La recente scoperta della “loggia delle
clientele” di Castelvetrano mi sembra che ridia attualità all’analisi condotta
negli anni sessanta da Danilo Dolci sul sistema di potere clientelare mafioso .
Provo a
riassumere di seguito quanto scrisse allora il sociologo. Per farlo occorre
riprendere in mano un suo vecchio libro, uno dei pochi che non è stato più
ristampato. Il libro s’ intitola Chi gioca solo e viene
pubblicato da Einaudi nel 1966. In esso si trova la più ricca
documentazione, raccolta da Danilo e dai suoi più stretti collaboratori,
sulle radici profonde della mafia nella Sicilia occidentale.
Come Banditi a Partinico è un
libro-inchiesta, frutto di anni di autoanalisi popolare. Era
questo il modo in cui Danilo amava denominare il suo metodo di lavoro che
scaturiva, soprattutto, da quel singolare talento che possedeva di saper
ascoltare e dare voce a tutte le persone che incontrava.
Il libro
ebbe un successo straordinario. La stessa casa editrice pubblicò la
II edizione nel 1967 e, nei mesi successivi venne tradotto nelle
principali lingue del mondo (ad esempio l’edizione americana uscì l’anno
seguente con questo titolo: The man who plays alone. Trad.
di Antonia Cowan. New York: Pantheon Books,1968). Ciononostante, dopo qualche
anno, l'opera scomparve dalla circolazione ed è stata quasi del tutto dimenticata.
Per aver
scritto questo libro, Danilo venne querelato da potenti uomini politici del
tempo e condannato. Ma, come si sa, una cosa è la verità storica dei fatti,
altra cosa la verità giudiziaria.
Per mostrare quanto chiare fossero le idee di Dolci al riguardo voglio
citare per esteso un brano della Premessa, scritta dallo stesso Autore:
I non pochi uomini
politici compromessi con la mafia in Sicilia si potrebbero distinguere in
quattro categorie: Una prima, dei politici spregiudicati che, soprattutto in
tempo di elezioni, hanno rapidi incontri, riunioni in cui non badano
tanto per il sottile come raccogliere voti e con chi hanno a che fare: "se
tu mi aiuti, io ti aiuto". Una seconda, dei politici che sfruttano
sistematicamente, freddamente, il gruppo chiuso mafioso, imbastendo
eventualmente tutti i possibili doppi giochi a seconda dei tempi e dei
luoghi:" sfruttati a loro volta sistematicamente dalla mafia. Una terza,
di mafiosi veri e propri che riescono ad essere eletti, talvolta anche ad alte
responsabilità: per fortuna non sono i più numerosi. Una quarta, di giovani
che, partiti in polemica col sistema, hanno accettato di rimanere
condizionati, per poter riuscire. Quale locale contesto ha reso possibile per
più di vent'anni lo sfruttamento della mafia (e, per un certo tempo, anche
del banditismo) a fini elettorali? La mafia ha così potuto nell'ultimo
dopoguerra partecipare al governo dell'Italia dal livello comunale,
provinciale,regionale ai più alti livelli.
Poco
più avanti Danilo si domanda:
A chi vede Palermo e la
provincia circostante, non occorre molto per verificare che la grande
maggioranza della popolazione è scontenta, molto spesso gravemente scontenta,
amara, a lutto. "Perché, […], questa maggioranza di scontenti non riesce a
diventare maggioranza di diversa azione, nuova spinta, nuova maggioranza
politica?
La
risposta a questa fondamentale domanda va ricercata, secondo Danilo,
oltre che nella incoerenza ed inadeguatezza dei principali partiti di
opposizione di allora, nell'omertà istituzionale che egli descrive con parole
che riecheggiano quelle del secolo precedente di Napoleone Colajanni:
"finché i
rappresentanti dello Stato cercano ad ogni costo di coprire […] ministri,
sottosegretari più o meno inseriti nella struttura mafioso-clientelare; finché
si vuol far risultare ad ogni costo che sono i mafiosi a circuire il loro
politico e non si critica il reciproco appoggio (...), lo sfruttamento
reciproco; finché non si fa chiaro fin dove arriva nel comportamento di certi
'politici' la loro responsabilità personale, e fin dove la corresponsabilità
governativa; finché ci capita di incontrare persone ad altissimo livello di
responsabilità -ministri, sottosegretari, magistrati - le quali in privato ammettono
di sapere che certi loro colleghi sono uomini della mafia (cioè appartenenti ad
essa o ad essa disponibili), ma non osano assumere posizioni aperte; finché
funzionari e parlamentari continueranno a pretendere dalla povera gente
indifesa quel coraggio che essi stessi, sebbene protetti dal proprio mandato,
non hanno; (...)finché ogni gruppo, ogni partito che si dice
democratico, non osa sciogliere i suoi vincoli mafioso-clientelari; finché la
maggioranza delle persone si comporta come se questi problemi non li
riguardassero affatto; finché, ad ogni livello di responsabilità, non si sarà
disposti a rischiare per la verità, osando opporsi in modo organizzato
all'ingiustizia e alla violenza organizzata ovunque essa sia - il corpo sociale
non potrà che rimanere sostanzialmente fermo, infetto.".
Mi aiutate a
capire cosa non regge in questa analisi? Queste parole risalgono al 1966. A me sembrano ancora
attuali. Ma posso naturalmente sbagliarmi.
Chissà perché mai non l'hanno ristampato...
RispondiEliminaChissà come mai non l'hanno ristampato....
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