02 marzo 2019

GIOVANNI PIRELLI, un uomo d'altri tempi



Un socialista di sinistra antidogmatico e libertario che tra gli anni Cinquanta e Sessanta ha offerto un contributo fondamentale al rinnovamento della cultura di sinistra del nostro paese. «Vita di Giovanni Pirelli», di Mariamargherita Scotti.


Giuseppe Muraca

La militanza inquieta di un protagonista dalla parte degli ultimi

Dopo vari anni di ricerca condotta in diversi archivi e arricchita dalla raccolta di molte testimonianze orali inedite, esce per Donzelli editore (pp. 290, euro 27) Vita di Giovanni Pirelli di Mariamargherita Scotti, un libro molto singolare in cui la studiosa pisana ricostruisce con grande rigore e con intensa passione civile il percorso umano e culturale di uno degli intellettuali più rappresentativi e affascinanti della seconda metà del Novecento, inquadrandolo nel contesto della società italiana del suo tempo.

Nato nel 1918 a Velate Varesino e morto nel 1973 a Sampierdarena, in seguito a un grave incidente stradale, e figlio di uno dei maggiori capitani d’industria del nostro paese, Giovanni Pirelli dopo il trauma della seconda guerra mondiale e della Resistenza, a cui ha partecipato in prima persona, si è iscritto al Partito socialista di unità proletaria (poi Psi) e nel 1948 ha rinunciato alla primogenitura abbandonando l’impresa di famiglia per dedicarsi interamente all’attività culturale e politica. In seguito a questo strappo dalla sua classe d’origine, egli è stato sottoposto a continui attacchi da parte della stampa conservatrice che lo ha sempre considerato un «traditore», a dimostrazione che per lui la conquista dell’indipendenza è stato un processo molto travagliato e problematico.
In genere Pirelli viene ricordato per aver curato (insieme a Piero Malvezzi) le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana ed europea (1952, 1954), ma è stato anche un autentico scrittore, uno sceneggiatore, un grande organizzatore culturale e un mecenate che nel corso della sua instancabile e multiforme attività intellettuale ha prodotto tantissime opere letterarie e artistiche e ha finanziato e aiutato numerosi progetti politici, istituzioni culturali che hanno segnato la storia della cultura italiana: dal quotidiano socialista «L’Avanti!» al Piccolo Teatro di Milano, dall’Istituto Morandi alla Casa editrice Einaudi, dalle Edizioni Avanti ai «Quaderni Rossi», dal Centro Franz Fanon all’Istituto Ernesto De Martino e via di seguito.

Amico di Vittorini, Guttuso, Luigi Nono, Gianni Bosio e ancora di Raniero Panzieri, Franco Fortini, Luciano Della Mea, Piergiorgio Bellocchio, Franz Fanon, Amilcar Cabral e di tanti altri intellettuali e politici italiani e stranieri, egli ha rappresentato la figura di un intellettuale militante inquieto e tormentato, di un socialista di sinistra antidogmatico e libertario che tra gli anni Cinquanta e Sessanta ha offerto un contributo fondamentale al rinnovamento della cultura di sinistra del nostro paese, rimanendo fedele ai valori della Resistenza e sostenendo le lotte per la liberazione degli sfruttati e dei popoli del terzo mondo, a cui ha dedicato molte delle sue energie e delle sue risorse finanziarie.

«Ricordatevi» ha scritto nell’Introduzione delle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, «che la Resistenza non è affatto finita con la disfatta del fascismo. È continuata e continua contro tutto ciò che sopravvive di quella mentalità, di quei metodi; contro qualsiasi sistema che dà a pochi il potere di decidere per tutti. Continua nella lotta dei popoli soggetti al colonialismo, all’imperialismo, per la loro effettiva indipendenza. Continua nella lotta contro il razzismo».
Dalle pagine del bellissimo libro di Scotti emerge appunto l’immagine di un uomo e di un intellettuale davvero unico, capace di compiere nel corso della sua vita delle scelte umane e politiche radicali. Nel suo breve Autoritratto ecco che cosa ha scritto: «La storia della mia vita, dalla guerra in poi, altro non è che la storia di uno – di origine borghese, di formazione intellettuale – che cerca una risposta alla domanda: da che parte sto?»

E lui a un certo punto della sua esistenza ha deciso di stare e di lottare dalla parte degli sfruttati e degli oppressi, tanto che per lui vale probabilmente quanto ha scritto Cesare Bermani alla fine di un suo denso profilo: «Se oggi ripenso a Giovanni debbo confessare che, in questo Paese così intriso di conservatorismo, mi sembra essere stato l’unico autentico rivoluzionario che io abbia conosciuto».

Il manifesto – 16 gennaio 2019

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