10 gennaio 2013

ANCORA SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA







Ripropongo l’articolo pubblicato OGGI dal Corriere della Sera a commento della relazione dell’ultima Commissione Parlamentare antimafia presieduta dall’On. Beppe Pisanu:

Giovanni Bianconi  -  Una tacita intesa

Sembra la versione «moderata» del presunto patto fra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi: la trattativa ci fu, o quantomeno fu tentata per poi lasciare il passo a una «tacita intesa», ma senza alcun mandato politico dei vertici delle istituzioni. E in ogni caso senza risultato, giacché lo Stato non fece concessioni significative e anzi scatenò una reazione senza precedenti contro gli «uomini d'onore».
È l'ultimo atto parlamentare di un politico di lungo corso come Beppe Pisanu — democristiano e post democristiano passato dal centrodestra al centro, che si appresta a lasciare le assemblee legislative dopo quarant'anni di quasi ininterrotta presenza, ma chissà che non possa aspirare a nuove importanti cariche.
Il presidente dell'Antimafia ha messo in fila gli eventi così come sono emersi dal lavoro della commissione e degli uffici giudiziari che continuano ad arrovellarsi sul biennio sanguinoso e ancora oscuro 1992-1994, per trarre un giudizio politico che resta sospeso nei confronti di chi è sottoposto a indagini e processi, ma suona come un'assoluzione per i vertici istituzionali rimasti fuori dalle aule giudiziarie. E fa intravedere, fino a farlo diventare esplicito in alcuni passaggi, un contrasto con il lavoro della Procura di Palermo di cui non a caso Antonio Ingroia — il pubblico ministero che s'è fatto politico — ha approfittato per attaccare lo stesso Pisanu, ormai avversario dello schieramento opposto.
Il rappresentante della commissione parlamentare sostiene, riferendosi ai contatti tra i carabinieri del Ros e l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, che «ci fu almeno una trattativa tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa Nostra», a loro volta «privi di un mandato univoco e sovrano». Nell'atto d'accusa con il quale ha chiesto il processo per gli ex ufficiali dell'Arma Mori, De Donno e Subranni, al contrario, la Procura di Palermo sottolinea che i tre carabinieri cercarono Ciancimino e altri uomini collegati alle cosche «su incarico di esponenti politici e di governo». Dunque con un preciso mandato, almeno para-istituzionale, dettato da una «inconfessabile ragion di Stato». Ancora. Pisanu afferma che dell'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro morto un anno fa (il quale riferì di non avere mai saputo niente né della trattativa né degli avvicendamenti al vertice dell'amministrazione penitenziaria, da cui scaturirono le mancate proroghe di oltre trecento decreti di «carcere duro» per altrettanti detenuti) «non possiamo mettere in dubbio la parola e la fedeltà alla Costituzione e allo Stato di diritto». Fosse stato ancora vivo, invece, Scalfaro sarebbe oggi indagato per falsa testimonianza dai pm di Palermo. Bastano questi due accenni per comprendere la differenza d'impostazione tra chi crede che le istituzioni vadano sostanzialmente assolte e chi ha chiesto il giudizio penale per alcuni loro esponenti dell'epoca, ma ritiene che ci siano ulteriori livelli di responsabilità e consapevolezza da scoprire. Tra chi considera il caso politicamente chiuso, nonostante le molte domande rimaste senza risposta, e chi invece pensa che ci sia da scavare ancora. Tra chi pensa che lo Stato abbia vinto («una cosa sono gli obiettivi della mafia, un'altra i risultati») e chi che abbia perso: Pisanu da un lato, la Procura di Palermo dall'altro.
Al di là delle interpretazioni e delle divergenze d'opinioni, però, restano i fatti. E l'immagine di ciò che era lo Stato al tempo della «strategia della tensione» scatenata da Cosa Nostra dopo le condanne definitive al maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una rappresentazione che coincide nelle carte dell'Antimafia e in quelle delle Procure (non solo Palermo, ma anche Caltanissetta e Firenze): le istituzioni e i loro apparati poco meno che in ginocchio e una classe politica incapace di trovare le risorse per reagire all'offensiva mafiosa. Rappresentanti dei partiti e dello Stato quasi increduli e impreparati di fronte a boss che avevano deciso di chiudere vecchi conti, una volta rotto il «clima di convivenza e, a tratti, perfino di collaborazione, che aveva lungamente caratterizzato il rapporto mafia-politica-istituzioni», come scrive il presidente della commissione parlamentare. A cominciare dall'omicidio del «garante» Salvo Lima, che di Pisanu fu compagno di partito.

Fonte: Corriere della Sera del 10 gennaio 2013

2 commenti:

  1. In pratica sta venendo ancor meglio alla luce, e con un ufficiale avallo del Parlamento, che la natura della cosiddetta "seconda repubblica" è una natura mafiosa.
    "...la mafia-mafia, quella vera e profonda dei colletti bianchi (che sono confluiti nel sistema di potere berlusconiano) ha ritrovato e rafforzato le sue fortune in un riscostituito, immenso e capillare sistema di corruzione che non ha niente da invidiare a quello del vecchio sistema di potere democristiano. Ed è molto meno provinciale di prima. Infatti, l'orizzonte del business e dell'influenza politico-mafiosa per ogni forma di mafia e di mafiosità è diventato molto più vasto, molto di più di quello segnato dal tradizionale asse tra l'isola e gli States; slargandosi, non soltanto esso rappresenta l'orizzonte nazionale in cui si completa un'antica operazione di colonizzazione mafiosa del Nord Italia (...), ma costituisce la grande finestra della mafia storica italiana aperta sul mondo intero".

    Cfr. G.C. Marino, Storia della mafia, Roma, Newton Compton, 2012, p.388 et al.

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  2. Come ha scritto Antonio Ingroia (in G.C. Marino, "GLOBALMAFIA", ed Bompiani), "la c.d. Seconda Repubblica ha i propri pilastri affondati nel sangue della stagione stragista".
    Va da sé che che la grande regia politica di una siffatta "operazione" di costruzione del "regime mafioso" (che in vario grado e a vari livelli si vuole occultare), appartiene per intero a Berlusconi e il suo esito è stato, appunto, il regime del berlusconismo dal quale non siamo ancora usciti. E' il regime che ci ha depressi e immiseriti, facendo di masse sterminate di "popolo" masse di sudditi e di beoti. Per uscirne fuori definitivamente urge una RIVOLUZIONE CIVILE.

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