Quando gli inglesi spacciavano in Cina
Carlo Maria Cipolla
La storia ha radici
lunghe. Nel 1492 Cristoforo Colombo scopriva l'America. Nel 1840 navi
inglesi bombardavano postazioni militari in Cina dando inizio alla
breve ma infame guerra dell'oppio. Ad onta di ogni apparenza in
contrario, tra i due eventi esiste un collegamento diretto. Vediamo
come.
Dopo il primo entusiasmo
della scoperta, gli spagnoli attraversarono un periodo di delusione.
Le terre scoperte da Colombo non erano le Indie Orientali con le
quali la Spagna cercava una via marittima di comunicazione diretta.
Di più. Le terre nuovamente scoperte non parevano offrire risorse
particolarmente attraenti. C'erano quindi ragioni sufficienti per
riflessioni scettiche e amare. Con la metà del Cinquecento, però,
le cose cambiarono drasticamente. Prima in Messico nella regione di
Zacatecas poi in Perù nella località di Potosì gli spagnoli
scoprivano ricchissimi giacimenti argentiferi, tra il 1550 ed il 1630
favolosi convogli di galeoni spagnoli trasportarono in Europa
qualcosa come sedicimila tonnellate di argento.
L'argento che affluì in
Spagna vi pervenne per circa un ottanta per cento in cambio di beni
che intraprendenti mercanti vendevano nelle colonie alle ricche
famiglie dei conquistadores. Per il rimanente venti per cento circa
l'argento arrivava in Spagna in pagamento delle regalie pretese dalla
Corona spagnola per le concessioni di estrazione del minerale
argentifero. Nell'un caso come nell'altro l'argento veniva speso: dai
mercanti per l'acquisto dei beni destinati alle Americhe, dal sovrano
per finanziare le continue guerre in cui la Spagna si trovò
coinvolta nel corso del secolo Sedicesimo.
La Spagna però non
possedeva né riuscì a sviluppare un apparato manifatturiero tale da
soddisfare l'imponente domanda di beni rappresentata dalla spesa
della massa di argento americano. Per cui ricorse all'importazione
massiccia di prodotti dalle Fiandre, dall'Olanda, dalla Francia,
dalla Germania, dall'Italia e dall'Inghilterra. Di conseguenza
l'argento originariamente importato in Spagna dalle Americhe si
sparse un po' per tutta l'Europa.
A seguito del viaggio di
circumnavigazione del mondo da parte di Vasco da Gama (1498), i
portoghesi prima, gli inglesi e gli olandesi poi stabilirono diretti
rapporti commerciali via mare con la Cina.
Agli inizi i mercanti
portoghesi, inglesi e olandesi si interessarono soprattutto
all'importazione in Europa dei prodotti che da secoli l'Europa
importava dalla Cina tramite l'intermediazione di mercanti arabi e
indiani. Tali prodotti erano essenzialmente la seta e certe spezie.
Ma stabilito il contatto diretto e approfondita la conoscenza del
mercato cinese, soprattutto gli inglesi e gli olandesi si resero
conto che potevano acquistare in Cina altri prodotti che trovavano
facile esito sul mercato europeo e che dati i prezzi, potevano
assicurare grossi profitti. Questi prodotti erano soprattutto le
porcellane cinesi e il tè.
Il tè fu introdotto in
Europa nel 1664 quando i direttori della Compagnia delle Indie ne
fecero dono a re Carlo II di un pacchetto da circa un chilo. Si
riteneva allora che il tè avesse miracolose virtù medicinali e,
comunque sia, l'erba aromatica ebbe specialmente sul mercato inglese
un successo straordinario. Dall'anno 1720 il tè soppiantò
decisamente la seta come principale merce di importazione dalla Cina.
In effetti le importazioni di tè da Canton da parte della Compagnia
delle Indie passarono da circa 1200 tonnellate, per un valore di 831
mila lire sterline nel 1761, a circa 105 mila tonnellate per un
valore di 3 milioni e 665 mila lire sterline nel 1800.
C'è un guaio però.
Mentre le importazioni in Europa di prodotti cinesi continuavano a
crescere, non c'era prodotto europeo che riuscisse a interessare il
consumatore cinese. Letteralmente disperati, i direttori della East
India Company inglese e della V.O.C, olandese fecero mille e uno
tentativi di penetrare il mercato cinese con prodotti europei.
Tentarono persino con stampe e dipinti di natura pornografica. Ma
sempre invano. L'unico bene di cui gli europei disponessero che
interessava i cinesi e che questi ultimi erano disposti ad accettare
in cambio delle loro merci era l'argento americano.
Così le navi della East
India Company inglese e della V.O.C, olandese partivano dall'Europa
cariche quasi esclusivamente di reales de a odio (monete
d'argento spagnuole), rixdaalders olandesi, corone d'argento
francesi, talleri d'argento tedeschi, ducatoni e piastre d'argento
italiani. La bilancia commerciale dell'Europa con la Cina si dimostrò
inesorabilmente e incurabilmente sbilanciata e il grande commercio
internazionale si andò configurando nella forma di due flussi in
direzioni opposte: argento che dalle Americhe affluiva in Europa e di
qui proseguiva per la Cina e in direzione opposta prodotti cinesi che
affluivano in Europa e prodotti europei che affluivano alle Americhe.
Il persistente sbilancio
commerciale europeo con la Cina rappresentava un continuo rompicapo
per i direttori della East India Company e della V.O.C. i quali erano
frequentemente accusati dai politici e dall'opinione pubblica dei
rispettivi Paesi di impoverire la nazione (non si dimentichi che il
credo mercantilista imperante per buona parte del periodo considerato
identificava l'abbondanza di moneta metallica pregiata con la
ricchezza del Paese).
Fu in questo clima di
paradossi che nella direzione della East India Company venne
formulato e messo in atto un piano diabolico.
L'oppio era stato
introdotto in Cina da turchi e da arabi nel corso del Settimo secolo
dopo Cristo. Per lungo tempo vi venne usato a scopo puramente
terapeutico nella cura di diverse malattie. Agli inizi del secolo
diciassettesimo, però, a Formosa, nel Fukien e nel Kwantung si
cominciò a far uso di oppio come stupefacente fumandolo misto a
tabacco. Le autorità cinesi non mancarono di notare presto gli
effetti deleteri della droga sulle condizioni fisiche e psicologiche
dei fumatori.
Nel 1729 un editto
imperiale proibiva la vendita e il consumo di oppio. Nel 1796
l'imperatore Chiech'ing ribadiva in termini particolarmente severi la
proibizione dell'importazione e del consumo della droga. Da quella
data tutto l'oppio importato in Cina vi entrò per via di
contrabbando.
Con gli inizi dell'anno
1760 la East India Company elaborò e mise in atto il disegno
diabolico cui si è accennato prima. Diede inizio alla coltivazione
di oppio in India e introdusse l'oppio indiano sul mercato cinese
proponendo l'oppio invece dell'argento come mezzo di pagamento per
l'acquisto dei prodotti cinesi. L'esperimento ebbe subito un notevole
successo. A seguito del bando imperiale del 1796 la Compagnia inglese
si ritrasse dal commercio dell'oppio in prima persona ma continuò a
praticarlo tramite mercanti privati che erano costretti ad acquistare
l'oppio soltanto ed esclusivamente dalla Compagnia. I profitti della
East India Company nella produzione e vendita dell'oppio indiano
passarono da 2,4 milioni di rupie nel 1800 a circa 10 milioni di
rupie nel 1832 e a circa 15 milioni di rupie nel 1837.
Contemporaneamente le importazioni di oppio indiano in Cina passarono
da circa 63 tonnellate nel 1767 a una media di circa 315 tonnellate
all'anno nel decennio 1821-1830.
Dopo il 1830
l'importazione di oppio in Cina crebbe ancor più rapidamente.
L'impiego di clippers più capaci e più veloci contribuì
all'aumento del volume del commercio. Inoltre si aggiunsero gli
Americani, che dalla fine dell'anno 1820 cominciarono a importare in
Cina oppio turco.
A questo punto l'oppio
veniva a causare alla Cina un triplice danno. Anzitutto il grave
danno fisico e psicologico ai sempre più numerosi fumatori che, una
volta trascinati nel gorgo della droga, non potevano più uscirne.
Secondariamente, dati i grossi interessi economici in gioco, il
contrabbando dell'oppio divenne una potente e diffusa fonte di
corruzione nella burocrazia cinese sollecitata dai mercanti
occidentali con laute tangenti a chiudere un occhio o anche due sulle
importazioni illegali della droga. S'aggiunga che verso il 1840 circa
il 20 per cento dei funzionari dell'amministrazione centrale cinese e
il 50-60 per cento dei funzionari dell'amministrazione periferica
fumavano oppio. Infine le imponenti importazioni di oppio in Cina
finirono col ribaltare la bilancia commerciale tradizionalmente
attiva dell'Impero Celeste. A partire dal 1820 la bilancia
commerciale cinese si fece passiva e l'argento cominciò a fuoruscire
dall'Impero. Tra il 1828 ed il 1836 i soli mercanti inglesi
esportarono dalla Cina argento per oltre 38 milioni di dollari. Il
diabolico piano elaborato dalla East India Company nella seconda metà
del Settecento era riuscito in pieno superando ogni aspettativa.
Di fronte a tale
disastrosa situazione si delinearono in Cina due tendenze. Una
minoranza guidata da due influenti funzionari, Chu Tsun e Hsu Chiù,
avanzò la proposta di legalizzare il commercio della droga: secondo
i sostenitori di questa tesi, la legalizzazione del commercio
dell'oppio avrebbe fatto diminuire il prezzo della droga e quindi
eliminato i grossi profitti dei trafficanti; inoltre avrebbe tolto la
causa della dilagante corruzione nella burocrazia. Un altro gruppo
guidato da Huang Chuh-Tzu, direttore della Corte del Cerimoniale, e
da Lin Tse-Hsù si poneva in posizione opposta e invocava
inasprimenti severi delle pene.
L'imperatore ed i suoi
consiglieri furono per la maniera forte. Il 30 ottobre 1839
l'imperatore dava ordine a Lin Tse-Hsù di recarsi a Canton ed
estirpare il traffico dell'oppio. Se si doveva scegliere la maniera
forte, quella di Lin Tse-Hsù era la scelta adatta. Lin era uomo
deciso, incorruttibile, con un alto senso del dovere e per di più
era un organizzatore di prima forza. Lin partì da Pechino con le
patenti di Commissario imperiale l’8 gennaio 1839 e arrivò a
Canton il 10 marzo. Tra il 10 marzo e il 15 maggio successivo furono
arrestate 1600 persone che avevano violato i bandi concernenti il
consumo ed il traffico dell’oppio; inoltre furono confiscati 28
mila catties di oppio e 42.741 pipe di fumatori. Intanto il 15 giugno
1839 l'imperatore promulgava a Pechino un drammatico statuto composto
di 39 articoli in base al quale chiunque fosse trovato a commerciare
in oppio doveva essere condannato a morte per decapitazione e
chiunque fosse trovato a gestire case da oppio doveva essere
condannato a morte per strangolamento.
Nel luglio del 1838 erano
arrivate a Tong Koo Bay le navi da guerra inglesi Wellesley e
Algerine. Si astennero da azioni ostili ma il significato della loro
presenza era quanto mai chiaro. I Cinesi però, come si è visto, non
si lasciarono intimorire e Lin Tse-Hsù si mosse in maniera sempre
più decisa. Arrivò a mettere agli arresti domiciliari la colonia di
mercanti stranieri e tra l'aprile e il maggio 1839 riuscì ad imporre
la consegna di circa 20 mila bauli di oppio oltre a circa 1.170
tonnellate di droga che fu distrutta: il tutto per un valore di oltre
20 milioni di dollari del tempo.
Il colpo era troppo torte
per i trafficanti anglo-americani. D'altra parte Palmerston, sotto la
pressione di interessi costituiti, s'era già deciso per un'azione di
forza. Nel giugno del 1840 arrivò a fronte della baia di Canton la
nave da guerra inglese Alligator. Seguirono la Wellesley, la Conovay
e la Rattlesnake. La baia di Canton venne bloccata. Il 5 luglio
truppe inglesi sbarcarono a Chusan e dopo poche cannonate occuparono
la città di Tinghai. Il “Times” di Londra scriveva esultante:
«La bandiera britannica sventola per la prima volta su una porzione
dell'Impero cinese». Senza possibilità di efficace difesa i cinesi
batterono in ritirata. Per salvare la faccia l'imperatore gettò
tutta la colpa e la responsabilità dell'accaduto su Lin Tse-Hsii che
venne esiliato in una provincia periferica. E l'infame commercio
dell'oppio riprese.
Oggi l'Occidente si
scandalizza di fronte allo spettacolo di paesi dell’America latina
che riforniscono di droga il mercato nordamericano con la complice
inazione dei loro governi e dei loro diplomatici. Si dimentica
facilmente che poco più di un secolo fa l’Occidente praticò lo
stesso infame gioco ai danni della Cina.
Corriere della
Sera, 30 gennaio 1989
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