19 aprile 2021

NICOLA ROMANO RICORDA UN VIAGGIO IN SICILIA DI OCTAVIO PAZ

 











     Oggi sono particolarmente lieto di pubblicare in questo blog il bel ricordo del poeta palermitano Nicola Romano di un soggiorno a Ustica del grande scrittore messicano Octavio Paz. (fv) 


OCTAVIO PAZ A USTICA, TRA NATURA E SCRITTURA

Nicola Romano

Venuto maggiormente alla ribalta col Premio Nobel per la letteratura assegnatogli nel 1990, Octavio Paz rimane una delle voci più significative della poesia internazionale, e senz’altro figura rappresentativa della storia moderna dell’America latina. Egli nacque a Città del Messico nel Marzo del 1914 e ivi morì il 19 Aprile del 1998, esattamente 23 anni fa come oggi. Fu poeta, animatore culturale (sempre attento a discutere ed a riflettere sul valore della poesia e della parola), fu direttore di riviste e saggista, e perfino Ambasciatore del suo Paese in India.

Ma, rimandando ad altre opportune sedi l’approfondimento sulla sua figura, mi preme qui ricordare i suoi pochi ma intensi contatti con la Sicilia, se nel 1989 gli fu assegnato a Palermo il Premio Mondello, se nel 2006 (post mortem) l’editore Armando Siciliano di Messina pubblicò la traduzione del suo testo “Libertà sulla parola”, e se adesso ricordiamo un suo passaggio come interessato turista nell’isola di Ustica, avvenuto tra il 1958 e il 1961 (come presume Laura Scarabelli, specialista di letterature ispanoamericane) in compagnia dell’amata amica italiana Bona Tibertelli de Mandriagues, pittrice d’ispirazione surrealista e pertanto con interessi comuni con Paz che, durante una sua permanenza in Francia, ebbe modo di lavorare accanto ad André Breton. Resta però avvolto nel mistero questo viaggio prettamente mirato di Paz e della sua compagna: qualcuno dice che lei era in cerca di nuovi colori e d’inedite forme da adattare alle sue composizioni, altri pensano che Paz sia stato incuriosito dal paesaggio scurito (l’origine è vulcanica) e magico dell’isola, volendo compiere quasi un gesto di conciliazione tra natura e scrittura al fine di disvelare l’interessenza del mondo.

E comunque sia, una perfetta testimonianza di questo suo transito nell’isola - della quale ha colto sicuramente l’anima ed anche la sua storia - è la poesia intitolata per l’appunto USTICA, inserita nel volume “Salamandra” pubblicato in Messico nel 1962. Una poesia che svela indiscutibilmente la sua presenza nell’isola e sicuramente per diversi giorni, poiché – specialmente per chi, come il sottoscritto, frequenta da diverso tempo Ustica - sono tanti i riferimenti precisi, il cesello delle immagini e addirittura “i suoni” che egli riesce a trasmettere.

I sintagmi “ossa” e “ossario” che si ripetono tre volte nel testo (vedi foto) o termini come “aduste”, “rocce color zolfo”, “pigna di lava” si allacciano ai vocaboli latini «osteodes» (ossa) e «ustum» (bruciato) da cui si presume possa essere derivato il nome di Ustica, inoltre la “terra dei morti” è riconducibile all’isola come un probabile cimitero saraceno, “la luce s’inabissa” ricorda i meravigliosi tramonti che si possono godere dalla contrada dello Spalmatore, “il respiro delle cisterne” riporta alla raccolta, in quel tempo, dell’acqua piovana e infine la consistenza lavica-pietrosa del territorio viene messa in evidenza da pennellate come “pugno di pietra”, “materia raffreddata”, “pesca petrosa”, “il corpo scuro del vino”, “il sole più nero”.

E, trovandosi accanto all’amata compagna, profondi e inevitabili sono i versi “…le nostre radici annodate nel sesso, nella bocca sfatta della Madre sepolta”, versi che sembrano indicare un ritrovato loro paradiso dentro una porzione di terra unica, intrigante, sconosciuta ai più, e pertanto idealmente accostata alla “Madre (la Terra) sepolta”. (nr)



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