25 febbraio 2012

La disperazione di Penelope...




Non è che non lo riconobbe alla luce del focolare;
non erano
gli stracci da mendicante, il travestimento – no;
segni evidenti:
la cicatrice sul ginocchio, il vigore, l’astuzia nello
sguardo. Spaventata,
la schiena appoggiata alla parete, cercava una scusa,
un rinvio, ancora un po’ di tempo, per non rispondere,
per non tradirsi. Per lui, dunque, aveva speso vent’anni,
vent’anni di attesa e di sogni, per questo miserabile
lordo di sangue e dalla barba bianca? Si accasciò muta
su una sedia,
guardò lentamente i pretendenti uccisi al suolo, come
se guardasse
morti i suoi stessi desideri. E “Benvenuto” disse,
sentendo estranea, lontana la propria voce. Nell’angolo
il suo telaio
proiettava ombre di sbarre sul soffitto; e tutti gli uccelli
che aveva tessuto
con fili vermigli tra il fogliame verde, a un tratto,
in quella notte del ritorno, diventarono grigi e neri
e volarono bassi sul cielo piatto della sua ultima pazienza.


Ghiannis Ritsos, da Pietre Ripetizioni Sbarre. Poesie 1968-1969, trad. di Nicola Crocetti,  Feltrinelli, Milano 1978, pp. 54-55.
 
Un acuto commento a questa poesia, con puntuali riferimenti all’attuale crisi, si trova in un articolo di Girolamo De Michele, Dalla parte di Penelope. La Grecia, le favole, la parresia e il dovere di narrare la verità, pubblicato nel sito http://www.carmillaonline.com/

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