Giovanni Kezich,
direttore del Museo degli usi e costumi della gente trentina in un
libro, appena pubblicato da Laterza, ricostruisce storia e
significato del carnevale.
Claudio Corvino
Il mistero delle
maschere e delle loro origini rituali
Il carnevale, più che
una festa è un’idea, un guazzabuglio di storie, maschere e riti
tanto comuni e diffusi quanto difficili da interpretare. Non ci
troviamo di fronte ad alcuna nascita o morte miracolosa, e poche e
confuse sono le leggende di fondazione o le liturgie che lo
caratterizzano. Sappiamo con certezza solo che da un capo all’altro
dell’Europa e del mondo, all’incirca da sant’Antonio al
Mercoledì delle Ceneri (ma anche oltre), vediamo gente travestirsi,
lanciare oggetti, mettere in scena processioni, danze e salti, oltre
alle mille azioni più o meno rituali che si svolgono in questo
periodo invernale.
È proprio a causa della
sua enorme diffusione e per la diversità delle sue forme che il
carnevale risulta di così difficile interpretazione. Lo dimostra,
indirettamente, anche il fatto che la massima parte dei volumi che si
pubblicano trattino carnevali locali: segno evidente di quanto
parlare della festa in generale sia un’impresa ardua e rischiosa.
Lo fa oggi Giovanni
Kezich, direttore del Museo degli usi e costumi della gente trentina,
nel suo Carnevale. La festa del mondo (Laterza, pp. 232, euro 20). In
dieci capitoli, l’autore tenta di «trattare sinteticamente e in
sequenza mascherate prima e carnevali poi secondo il loro ordine
d’apparizione sulla scena del mondo, cercando di sottoporre l’uno
e l’altro a un unico sguardo». Una dichiarazione d’intenti che
sottintende una cronologia («in sequenza») e una sintesi,
inevitabile quando si trattano, con conoscenza ed esperienza,
centinaia di carnevali tra Europa, Asia e America.
Nel volume sfilano
processionalmente mascherate e carnevali, dal Portogallo alla
Bulgaria, dalla Scozia alla Sicilia e fino alle Americhe. Come vuole
la tradizione degli studi carnevaleschi, si ricercano le origini di
questa «festa», individuate dall’autore negli antichi rituali del
ritorno alla natura, della fertilità dei campi e della mitica età
dell’oro, ovvero «il triduo eterogeneo di lupercali, ambarvali e
saturnali» che, a un certo punto della loro storia, sarebbero
divenuti indecifrabili nel contesto religioso cristiano e si
sarebbero tinti di quell’autoironia tipica del carnascialesco.
Nella parte centrale del
volume Kezich passa in rassegna le varie interpretazioni del
carnevale, partendo dalle sue etimologie, in alcuni casi
«etimofollie», come ebbe a definirle Mario Alinei, il grande
linguista recentemente scomparso. Studioso che teorizzò anche quella
Volksetymologie con cui la chiesa medievale tentò di trasformare o,
meglio, «deformare» il carnevale in un periodo di preparazione alla
Quaresima e alla successiva Pasqua. Ipotesi ripresa anche da Kezich.
Tema affascinante, quello
delle origini del carnevale, che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro
dando luogo alle più svariate ipotesi, qui passate in rassegna,
commentate e criticate. Inoltre sono discusse anche le componenti che
lo informano: dalla gastronomia alle maschere, alle sfilate, ai suoi
personaggi… Tutti elementi che mostrano una realtà comune, come
«tessere di un puzzle disperso e in gran parte perduto, cui però
possiamo riconoscere una coerenza del tutto degna di nota».
Una coerenza che
travalica i ristretti spazi liturgici delle varie feste«invernali»
e che sembra coprire periodi lunghissimi: in altre parole, Natale, i
Morti, il carnevale, non si possono confinare negli angusti confini
che il calendario assegna loro e quindi negli studi oggi si parla
sempre più di «Tempo di Natale» o «dell’Epifania». Questo
perché ci si è resi conto del fatto che maschere, riti, gesti e
leggende tradizionalmente attribuiti alle feste di cui parliamo
appartengono a un arco spaziale e cronologico in realtà molto più
ampli.
Lo stesso San Nicola,
sfoggiando la nota ubiquità del suo avatar (Santa) Klaus e poco
considerando il dies natalis che la liturgia gli attribuisce, potrà
apparire nelle mascherate dal 30 novembre, vigilia di sant’Andrea,
fino al 12 gennaio a Urnäsch in Appenzello: un vero e proprio «Tempo
di san Nicola».
In questo mare magnum di
rappresentazioni carnevalesche, che accoglie permanenze e continue
mutazioni al suo interno, Kezich sembra rinvenire nel paganesimo
romano «nelle sue componenti cultuali specifiche maggiormente affini
alla tradizione popolare», l’origine dei mascheramenti e, quindi,
dei carnevali. Ipotesi non nuova, ma affrontata con una gran messe di
materiali etnografici a disposizione. Spiace un po’ nel volume un
certo autocitazionismo che non sembra rendere giustizia alla vastità
e complessità di questo vero e proprio geroglifico sociale che è il
carnevale.
Il Manifesto – 26
febbraio 2019
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