il documento prevede che, per chiudere definitivamente il gap, saranno necessari almeno altri 267,6 anni; ciò significa che almeno un’altra generazione di donne sarà costretta a pagare per tutta la vita lo scotto delle disuguaglianze di genere.

Eppure, al netto di queste evidenze, l’esperienza quotidiana dimostra come l’inconsapevolezza del legame che intercorre tra potere e genere produca spesso delle reazioni scomposte da parte degli uomini, anche tra coloro che non hanno troppi problemi a definirsi progressisti: si passa dal fastidio all’irritazione, sino a sfociare nella tendenza a minimizzare la portata del fenomeno o, nel peggiore dei casi, nella vera e propria ostilità. Del resto, la conflittualità innescata da questo genere di malintesi non dovrebbe stupire: quando occupiamo una posizione di vantaggio sociale ci piace pensare che tale privilegio non esista o, al limite, che sia il frutto di nostri meriti individuali.

Lo racconta molto bene Maria Giuseppina Pacilli che, nel suo importante saggio Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità (Il Mulino, 2020), ha coniato la nozione di inconsapevolezza di genere al fine di delineare una peculiare forma di cecità sociale che «ruota attorno a un’idea di avversione per il femminile, invulnerabilità emotiva, etero-normatività e dominanza sia a livello personale sia a livello sociale».

Non a caso, un primo falso mito che l’agile pamphlet di Gasparrini prova a smontare è quello che concerne la presunta libertà che la perpetuazione – il più delle volte, come abbiamo anticipato poco sopra, inconsapevole o acritica – di questo sistema di potere garantirebbe agli uomini: l’idea che il mondo sia a loro completa disposizione, l’abbacinante convinzione di non poter essere nuociuti in alcun modo da quel novero di costrizioni e imposizioni che traggono legittimazione dal loro genere.

Una narrazione distorta (ma, ormai, pienamente istituzionalizzata) che affonda le proprie radici in un retroterra culturale ben preciso, eretto a partire da tutti quei condizionamenti che contribuiscono a forgiare il tipo di maschilità che, nel corso del tempo, abbiamo imparato a configurare come “normale”.

La vita di un uomo, dall’infanzia all’età adulta, è scandita da una serie di precetti che influenzano sensibilmente tanto le sue modalità di interazione sociale quanto la sua capacità di esperire ciò che lo circonda. Si tratta di un corpus di consuetudini profondamente radicate nell’immaginario collettivo, al quale corrispondono degli adempimenti ben precisi, come ad esempio l’obbligo di acquisire e mantenere una buona reputazione agli occhi del mondo, la tendenza a incarnare una qualche forma di autorità, potere o talento o, ancora, la necessità di preservare un atteggiamento virile e combattivo, impermeabile a qualsiasi attimo di cedimento o debolezza

Questi comandamenti (ascrivibili alla tradizionale modalità patriarcale di allevare i figli, tuttora presente in molti paesi, compreso il nostro) producono l’effetto di modellare il carattere maschile sullo stampo di quei tratti stereotipati che connotano l’imperituro cliché del maschio alpha, sino al punto che, secondo l’autore, «se non segui questi dettami, se non hai queste caratteristiche, non sei un uomo».

Il dovere di mantenere fede al dogma inscalfibile dello stoicismo emotivo impone agli uomini una serie di restrizioni che finiscono per inibire la loro sensibilità (basti pensare allo stigma che, per lungo tempo, ha recintato il pianto maschile nell’ambito della sfera privata). Per spiegare queste dinamiche, Roland Levant ha introdotto il concetto di alessitimia normativa maschile: pur di aderire a un modello tradizionale di mascolinità, gli uomini scelgono di condannarsi al mutismo emozionale, sperimentando un dolore tacito e poco intellegibile.

Come scrive Gasparrini: «Questi inganni, queste sviste, sono il prodotto di precise strategie culturali: il racconto ossessivo e ripetuto della “naturalità” e “normalità” dell’eterosessualità tradizionale, la delirante religione dell’“essere se stessi” in un mondo culturale che penalizza chiunque non si conforma, il culto del successo ottenibile soltanto tramite forme di potere non condiviso (essere il più ricco, il più bello, il più geniale, il più potente) mentre vengono chiamati “spirito di squadra” il cameratismo e il controllo reciproco, l’annullamento o la svalutazione dell’interiorità, dello spazio delle emozioni, del lavoro sui sentimenti maschili che vengono riabilitati solo come scuse per gesti irrazionali e violenti, il continuo evidenziare una colpa individuale per non lasciar mai emergere una responsabilità di genere».

Anche se la riconsiderazione critica dei valori costitutivi della mascolinità tradizionale rappresenta la conditio sine qua non indispensabile per pervenire a un’effettiva alleanza tra i sessi, l’autore sottolinea come non debba essere concepita alla stregua di un traguardo: si tratta di un semplice punto di partenza. Il lungo percorso in direzione dell’uguaglianza sostanziale interseca, giocoforza, una riflessione sul corpo come luogo politico. È questa, probabilmente, la lezione più importante che un uomo può trarre dallo studio delle pratiche femministe, il presupposto indispensabile per individuare le fondamenta costitutive di un nuovo essere maschile. In definitiva, la conoscenza è l’unica risorsa che abbiamo a disposizione per riuscire nell’impresa di far cadere il velo di Maya: «Non servono complessi ragionamenti per trovare leve capaci di far saltare tutto il marchingegno, il dispositivo patriarcale che opprime anche gli uomini».


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