23 ottobre 2022

CROSETTO MINISTRO DELLA GUERRA

 


Il braccio armato del governo

Gianni Ballarini
22 Ottobre 2022

Il Richelieu di Meloni, dal 2014 è il presidente della Confindustria delle imprese militari. Ora le finanzierà. È il più feroce avversario della legge 185, che disciplina il controllo dello stato sull’import ed export di armi, ricorda Nigrizia. Ha una passione sfrenata per quel mondo, colmo di bombe, caccia, carriarmati. E detesta le banche “etiche”, che ostacolano il business di un settore «tra i pochi asset strategici e tecnologici rimasti in questo paese»

Il neoministro alla difesa è considerato, soprattutto a sinistra, uno dei pochi leader pensanti e stimabili del fronte opposto. Un provocatore schietto. Uno che non sopporta gli equivoci e le ambiguità. E lo dice con supponenza. Allergico alla retorica buonista e agli slogan a uso e consumo di giornali e media. Guido Crosetto abbiamo imparato a conoscerlo nei salotti televisivi. Ora siederà a Palazzo Baracchini.

Fondatore, nel 2012, di Fratelli d’Italia con Meloni e La Russa, è considerato il Richelieu della neo premier. Tra i pochi di cui Meloni si fida ciecamente. Uno che non ha bisogno di Palazzo Chigi per condizionare il prossimo governo. Perché questa figura, dalla stazza ingombrante, racchiude in sé tutti gli aspetti del potere: è un politico, un imprenditore, un lobbista. Soprattutto è il braccio armato del nuovo esecutivo. Uno che da tempo ha fatto pace con la guerra, guadagnando, in questi anni, quando la spesa militare aumentava.

Ha guidato la Confindustria delle imprese militari

Dal 2014, infatti, il colosso di Cuneo indossa l’elmetto nella trincea della rappresentanza dell’industria bellica: è presidente dell’Aiad, la Confindustria delle imprese impegnate nel comparto della difesa. Carica che metterà in naftalina da ministro.

A Palazzo Baracchini, tuttavia, potrebbe vivere momenti imbarazzanti: dal bilancio del suo ministero, infatti, ogni anno parte un flusso consistente di risorse, come investimenti, destinato all’industria nazionale della difesa. A quelle stesse aziende che ha rappresentato per otto anni.

Le giravolte politiche

Ma andiamo con ordine. Piemontese. 59 anni. Inizi politici nella Dc. Folgorato sulla via di Arcore. Coordinatore regionale di Forza Italia del Piemonte dal 2003 al 2009. Nel 2001, la prima elezione alla Camera dei deputati. Rieletto nel 2006 e 2008. Dal 2008 al 2011 ricopre la carica di sottosegretario di stato alla difesa nel quarto governo Berlusconi. Nel 2012 lascia il Popolo delle Libertà. Nel 2014 la nomina all’Aiad coincide con il suo primo addio alla politica. Ritorna in parlamento nel 2017. Ma lo lascia definitivamente un anno dopo. L’impegno “armato” lo assorbe troppo. Perché nel tempo non solo diventa consulente di Leonardo, la nostra holding nel comparto militare, ma viene nominato anche, nel 2020, presidente di Orizzonti sistemi navali, società del settore detenuta al 51% da Fincantieri e per il 49% da Leonardo.

Per lui si producono poche armi

Sebbene nelle sue comparsate televisive dissimuli spesso questo suo ruolo, come se lo desse per scontato (ma scontato non è), ha una passione sfrenata per questo mondo, colmo di bombe, caccia, carriarmati: «È un settore ad altissimo valore aggiunto. Uno dei pochi asset strategici e tecnologici rimasti in questo paese. Il problema è che non c’è abbastanza produzione per soddisfare una domanda di investimento in tutte le nazioni». Tradotto: si producono ancora troppe poche armi.

Quando può rifila al suo interlocutore i risultati di una ricerca commissionata, nel 2019, da Aiad a Prometeia, da cui risulta che il fatturato del comparto sfiora i 16 miliardi di euro, impiega 50mila addetti diretti e 150 mila indiretti. «Ogni euro di valore aggiunto generato dall’industria militare ha un effetto moltiplicatore pari a 3, con un gettito fiscale superiore a 5 miliardi di euro».

Tutti dati contestati, o letti con un’altra chiave interpretativa, da ricercatori indipendenti.

La guerra alla 185 e alle banche “etiche”

Ma lui ama quei numeri. Mentre ne detesta uno: 185. È il numero della legge del 1990 che disciplina il controllo dello stato sull’import ed export di armi. A suo avviso, una legge che ingabbia. Prevede troppi lacci e lacciuoli. Troppa burocrazia. «Non esiste che una legge metta in capo alla Farnesina le decisioni sul settore della difesa», uno dei suoi numerosi commenti di “apprezzamento”. Gli venne un coccolone quando, nel dicembre del 2020, la maggioranza parlamentare votò la risoluzione proposta da Lia Quartapelle, deputata del Pd. Impegnava l’esecutivo Conte a «mantenere la sospensione della concessione di nuove licenze per bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati a colpire la popolazione civile, e della loro componentistica» verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi, misura già in essere da metà 2019. In Commissione difesa del senato, Crosetto vi si scagliò contro: «Bisogna intervenire sulla 185. Se si vuole cooperare o meno con un paese deve deciderlo il governo non il parlamento».

Ma il tema che in assoluto lo fa andare su tutte le furie è quello delle “banche etiche”, come le chiama lui. Quelle che talvolta si rifiutano di mettere a disposizione i loro servizi alle imprese militari che operano in teatri di guerra o in assenza di diritti civili. «È davvero critico l’atteggiamento delle banche che arrivano a bloccare pagamenti dall’estero nonostante siano autorizzati da diversi ministeri e con arroganza decidono di chiudere i rubinetti ad attività del tutto legali». Sul tema usa toni sprezzanti: «Le aziende non riescono a lavorare. Più sono piccole, e minori sono i loro affari, e più le banche diventano etiche. Ma la stessa banca diventa meno etica se sul tavolo c’è un affare da un miliardo di euro».

In commissione difesa aveva auspicato che Mediobanca e Banca Popolare di Puglia finissero nella galassia del ministero economia e finanze (Mef). Come in effetti è avvenuto. «A quel punto diventeranno le banche del sistema e le uniche con cui si potrà lavorare tranquillamente. Perché avuta l’autorizzazione dalla Farnesina, dal ministero della difesa e dal Mef, una banca pubblica non può dire di no come fanno le altre banche».

Il kingmaker meloniano ha le idee chiare. E ora che è al potere, per la 185 si profila un futuro accidentato.


Fonte Nigrizia

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