10 gennaio 2013

PERCHE' CI ILLUDIAMO DI NON CAMBIARE MAI...





Una ricerca pubblicata su “Science” dimostra che a ogni età della vita siamo convinti, sbagliando, di restare sempre gli stessi per gusti e abitudini. Il giornale La Repubblica oggi riprende l’articolo che riproponiamo di seguito:

John Tierney - Anime immobili.Giovani o vecchi, perché ci illudiamo di non cambiare mai

Quando rievochiamo com’eravamo un tempo ci sembra di essere parecchio diversi. Siamo consapevoli di quanto siano cambiati negli anni la nostra personalità e i nostri gusti, ma quando guardiamo avanti, non si sa perché, ci aspettiamo di rimanere come siamo oggi. Lo dice un gruppo di ricercatori in psicologia, che ha presentato uno studio sulla percezione di sé che hanno le persone.
Il team di psicologi ha definito questo fenomeno «illusione da fine della storia», con le persone che hanno la tendenza a «sottovalutare quanto cambieranno in futuro». Secondo la loro ricerca, che ha coinvolto più di 19.000 persone fra i 18 e i 68 anni, questa illusione è un tratto persistente, dall’adolescenza fino all’età della pensione.
«Le persone di mezza età come me», dice uno degli autori, lo psicologo di Harvard Daniel Gilbert, «spesso guardano agli anni della propria adolescenza con un misto di divertimento e imbarazzo. Apparentemente non ci rendiamo mai conto che il nostro io futuro, guardando indietro, penserà le stesse cose rispetto a quello che siamo ora. A ogni età pensiamo di aver capito tutto, e a ogni età ci sbagliamo».
La ricerca, pubblicata sulla rivista Science, ha suscitato l’interesse di altri psicologi, che sono rimasti colpiti dalla mole di dati che gli autori hanno portato a supporto della loro tesi. I partecipanti hanno risposto a domande sui loro tratti caratteriali e sulle loro preferenze – in tema di cibo, vacanze, hobby e gruppi musicali – negli anni passati e oggi, poi è stato chiesto loro di fare previsioni per il futuro. Come immaginabile, i più giovani hanno descritto cambiamenti più significativi, nei dieci anni precedenti, rispetto ai partecipanti di età più avanzata. Ma quando si è trattato di fare previsioni su quanto cambieranno la loro personalità e i loro gusti fra dieci anni, tutti, indipendentemente dall’età, hanno detto di non aspettarsi grandi cambiamenti.
Le previsioni della ventenne media per i dieci anni successivi della sua vita sono molto meno radicali delle considerazioni della trentenne media sui cambiamenti intervenuti nei dieci anni precedenti. Questo genere di discrepanza si ripete costante fra i partecipanti di tutte le età, fino oltre i sessanta.
E la discrepanza non sembra ascrivibile all’inaffidabilità dei ricordi, perché i cambiamenti della personalità rievocati dalle persone concordano piuttosto bene con altre ricerche sulle modifiche dei tratti caratteriali che avvengono con l’avanzamento dell’età. Le persone sembrano essere molto più in grado di rievocare com’erano in passato che di immaginare quanto cambieranno in futuro.
Perché? Il dottor Gilbert e i suoi collaboratori, Jordi Quoidbach di Harvard e Timothy Wilson dell’Università della Virginia, hanno qualche ipotesi al riguardo, basata sulla documentata tendenza degli individui a sopravvalutare la propria eccellenza.
«Pensare di avere raggiunto l’apice della nostra evoluzione personale ci fa sentire bene», dice Quoidbach. «L’esperienza del “Se avessi saputo allora quello che so adesso” ci dà un senso di soddisfazione e di significato, mentre renderci conto della transitorietà delle nostre preferenze e dei nostri valori può spingerci a dubitare di ogni decisione e generare angoscia».
O forse la spiegazione ha più a che fare con le energie mentali: prevedere il futuro comporta più fatica che limitarsi a rievocare il passato. «La gente può confondere la difficoltà di immaginare cambiamenti personali con l’inverosimiglianza dei cambiamenti stessi», scrivono gli autori su Science.
Il fenomeno ha i suoi inconvenienti, dicono gli autori. Per esempio le persone da giovani prendono decisioni – farsi un tatuaggio o scegliere un coniuge – che a volte si trovano a rimpiangere.
E questa illusione di stabilità può portare ad aspettative finanziarie incerte, come hanno dimostrato i ricercatori in un esperimento in cui chiedevano alle persone quanto pagherebbero per vedere la loro band preferita.
Alla domanda su quanto fossero disposti a sborsare per vedere oggi un concerto del loro gruppo preferito di dieci anni prima, la risposta media è stata: 80 dollari. Ma alla domanda su quanto fossero risposti a spendere per un concerto del loro gruppo preferito di adesso fra dieci anni, la cifra è salita a 129 dollari. Anche se erano consapevoli che i loro gruppi preferiti di 10 anni prima, come i Creed o le Dixie Chicks, avevano perso un po’ di smalto, sembravano convinti che i Coldplay o Rihanna non li avrebbero mai delusi.
«L’effetto “fine della storia” può rappresentare un limite di immaginazione personale», dice Dan McAdams, uno psicologo della Northwestern University che ha condotto ricerche distinte sulle storie che la gente costruisce riguardo alla propria vita passata e futura. Ha sentito spesso raccontare dalle persone storie complesse e dinamiche sul passato, e poi da quelle stesse persone proiezioni vaghe e prosaiche di un futuro in cui le cose rimangono più o meno identiche.
Al dottor McAdams torna in mente una conversazione con la figlia durante la mania delle Tartarughe Ninja, negli anni Ottanta. Quando le disse che forse un giorno non sarebbero più state la sua cosa preferita, la bambina, che all’epoca aveva 4 anni, rifiutò di
prendere in considerazione quella possibilità. Ma parecchio tempo dopo, a vent’anni, gli confessò che in una parte della sua mente di bambina aveva capito che forse papà aveva ragione.
«Quando per la prima volta si confrontò con l’idea di un cambiamento, a 4 anni, la respinse perché non riusciva a immaginare che cosa avrebbe mai potuto sostituire le Tartarughe Ninja», dice McAdams. «Aveva un vago sospetto che sarebbe cambiata, ma non riusciva a immaginare come e perciò affermò con decisione la continuità. Forse la stessa cosa succede più o meno a tutti noi».
(Traduzione di Fabio Galimberti) © 2013 The New York Times

Repubblica 10.1.13
La profezia di Musil l’uomo senza qualità aveva già raccontato “l’auto-inganno” di Paolo Legrenzi


Ulrich, l’uomo senza qualità del romanzo-saggio di Robert Musil si accorge che le persone, giunte a una certa età, credono di non cambiare più. Avevano molte possibilità, da giovani, ma poi si «trovano davanti qualcosa che pretende d’essere ormai la loro vita». A quel punto gli adulti, riflette Ulrich, «adottano la persona che è venuta loro», e giudicano le sue vicende come il risultato delle proprie qualità personali. Essi hanno in realtà influito pochissimo sugli avvenimenti. E tuttavia preferiscono credere d’aver scelto un destino che corrisponde alla loro personalità permanente e alle loro scelte di vita. Ulrich si accorge di questa illusione, e non chiede di meglio che essere un uomo senza qualità.
La ricerca di Jordi Quoidbach, e dei suoi collaboratori, mostra che la nascosta illusione di non cambiare è così potente che la sua esistenza, intuita dal genio di Musil, è stata scoperta solo ora dalla psicologia scientifica con metodi rigorosi. La sua forza si traduce in una sorta di auto-inganno molto vantaggioso. Grazie ad esso possiamo affrontare la vita con sicurezza e soddisfazione di noi stessi, stabili e affermati. Purtroppo l’illusione, soprattutto in un mondo continuamente mutevole qual è quello odierno, sui tempi lunghi può avere effetti collaterali negativi e destabilizzanti. Se facciamo scelte che hanno conseguenze durevoli, finiamo per trovarcele davanti dopo che siamo inaspettatamente cambiati. A quel punto, rimpiangiamo d’aver agito così. Troppo tardi, se il passato ha una sua inevitabile inerzia. Per esempio, pensavamo una persona come partner della nostra intera vita, e invece, dieci anni dopo, cambiamo, e la preferiamo come partner di quel pezzo di vita, di quell’io/tu rivelatosi transitorio. Jordi, il primo autore dell’articolo di Science, non conosceva l’anticipazione di Robert Musil e l’ha trovata interessante. Forse anche l’uomosenza qualità è stato transitorio, vittima dell’illusione che l’ha confinato nella sua Cacania.

Nessun commento:

Posta un commento