22 marzo 2019

IL CARTEGGIO BOBBIO-CAPITINI




Norberto Bobbio e Aldo Capitini sono stati molto vicini a Danilo Dolci soprattutto negli anni cinquanta del secolo scorso. In questo articolo si parla della corrispondenza tra i due grandi uomini di pensiero resa pubblica qualche anno fa.
Il carteggio Bobbio-Capitini
Giuliano Pontara

Aldo Capitini e Norberto Bobbio furono legati da una lunga, salda amicizia i cui semi furono gettati in quello che probabilmente fu il loro primo incontro, avvenuto a Perugia nel 1936 (o forse all'inizio del 1937). Di questa amicizia è un interessante documento la corrispondenza tra i due amici, ora raccolta nel volume Aldo Capitini e Norberto Bobbio, Lettere 1937-1968, scrupolosamente curato da Pietro Polito (Carocci, Roma 2012).
Entrambi furono intellettuali militanti, uomini della ricerca spassionata e del dialogo. Ma le loro strade di ricerca furono molto divergenti e tutti e due le percorsero strenuamente fino in fondo: Capitini la strada della libera ricerca religiosa orientata alla prassi, Bobbio quella del razionalismo critico con una buona dose di empirismo. Capitini è aperto al dubbio: “Tutti quelli che mettono in azione un dubbio metodico compiono un atto legittimo in quanto scartano le opinioni cristallizzate del bene, e risvegliano l'anima alla ricerca, all'ansia del meglio” (Scritti filosofici e religiosi, Protagon, 1994). Ma per il religioso Capitini non si può rimanere costantemente nel dubbio; infatti, nella sua ricerca giunge abbastanza presto ad alcune “persuasioni” che poi non abbandonerà più. Per il filosofo Bobbio, invece, il dubbio è sempre presente, e lui stesso è seminatore di dubbi: “Il filosofo è aperto al dubbio, è sempre in cammino; il porto in cui arriva è soltanto una tappa del viaggio senza fine, e occorre sempre essere pronti a salpare di nuovo” (Elogio della mitezza e altri scritti morali, Pratiche, 1998).
Già in una delle prime lettere, datata 23 novembre 1946, Bobbio scrive all'amico: “Io mi muovo su di una linea diversa, tanto per intenderci razionalista e critica. Ma capisco - e ne ho avuto sempre gran beneficio - la tua posizione religiosa-umanistica”. Cinque anni dopo, in una lettera del 14 agosto 1951, Bobbio ribadisce: “Vedo che le nostre strade sono divergenti: tu sempre più verso l'ideale del filosofo-profeta, io sempre più verso l'ideale del filosofo positivo. Non credere però che abbia rinunciato a comprendere, cioè a gettare qualche ponte per attaccarmi ogni tanto anche all'altra strada. Non credere che non ami più stare a colloquio... coi profeti. Ma preferisco normalmente cose più terra terra, più solide, più ‘pronte a friggere', come direbbe il Cattaneo. Chi sa che un giorno mi convinca che questa mia strada non ha via d'uscita (ne ho sempre un persistente ma vago presentimento). Ma sono impegnato a percorrerla sino in fondo”.
Capitini seguiva con molta attenzione gli scritti che Bobbio andava via via pubblicando, specialmente a partire da quelli stesi nella prima metà degli anni cinquanta e raccolti nel 1955 nel volume Politica e cultura. Ma nel carteggio i temi salienti sui quali il dialogo tra i due amici verte sono quelli, strettamente interrelati, della riflessione che Capitini va mano a mano svolgendo nei suoi scritti: la religiosità aperta alla “compresenza di tutti”, la nonviolenza positiva, la democrazia diretta (cui Capitini preferiva riferirsi con il termine “omnicrazia”). È in relazione a questi temi che Capitini elabora sempre più le sue “persuasioni” e che Bobbio interroga criticamente l'amico, sollevando problemi che lo “turbano” - il rapporto tra la concezione capitiniana della “produzione corale dei valori” e lo storicismo, il problema del male, la praticabilità della democrazia diretta - e rispetto ai quali, come scrive in una delle sue ultime lettere, rimane alla fin fine “perplesso”. Dopo la morte prematura di Capitini nel 1968, Bobbio ritornerà in modo sistematico sul pensiero religioso-etico-politico dell'amico in due impegnati e impegnativi scritti: La filosofia di Aldo Capitini e Religione e politica in Aldo Capitini, inseriti nel libro Maestri e compagni del 1984, e recentemente riediti in un volumetto nelle vivaci e benemerite Edizioni dell'Asino: Il pensiero di Aldo Capitini. Filosofia, religione, politica, 2011).
Nel pensiero di Capitini la concezione della “compresenza di tutti” è fondamentale, ma è problematica. E si presta a varie interpretazioni. L'interpretazione più comprensibile, ma pur sempre irta di problemi, è quella di un'“apertura nonviolenta a tutti gli esseri”: un'etica che allarga il campo della nostra responsabilità morale verso tutto ciò che vive, onde “ogni creatura senziente è degna di essere felice” e ogni essere non senziente, ma vivente, è degno di vivere e di perseguire il proprio sviluppo, il proprio telos. Per Capitini, la religiosità è senso morale, un senso di “legame” con e “riverenza” per ogni essere vivente, secondo quelli che egli indicava come “i due significati di religione: legare, riverire”. Una religiosità etica che si acquisisce attraverso un processo interiore di “tramutazione”: un concetto tipicamente capitiniano sul quale Bobbio, nel '75, svolse una densa relazione in un convegno molto vivace su nonviolenza e marxismo (il testo della relazione è stato ripubblicato in “Nuova Antologia”, 2012, aprile-giugno). Qui siamo alla radice della concezione capitiniana della nonviolenza come insieme inscindibile di pensiero e azione. La fonte alla quale Capitini attinge sempre più e più ampiamente nell'elaborazione di questa sua concezione è Gandhi, che fin dal 1931 considerò “punto di riferimento e di costruzione etico-religiosa”. Si capisce così perché a Capitini premesse tanto far conoscere direttamente Gandhi in Italia attraverso gli scritti. Ed è proprio a Norberto che Aldo più volte nel carteggio si rivolge insistentemente affinché l'amico si dia da fare presso Einaudi per la pubblicazioni di scritti del Mahatma. “Ti raccomando di seguire se Einaudi stampa qualche cosa di Gandhi. Il mercato è vuoto” gli scrive già in una lettera datata 14 ottobre 1957. Capitini non fece in tempo a vedere la pubblicazione di Gandhi alla quale tanto teneva, che uscì nel 1973 con il titolo Teoria e pratica della non-violenza.
Bobbio prese seriamente la nonviolenza, perché prendeva sempre sul serio le cose che riteneva serie. È in Bobbio, infatti, che Capitini trova fra gli intellettuali italiani uno dei più interessati e attenti interlocutori critici sulla nonviolenza. Entrambi gli amici scrissero pagine di grande interesse e attualità sul problema della guerra e delle vie alla pace. Capitini privilegiò, spendendosi per tutta la vita in impegni pratici, la via della nonviolenza positiva: “Una persuasione che pervade mente, cuore e azione”, “scelta severa e tremenda” che “anticipa di colpo il fine nel mezzo”. Bobbio riteneva più percorribile, ma senza farsi troppe illusioni, la via giuridico-istituzionale che mira alla creazione di un governo mondiale democratico detentore del monopolio della “forza”. Le due vie non si escludono a vicenda e sono ambedue difficili. Ma esistono forse vie facili?

L'Indice, febbraio 2013

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