Norberto
Bobbio e Aldo Capitini sono stati molto vicini a Danilo Dolci soprattutto negli
anni cinquanta del secolo scorso. In questo articolo si parla della
corrispondenza tra i due grandi uomini di pensiero resa pubblica qualche anno
fa.
Il carteggio Bobbio-Capitini
Giuliano Pontara
Aldo Capitini e Norberto Bobbio
furono legati da una lunga, salda amicizia i cui semi furono gettati in quello
che probabilmente fu il loro primo incontro, avvenuto a Perugia nel 1936 (o
forse all'inizio del 1937). Di questa amicizia è un interessante documento la
corrispondenza tra i due amici, ora raccolta nel volume Aldo Capitini e
Norberto Bobbio, Lettere 1937-1968, scrupolosamente curato da Pietro Polito
(Carocci, Roma 2012).
Entrambi furono intellettuali
militanti, uomini della ricerca spassionata e del dialogo. Ma le loro strade di
ricerca furono molto divergenti e tutti e due le percorsero strenuamente fino
in fondo: Capitini la strada della libera ricerca religiosa orientata alla
prassi, Bobbio quella del razionalismo critico con una buona dose di empirismo.
Capitini è aperto al dubbio: “Tutti quelli che mettono in azione un dubbio
metodico compiono un atto legittimo in quanto scartano le opinioni
cristallizzate del bene, e risvegliano l'anima alla ricerca, all'ansia del
meglio” (Scritti filosofici e religiosi, Protagon, 1994). Ma per il
religioso Capitini non si può rimanere costantemente nel dubbio; infatti, nella
sua ricerca giunge abbastanza presto ad alcune “persuasioni” che poi non
abbandonerà più. Per il filosofo Bobbio, invece, il dubbio è sempre presente, e
lui stesso è seminatore di dubbi: “Il filosofo è aperto al dubbio, è sempre in
cammino; il porto in cui arriva è soltanto una tappa del viaggio senza fine, e
occorre sempre essere pronti a salpare di nuovo” (Elogio della mitezza e
altri scritti morali, Pratiche, 1998).
Già in una delle prime lettere,
datata 23 novembre 1946, Bobbio scrive all'amico: “Io mi muovo su di una linea
diversa, tanto per intenderci razionalista e critica. Ma capisco - e ne ho
avuto sempre gran beneficio - la tua posizione religiosa-umanistica”. Cinque
anni dopo, in una lettera del 14 agosto 1951, Bobbio ribadisce: “Vedo che le
nostre strade sono divergenti: tu sempre più verso l'ideale del
filosofo-profeta, io sempre più verso l'ideale del filosofo positivo. Non
credere però che abbia rinunciato a comprendere, cioè a gettare qualche ponte
per attaccarmi ogni tanto anche all'altra strada. Non credere che non ami più
stare a colloquio... coi profeti. Ma preferisco normalmente cose più terra
terra, più solide, più ‘pronte a friggere', come direbbe il Cattaneo. Chi sa
che un giorno mi convinca che questa mia strada non ha via d'uscita (ne ho
sempre un persistente ma vago presentimento). Ma sono impegnato a percorrerla
sino in fondo”.
Capitini seguiva con molta
attenzione gli scritti che Bobbio andava via via pubblicando, specialmente a
partire da quelli stesi nella prima metà degli anni cinquanta e raccolti nel
1955 nel volume Politica e cultura. Ma nel carteggio i temi salienti sui
quali il dialogo tra i due amici verte sono quelli, strettamente interrelati,
della riflessione che Capitini va mano a mano svolgendo nei suoi scritti: la
religiosità aperta alla “compresenza di tutti”, la nonviolenza positiva, la
democrazia diretta (cui Capitini preferiva riferirsi con il termine “omnicrazia”).
È in relazione a questi temi che Capitini elabora sempre più le sue
“persuasioni” e che Bobbio interroga criticamente l'amico, sollevando problemi
che lo “turbano” - il rapporto tra la concezione capitiniana della “produzione
corale dei valori” e lo storicismo, il problema del male, la praticabilità
della democrazia diretta - e rispetto ai quali, come scrive in una delle sue
ultime lettere, rimane alla fin fine “perplesso”. Dopo la morte prematura di
Capitini nel 1968, Bobbio ritornerà in modo sistematico sul pensiero
religioso-etico-politico dell'amico in due impegnati e impegnativi scritti: La
filosofia di Aldo Capitini e Religione e politica in Aldo Capitini,
inseriti nel libro Maestri e compagni del 1984, e recentemente riediti
in un volumetto nelle vivaci e benemerite Edizioni dell'Asino: Il pensiero
di Aldo Capitini. Filosofia, religione, politica, 2011).
Nel pensiero di Capitini la
concezione della “compresenza di tutti” è fondamentale, ma è problematica. E si
presta a varie interpretazioni. L'interpretazione più comprensibile, ma pur
sempre irta di problemi, è quella di un'“apertura nonviolenta a tutti gli
esseri”: un'etica che allarga il campo della nostra responsabilità morale verso
tutto ciò che vive, onde “ogni creatura senziente è degna di essere felice” e
ogni essere non senziente, ma vivente, è degno di vivere e di perseguire il
proprio sviluppo, il proprio telos. Per Capitini, la religiosità è senso
morale, un senso di “legame” con e “riverenza” per ogni essere
vivente, secondo quelli che egli indicava come “i due significati di religione:
legare, riverire”. Una religiosità etica che si acquisisce attraverso un
processo interiore di “tramutazione”: un concetto tipicamente capitiniano sul
quale Bobbio, nel '75, svolse una densa relazione in un convegno molto vivace
su nonviolenza e marxismo (il testo della relazione è stato ripubblicato in
“Nuova Antologia”, 2012, aprile-giugno). Qui siamo alla radice della concezione
capitiniana della nonviolenza come insieme inscindibile di pensiero e azione.
La fonte alla quale Capitini attinge sempre più e più ampiamente
nell'elaborazione di questa sua concezione è Gandhi, che fin dal 1931 considerò
“punto di riferimento e di costruzione etico-religiosa”. Si capisce così perché
a Capitini premesse tanto far conoscere direttamente Gandhi in Italia
attraverso gli scritti. Ed è proprio a Norberto che Aldo più volte nel
carteggio si rivolge insistentemente affinché l'amico si dia da fare presso
Einaudi per la pubblicazioni di scritti del Mahatma. “Ti raccomando di seguire
se Einaudi stampa qualche cosa di Gandhi. Il mercato è vuoto” gli scrive già in
una lettera datata 14 ottobre 1957. Capitini non fece in tempo a vedere la
pubblicazione di Gandhi alla quale tanto teneva, che uscì nel 1973 con il
titolo Teoria e pratica della non-violenza.
Bobbio prese seriamente la
nonviolenza, perché prendeva sempre sul serio le cose che riteneva serie. È in
Bobbio, infatti, che Capitini trova fra gli intellettuali italiani uno dei più
interessati e attenti interlocutori critici sulla nonviolenza. Entrambi gli
amici scrissero pagine di grande interesse e attualità sul problema della
guerra e delle vie alla pace. Capitini privilegiò, spendendosi per tutta la
vita in impegni pratici, la via della nonviolenza positiva: “Una persuasione
che pervade mente, cuore e azione”, “scelta severa e tremenda” che “anticipa di
colpo il fine nel mezzo”. Bobbio riteneva più percorribile, ma senza farsi
troppe illusioni, la via giuridico-istituzionale che mira alla creazione di un
governo mondiale democratico detentore del monopolio della “forza”. Le due vie
non si escludono a vicenda e sono ambedue difficili. Ma esistono forse vie
facili?
L'Indice, febbraio 2013
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