Ci piace
recuperare un pezzo del Manifesto del 29 dicembre 2012 uscito con in copertina una
splendida immagine di Marilyn Monroe,
del fotografo e amico George Barris (QUI alcune foto), e un articolo di Alessandro Portelli, Compagna Marilyn (pp. 1, 13) che riproduciamo.
Le foto appartengono ad un servizio fatto a Malibù nel 1962 dove Barris creò degli scatti di profonda e intensa bellezza. Nell’ultimo scatto Marilyn aveva un maglione pesante da pescatore, Barris la fece avvolgere in una coperta e lei gli mandò un bacio.
Le foto appartengono ad un servizio fatto a Malibù nel 1962 dove Barris creò degli scatti di profonda e intensa bellezza. Nell’ultimo scatto Marilyn aveva un maglione pesante da pescatore, Barris la fece avvolgere in una coperta e lei gli mandò un bacio.
Compagna Marilyn
Alessandro Portelli
Alessandro Portelli
C’è una
canzone di Dolly Parton, icona sexy della country music, che dice: «Just because I’m blonde don’t think I’m
dumb» – se sono
bionda non significa che sono scema. La bionda sexy Marilyn Monroe non solo si
era sposata un intellettuale di sinistra (cose praticamente sinonime per l’Fbi
anni ’50) di nome Arthur Miller, ma aveva frequentato gente sospetta durante un
viaggio in Messico. Tanto basta per metterla sotto sorveglianza, se non come
comunista ameno come fellow traveler – compagna di strada, o «utile
idiota» come si diceva in quei tempi. Per di più una telefonata anonima a un
giornale di destra ossessionato dal comunismo (il Daily News) testimonia
che le troupe dei suoi film sono piene di comunisti e che addirittura una parte
dei suoi guadagni finiscono nelle casse del Partito.
Che Marilyn avesse simpatie per il movimento per i diritti civili e non sopportasse Edgar J. Hoover risulta dai racconti di chi la frequentò, viaggio in Messico compreso. Che la sorveglianza totale dell’Fbi, del maccartismo e dei suoi strascichi vedesse una minaccia alla sicurezza nazionale in ogni persona sospetta di pensare con la propria testa, lo sapevamo. Che l’ossessione anticomunista sia capace di far sragionare lo vediamo, mezzo secolo dopo, anche da noi. Ma in questa storia c’è di più: quando si parla di Marilyn non si tratta solo di una persona, ma di una di quelle icone che danno il senso di un’epoca: avere paura di Marilyn significa avere paura di tutto quello che lei rappresenta, avere paura della bellezza, del gioco, della leggerezza, della seduzione – tutte cose che messe insieme all’intelligenza sua e del suo ambiente diventano davvero una miscela esplosiva.
Alla fine degli anni ’50, lo spettro politico era diviso fra una destra filoamericana e obbediente in politica e antiamericana in cultura, e una sinistra colta antimperialista e al tempo stesso innamorata sia dell’«altra» America militante e alternativa, sia della popular culture americana – dei movimenti contro la guerra, di Elvis e di Hollywood. Nel surreale istituto «Marilyn Monroe» dove insegna il professor Apicella in Bianca di Nanni Moretti, Marilyn è il sintomo del disorientamento di una generazione di intellettuali di sinistra alla ricerca di icone disimpegnate e un po’ frivole, dopo la rinuncia a visioni apparentemente più impegnative. Adesso gli archivi dell’Fbi si incaricano di suggerirci che forse era un’immagine un po’ meno frivola di quanto apparisse. Sembrava assurdo scegliersi come icone sia Malcolm X, sia Marilyn Monroe. Ma il potere in America aveva paura di entrambi: comunista o no, anche Marylin è una nostra compagna appartiene a noi.
Che Marilyn avesse simpatie per il movimento per i diritti civili e non sopportasse Edgar J. Hoover risulta dai racconti di chi la frequentò, viaggio in Messico compreso. Che la sorveglianza totale dell’Fbi, del maccartismo e dei suoi strascichi vedesse una minaccia alla sicurezza nazionale in ogni persona sospetta di pensare con la propria testa, lo sapevamo. Che l’ossessione anticomunista sia capace di far sragionare lo vediamo, mezzo secolo dopo, anche da noi. Ma in questa storia c’è di più: quando si parla di Marilyn non si tratta solo di una persona, ma di una di quelle icone che danno il senso di un’epoca: avere paura di Marilyn significa avere paura di tutto quello che lei rappresenta, avere paura della bellezza, del gioco, della leggerezza, della seduzione – tutte cose che messe insieme all’intelligenza sua e del suo ambiente diventano davvero una miscela esplosiva.
Alla fine degli anni ’50, lo spettro politico era diviso fra una destra filoamericana e obbediente in politica e antiamericana in cultura, e una sinistra colta antimperialista e al tempo stesso innamorata sia dell’«altra» America militante e alternativa, sia della popular culture americana – dei movimenti contro la guerra, di Elvis e di Hollywood. Nel surreale istituto «Marilyn Monroe» dove insegna il professor Apicella in Bianca di Nanni Moretti, Marilyn è il sintomo del disorientamento di una generazione di intellettuali di sinistra alla ricerca di icone disimpegnate e un po’ frivole, dopo la rinuncia a visioni apparentemente più impegnative. Adesso gli archivi dell’Fbi si incaricano di suggerirci che forse era un’immagine un po’ meno frivola di quanto apparisse. Sembrava assurdo scegliersi come icone sia Malcolm X, sia Marilyn Monroe. Ma il potere in America aveva paura di entrambi: comunista o no, anche Marylin è una nostra compagna appartiene a noi.
P.S. Mi pare opportuno ricordare un pezzo che abbiamo pubblicato su questo stesso blog qualche mese fa:
http://cesim-marineo.blogspot.it/2012/02/la-bellezza-inerme-di-fronte-alla.html
INDIMENTICABILE IL RITRATTO DI MARYLIN LASCIATOCI DA PIER PAOLO PASOLINI
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