Il 2011 ci ha regalato
due films che fanno riscoprire la magia
e lo stupore del vero cinema.
Il primo s’intitola The
Artist e si deve a Michel
Hazanavicius. Il regista francese
porta sullo schermo un film ‘muto'. Cioé un film con musica e cartelli
su cui scrivere (neanche tanto spesso) le battute dei personaggi. Si potrebbe
subito pensare a un'operazione da filologi cinefili da far circuitare nei
cinema d'essai. Non è così. La filologia c'è ed è così accurata da far
perdonare l'errore veniale dei titoli di testa scritti con una grafica e su uno
sfondo che all'epoca erano appannaggio dei film noir. Hazanavicius conosce in
profondità il cinema degli Anni Venti ma questa sua competenza non lo ha
raggelato in una riesumazione cinetecaria. Si ride, ci si diverte, magari
qualcuno si commuove anche in un film che utilizza tutte le strategie del
cinema che fu per raccontare una storia in cui la scommessa più ardua (ma
vincente perlomeno al festival di Cannes) è quella di mostrare che
fondamentalmente le esigenze di un pubblico distante anni luce da quei tempi
sono in sostanza le stesse. Al grande schermo si chiede di raccontare una
storia in cui degli attori all'altezza si trovino davanti una sceneggiatura e
un sistema di riprese che consentano loro di ‘giocare' con i ruoli che gli sono
stati affidati. Se poi il film può essere letto linguisticamente anche a un
livello più alto (come accade in questa occasione in particolare con l'uso
della colonna sonora di musica e rumori) il risultato può dirsi completo. Vedere
per credere.
L’altro capolavoro, intitolato Hugo Cabret, si deve al maestro del cinema americano Martin Scorsese. Il
film racconta l'incredibile avventura di
un orfanello che vive nella stazione ferroviaria di Parigi Gare du Nord negli
anni Trenta, aggiustandone gli orologi. Sempre in fuga dal cattivo
ispettore di stazione che lo cerca per condurlo in un orfanatrofio, il piccolo
Hugo ha il desiderio di far funzionare uno strano automa meccanico eredità di
suo padre defunto e unico legame che il ragazzo ha con la memoria del
genitore scomparso. Nel tentativo di capire come assemblare i meccanismi
di questa sorta di robot, Hugo si imbatterà nella curiosa e vivace Isabelle e
in suo padre George Melies, (uno dei padri fondatori dell'arte cinematografica,
ormai costretto a vendere giocattoli in stazione) e tutti insieme, i
protagonisti del racconto, porteranno a nuova vita l'automa misterioso e con
lui la magia stessa del cinema. Dichiarazione d'amore colta e raffinata che il
regista offre all'oggetto della sua passione, “Hugo Cabret” celebra
il cinema nella sua essenza più pura di fabbrica dei sogni indispensabile alla
vita, là dove un ragazzino si abbandona al piacere
dell'illusione e un vecchio cineasta visionario come Melies, trova la sua
seconda occasione. Tutto, dalla costruzione della storia ai riferimenti
cinefili, dalla tecnologia 3D (che mai invade quanto piuttosto accoglie lo spettatore) alla bella scenografia
di Dante Ferretti contribuisce al
fascino di una favola senza tempo che emoziona e seduce.
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