24 marzo 2019

Ecco cosa scriveva nel 1966 Danilo Dolci





La recente scoperta della “loggia delle clientele” di Castelvetrano mi sembra che ridia attualità all’analisi condotta negli anni sessanta da Danilo Dolci sul sistema di potere clientelare mafioso .
Provo a riassumere di seguito quanto scrisse allora il sociologo. Per farlo occorre riprendere in mano un suo vecchio libro, uno dei pochi che non è stato più ristampato. Il libro s’ intitola Chi gioca solo  e viene pubblicato da Einaudi nel 1966. In esso si trova  la più ricca  documentazione, raccolta da Danilo e dai suoi più stretti collaboratori, sulle radici profonde della mafia nella Sicilia occidentale.
 Come Banditi a Partinico è un libro-inchiesta, frutto di anni  di autoanalisi popolare. Era questo il modo in cui Danilo amava denominare il suo metodo di lavoro che scaturiva, soprattutto, da quel singolare talento che possedeva di saper ascoltare e dare voce a tutte le persone che incontrava.
Il libro ebbe un successo straordinario. La stessa casa editrice  pubblicò  la II edizione nel 1967  e, nei mesi successivi venne tradotto nelle principali lingue del mondo (ad esempio l’edizione americana  uscì l’anno seguente con questo titolo: The man who plays alone. Trad. di Antonia Cowan. New York: Pantheon Books,1968). Ciononostante, dopo qualche anno, l'opera scomparve dalla circolazione ed  è stata quasi del tutto  dimenticata.
Per aver scritto questo libro, Danilo venne querelato da potenti uomini politici del tempo e condannato. Ma, come si sa, una cosa è la verità storica dei fatti, altra cosa la verità giudiziaria.

Per mostrare quanto chiare fossero le idee di Dolci al riguardo  voglio citare per esteso  un brano della Premessa, scritta dallo stesso Autore:
   I non pochi uomini politici compromessi con la mafia in Sicilia si potrebbero distinguere  in quattro categorie: Una prima, dei politici spregiudicati che, soprattutto in tempo di elezioni, hanno rapidi  incontri, riunioni in cui non badano tanto per il sottile come raccogliere voti e con chi hanno a che fare: "se tu mi aiuti, io ti aiuto". Una seconda, dei politici che sfruttano sistematicamente, freddamente, il gruppo chiuso mafioso, imbastendo eventualmente tutti i possibili doppi giochi a seconda dei tempi e dei luoghi:" sfruttati a loro volta sistematicamente dalla mafia. Una terza, di mafiosi veri e propri che riescono ad essere eletti, talvolta anche ad alte responsabilità: per fortuna non sono i più numerosi. Una quarta, di giovani che, partiti in polemica col sistema, hanno accettato di rimanere  condizionati, per poter riuscire. Quale locale contesto ha reso possibile per più di vent'anni lo sfruttamento della mafia (e, per un certo tempo, anche  del banditismo) a fini elettorali? La mafia ha così potuto nell'ultimo dopoguerra partecipare al governo dell'Italia dal livello comunale, provinciale,regionale ai più alti livelli.

       Poco più avanti Danilo  si domanda: 

A chi vede Palermo e la provincia circostante, non occorre molto per verificare che la grande maggioranza della popolazione è scontenta, molto spesso gravemente scontenta, amara, a lutto. "Perché, […], questa maggioranza di scontenti non riesce a diventare maggioranza di diversa azione, nuova spinta, nuova maggioranza politica?

 La risposta  a questa fondamentale domanda va ricercata, secondo Danilo, oltre che nella incoerenza ed inadeguatezza dei principali partiti di opposizione di allora, nell'omertà istituzionale che egli descrive con parole che riecheggiano quelle del secolo precedente di Napoleone Colajanni:

"finché i rappresentanti dello Stato cercano ad ogni costo di coprire […] ministri, sottosegretari più o meno inseriti nella struttura mafioso-clientelare; finché si vuol far risultare ad ogni costo che sono i mafiosi a circuire il loro politico e non si critica il reciproco appoggio (...), lo sfruttamento reciproco; finché non si fa chiaro fin dove arriva nel comportamento di certi 'politici' la loro responsabilità personale, e fin dove la corresponsabilità governativa; finché ci capita di incontrare persone ad altissimo livello di responsabilità -ministri, sottosegretari, magistrati - le quali in privato ammettono di sapere che certi loro colleghi sono uomini della mafia (cioè appartenenti ad essa o ad essa disponibili), ma non osano assumere posizioni aperte; finché funzionari e parlamentari continueranno a pretendere dalla povera gente indifesa quel coraggio che essi stessi, sebbene protetti dal proprio mandato, non hanno; (...)finché ogni gruppo, ogni partito che si dice democratico, non osa sciogliere i suoi vincoli mafioso-clientelari; finché la maggioranza delle persone si comporta come se questi problemi non li riguardassero affatto; finché, ad ogni livello di responsabilità, non si sarà disposti a rischiare per la verità, osando opporsi in modo organizzato all'ingiustizia e alla violenza organizzata ovunque essa sia - il corpo sociale non potrà che rimanere sostanzialmente fermo, infetto.". 

Mi aiutate a capire cosa non regge in questa analisi? Queste parole risalgono al 1966. A me sembrano  ancora attuali.  Ma posso naturalmente sbagliarmi.  

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