Pubblichiamo
con piacere oggi L’APPELLO ai candidati alle elezioni della Società dei territorialisti apparso sul
sito http://www.democraziakmzero.org/2013/01/20/ritorno-al-territorio/
Per il ritorno al territorio, bene
comune
La società
dei territorialisti e delle territorialiste ai candidati delle elezioni
del 24 febbraio 2013: un appello
- La Società dei territorialisti
e delle territorialiste, tra i cui promotori figurano studiosi di varie
discipline, dalla storia all’archeologia e all’economia,
dall’urbanistica alla sociologia, dalle scienze agrarie alla geografia,
dalla geologia al diritto e alla filosofia (www.societadeiterritorialisti.it),
denuncia come la cultura politica dominante nella attuale
competizione elettorale consideri ancora il territorio come mero supporto
fisico delle attività produttive e dell’urbanizzazione, anziché
assumerne i significati di risorsa, di identità e di opportunità, vale a
dire di patrimonio, come base su cui fondare nuove
politiche anticrisi. Il ritorno al territorio, quale
ricostruzione delle basi materiali di nuove forme di produzione
della ricchezza è stato alla base del New Deal keynesiano
dopo la crisi del ’29, di cui il progetto rooseveltiano della
ricostruzione delle condizioni ambientali, produttive, agricole,
energetiche, sociali della Tennessee Valley (TVA), è stato l’esempio
paradigmatico. A partire dalla crisi del 2008, crescita,
crescita, crescita, senza aggettivi, continua invece ad essere il
ritornello del dibattito politico e elettorale, mentre i Governi nazionali
sostengono banche e multinazionali, le stesse responsabili della crisi
finanziaria globale. Dalla crisi non si può uscire adottando gli stessi
paradigmi che l’hanno generata
.
- Anche le recenti politiche messe in atto in Italia per fronteggiare la crisi hanno marcato questa esclusione del territorio, del paesaggio e dell’ambiente, con la conseguenza di un territorio più vulnerabile, più fragile, spesso ferito e offeso. Riteniamo essenziale una ricomposizione dei saperi verso una nuova attenzione alla cultura dei luoghi, al territorio come bene comune, su cui le nostre civiltà hanno fondato il proprio benessere, la propria riproduzione, il proprio sviluppo. La rottura di questa coevoluzione fra insediamento umano e ambiente nel mito della sovradeterminazione della crescita economica è concausa del progressivo distacco, nei processi di globalizzazione, tra la crescita stessa e il benessere sociale; dell’abnorme consumo di suolo che accompagna l’espansione smisurata delle urbanizzazioni e della scarsità di cibo; dell’incalzante crisi dell’ambiente e della sicurezza del territorio amplificata dai cambiamenti climatici; dell’allontanamento progressivo dei centri decisionali dalla capacità di controllo e governo delle comunità locali e dei loro ambienti di vita.
- Per invertire gli esiti catastrofici di questo processo deve e può essere recuperata una capacità di una visione strategica incardinata sulla ricostruzione di una cultura e un pensiero del territorio, ai quali facciano seguito politiche di buongoverno territoriale. Per l’Italia in particolare, la cultura del territorio si fonda storicamente su una grande varietà di identità regionali e locali e sulla presenza diffusa di un ricco patrimonio culturale e ambientale: la molteplicità dei paesaggi rurali, la stratificazione millenaria delle città storiche, il policentrismo delle reti insediative e infrastrutturali. Un buon governo che sappia valorizzare questo ricco patrimonio territoriale, integrando politiche culturali, ambientali, economiche e sociali, rappresenta oggi la sfida essenziale per l’innovazione delle politiche pubbliche.
- In questa direzione e in controtendenza alle politiche istituzionali, la centralità del patrimonio territoriale è presente in modo capillare e diffuso nelle sempre più numerose esperienze di cittadinanza attiva (comitati, movimenti, pratiche dell’abitare e del produrre di tipo comunitario e solidale, enti pubblici territoriali virtuosi). Questa centralità assegnata al territorio, ai suoi saperi e sapienze, induce comportamenti di cura, manutenzione e valorizzazione, verso una conversione ecologica e territorialista dell’economia, basata sulle peculiarità dei territori, sulla “coralità produttiva dei luoghi” e su nuove forme di coscienza civica. Queste esperienze diffuse sollecitano una visione politica in cui la cura dei mondi di vita vissuta in comune riacquista centralità, riconoscendo l’abitante competente e la pratica della partecipazione come basi di una rinascita della democrazia, capace di svincolare la nostra società dai meccanismi spesso rovinosi dell’economia globale.
- La sfida del ritorno al territorio come bene comune che la Società dei territorialisti e delle territorialiste propone al dibattito pubblico si articola nelle seguenti quattro proposte:
- 1. Il ritorno alla terra
Un intero
ciclo di sviluppo fordista si è basato, dal secondo dopoguerra, sull’esodo
dalle campagne, dai molti ‘Sud’ alpini e appenninici verso le aree
metropolitane di pianura e le coste. Un primo punto programmatico è
l’attivazione di politiche e progetti per un controesodo che realizzi un
nuovo popolamento rurale.
Questo
popolamento deve perseguire obiettivi su due fronti:
a) l’elevamento
della qualità della vita urbana: nutrire le città con cinture
agricole peri-urbane produttrici di cibo sano a km zero (orti, frutteti,
giardini, fattorie didattiche, mercati locali) e estesi parchi agricoli
multifunzionali; elevare la qualità abitativa delle periferie (standard di
verde agricolo “fuori porta” fruibile); riqualificare i margini urbani (qui
finisce la città, là comincia la campagna); salvaguardare le città dalle
conseguenze sempre più catastrofiche del dissesto idrogeologico;
b) l’elevamento
della qualità della vita e della produzione del mondo rurale: fermare
i processi di deruralizzazione; ridare dignità alle attività primarie e al modo
di produzione contadino, denso di saperi riparativi dei disastri ambientali e
sociali dell’agroindustria, attraverso i suoi intrinseci caratteri
multifunzionali; ridurre l’impronta ecologica con la chiusura
locale dei cicli dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia, dell’alimentazione;
elevare la qualità ambientale (salvaguardia idrogeologica, qualità dell’aria,
dell’acqua, delle reti ecologiche e del paesaggio).
I percorsi
delineati del ritorno alla terra restituiscono un ruolo centrale ai paesaggi
rurali storici con le loro sapienti regole ambientali, idrogeologiche,
ecologiche, produttive, in grado di dare indicazioni per la multifunzionalità
dell’agricoltura, per affrontare le conseguenze del cambiamento
climatico e garantire una sostanziale sovranità alimentare
alle comunità locali e al nostro Paese nel suo complesso.
- 2. Il ritorno alla montagna
Il 78% del
territorio nazionale è collinare e montano: il ritorno alla terra assume perciò
questa centralità ambientale e culturale.
Veniamo da
una civilizzazione industriale matura (fordismo) che ha fatto delle pianure,
dei fondovalle, delle coste il proprio campo di battaglia, seppellendone il
territorio, l’ambiente, il paesaggio sotto i propri capannoni prefabbricati e
le «fabbriche verdi» dell’agroindustria, desertificando il territorio montano
e, in parte, quello collinare con il dilagare di seconde case, impianti
sportivi, alberghi, riforestazione spontanea e disastri idrogeologici. Il
ritorno alla montagna, ad abitare le valli alpine e appenniniche e gli
entroterra costieri, è un ‘controesodo’ culturale verso una società
agro-terziaria avanzata che sappia riconoscere il valore di “retroinnovazione”
del proprio patrimonio ambientale e culturale.
Le politiche
pubbliche integrate da attivare per favorire questo controesodo nelle aree interne
riguardano: una nuova visione della mobilità, delle infrastrutture e
dei servizi di rete per i piccoli centri, i borghi, le case rurali;
l’accesso ai servizi urbani; politiche per le abitazioni e le reti culturali
per i giovani agricoltori; per lo sviluppo di tecnologie, filiere produttive
appropriate e dei mercati locali.
3.
Il ritorno alla città
L’urbanizzazione
contemporanea nelle sue molteplici declinazioni di città diffusa, sprawl urbano,
ville éparpillee, ville éclatee, città infinita,
rururbanizzazione e cosi via, ha distrutto il valore antropologico riconosciuto
all’ars aedificandi dalla civilizzazione urbana
occidentale, dalla polis, al municipium, al libero comune, alla città
moderna. Questa dissoluzione del concetto di città, che ha il suo acme
nella megacity, interpretata in molti rapporti ufficiali come il futuro
innovativo per 7 miliardi di abitanti, rappresenta per noi al contrario una
tendenza catastrofica di mort de la ville, insieme all’erosione
progressiva dei suoli fertili. Rispetto a questa tendenza
proponiamo la ricerca di forme nuove, alternative di organizzazione del
territorio che restituiscano agli abitanti l’urbanità, lo spazio di
relazione, la qualità della vita urbana e ai milieu urbani la capacità di
innovazione. La ricostruzione di reti di città policentriche in cui
rinascano spazi e funzioni pubbliche, relazioni di
prossimità, qualità ambientale, relazione sinergiche con il
proprio territorio rurale, sulle ceneri delle sconfinate
conurbazioni periferiche.
4. La
crescita di sistemi socioeconomici locali
La
riflessione sulle prime tre declinazioni del ritorno al territorio richiede di
focalizzare la sfida su nuove forme di produzione della ricchezza,
che sappiano trarre dalla ricostruzione dei beni patrimoniali locali le basi
materiali della produzione di valore aggiunto territoriale.
Nuove forme di intrapresa economica, adatte a promuovere i sistemi locali
territoriali e forme di scambio solidali, a mettere in valore e a gestire beni
comuni territoriali, ambientali e paesaggistici, richiedono ruoli nuovi
del governo del territorio nella ricerca di diversi sistemi socioeconomici,
nella consapevolezza che investire in territorio, ambiente e paesaggio
può produrre nuova ricchezza durevole, ovvero nuove forme
di reddito, di attività produttive, di servizi ecosistemici e
sociali. Alla base di questi sistemi produttivi sta la sovranità
energetica: una nuova forma di produzione che deriva da peculiari
mix energetici locali fondati sulla valorizzazione integrata delle
risorse naturali e territoriali in coerenza con la valorizzazione ambientale e
del paesaggio. Non basta, per la conversione alla green economy, passare
dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili (che anzi determinano con i grandi
impianti nuovi degradi ambientali e paesaggistici): occorre che queste risorse
siano gestite in forme diffuse con la partecipazione consapevole delle
popolazioni e dei governi locali, e che tutto ciò contribuisca a costruire le condizioni
dell’autogoverno delle comunità territoriali.
Gennaio 2013
Per il
Comitato scientifico della Società dei Territorialisti
Alberto
Magnaghi (urbanista, Emerito, Università di Firenze)
Giacomo
Becattini (economista, Emerito, Università di
Firenze)
Piero
Bevilacqua (storico, ordinario Università La
Sapienza, Roma)
Stefano
Bocchi,
(agronomo, ordinario Università degli Studi di Milano)
Mariolina
Besio,
(urbanista, ordinario Università di Genova)
Luisa
Bonesio,
(filosofa del paesaggio, docente Università di Pavia).
Paola
Bonora,
(geografa, ordinario, Università di Bologna)
Lucia Carle (storica
e antropologa, Università di Firenze e EHESS, Parigi)
Pier Luigi
Cervellati
(architetto, già ordinario IUAV Venezia)
Mauro Chessa
(geologo, presidente della Fondazione dei Geologi della Toscana)
Sergio De La
Pierre,
(sociologo delle comunità territoriali.)
Giorgio
Ferraresi (urbanista, già ordinario,
Politecnico di Milano
Angelo
Marino
(geografo, pres . Società di Ecofilosofia, Treviso
Ottavio
Marzocca (filosofo, Associato Università di
Bari)
Luca
Mercalli
(climatologo, Presidente Società
Meteorologica Italiana)
Giorgio
Nebbia
(emerito,
Università di Bari)
Aimaro
Oreglia d’Isola
(architetto, Emerito del Politecnico di Torino)
Giancarlo
Paba
(urbanista,
Ordinario, Università di Firenze)
Rossano
Pazzagli (storico, Associato Università del
Molise)
Pier Paolo
Poggio, (direttore della Fondazione Luigi
Micheletti, Brescia)
Daniela Poli
(urbanista, associata Università di Firenze)
Massimo
Quaini (geografo, Ordinario Università di
Genova)
Saverio
Russo (direttore
del Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Foggia
Enzo
Scandurra (urbanista, Ordinario Università La
Sapienza, Roma)
Gianni Scudo
(tecnologo, Ordinario Politecnico di Milano)
Guliano
Volpe
(archeologo,
Rettore Università di Foggia)
Nessun commento:
Posta un commento