Un socialista di
sinistra antidogmatico e libertario che tra gli anni Cinquanta e
Sessanta ha offerto un contributo fondamentale al rinnovamento della
cultura di sinistra del nostro paese. «Vita di Giovanni Pirelli»,
di Mariamargherita Scotti.
Giuseppe Muraca
La militanza inquieta
di un protagonista dalla parte degli ultimi
Dopo vari anni di ricerca
condotta in diversi archivi e arricchita dalla raccolta di molte
testimonianze orali inedite, esce per Donzelli editore (pp. 290, euro
27) Vita di Giovanni Pirelli di Mariamargherita Scotti, un libro
molto singolare in cui la studiosa pisana ricostruisce con grande
rigore e con intensa passione civile il percorso umano e culturale di
uno degli intellettuali più rappresentativi e affascinanti della
seconda metà del Novecento, inquadrandolo nel contesto della società
italiana del suo tempo.
Nato nel 1918 a Velate
Varesino e morto nel 1973 a Sampierdarena, in seguito a un grave
incidente stradale, e figlio di uno dei maggiori capitani d’industria
del nostro paese, Giovanni Pirelli dopo il trauma della seconda
guerra mondiale e della Resistenza, a cui ha partecipato in prima
persona, si è iscritto al Partito socialista di unità proletaria
(poi Psi) e nel 1948 ha rinunciato alla primogenitura abbandonando
l’impresa di famiglia per dedicarsi interamente all’attività
culturale e politica. In seguito a questo strappo dalla sua classe
d’origine, egli è stato sottoposto a continui attacchi da parte
della stampa conservatrice che lo ha sempre considerato un
«traditore», a dimostrazione che per lui la conquista
dell’indipendenza è stato un processo molto travagliato e
problematico.
In genere Pirelli viene
ricordato per aver curato (insieme a Piero Malvezzi) le Lettere dei
condannati a morte della Resistenza italiana ed europea (1952, 1954),
ma è stato anche un autentico scrittore, uno sceneggiatore, un
grande organizzatore culturale e un mecenate che nel corso della sua
instancabile e multiforme attività intellettuale ha prodotto
tantissime opere letterarie e artistiche e ha finanziato e aiutato
numerosi progetti politici, istituzioni culturali che hanno segnato
la storia della cultura italiana: dal quotidiano socialista
«L’Avanti!» al Piccolo Teatro di Milano, dall’Istituto Morandi
alla Casa editrice Einaudi, dalle Edizioni Avanti ai «Quaderni
Rossi», dal Centro Franz Fanon all’Istituto Ernesto De Martino e
via di seguito.
Amico di Vittorini,
Guttuso, Luigi Nono, Gianni Bosio e ancora di Raniero Panzieri,
Franco Fortini, Luciano Della Mea, Piergiorgio Bellocchio, Franz
Fanon, Amilcar Cabral e di tanti altri intellettuali e politici
italiani e stranieri, egli ha rappresentato la figura di un
intellettuale militante inquieto e tormentato, di un socialista di
sinistra antidogmatico e libertario che tra gli anni Cinquanta e
Sessanta ha offerto un contributo fondamentale al rinnovamento della
cultura di sinistra del nostro paese, rimanendo fedele ai valori
della Resistenza e sostenendo le lotte per la liberazione degli
sfruttati e dei popoli del terzo mondo, a cui ha dedicato molte delle
sue energie e delle sue risorse finanziarie.
«Ricordatevi» ha
scritto nell’Introduzione delle Lettere dei condannati a
morte della Resistenza europea, «che la Resistenza non è affatto
finita con la disfatta del fascismo. È continuata e continua contro
tutto ciò che sopravvive di quella mentalità, di quei metodi;
contro qualsiasi sistema che dà a pochi il potere di decidere per
tutti. Continua nella lotta dei popoli soggetti al colonialismo,
all’imperialismo, per la loro effettiva indipendenza. Continua
nella lotta contro il razzismo».
Dalle pagine del
bellissimo libro di Scotti emerge appunto l’immagine di un uomo e
di un intellettuale davvero unico, capace di compiere nel corso della
sua vita delle scelte umane e politiche radicali. Nel suo breve
Autoritratto ecco che cosa ha scritto: «La storia della mia vita,
dalla guerra in poi, altro non è che la storia di uno – di origine
borghese, di formazione intellettuale – che cerca una risposta alla
domanda: da che parte sto?»
E lui a un certo punto della sua esistenza ha deciso di stare e di lottare dalla parte degli sfruttati e degli oppressi, tanto che per lui vale probabilmente quanto ha scritto Cesare Bermani alla fine di un suo denso profilo: «Se oggi ripenso a Giovanni debbo confessare che, in questo Paese così intriso di conservatorismo, mi sembra essere stato l’unico autentico rivoluzionario che io abbia conosciuto».
Il manifesto – 16
gennaio 2019
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