I “TETÙ” DEI MORTI (CON DIGRESSIONE FINALE)
Mario Pintacuda
Come recita l’art. 1 della nuova Costituzione italiana, «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro di quelli che ne hanno uno. La sovranità appartiene al cibo e agli alimenti, che la esercitano nelle forme e nei limiti degli stomaci dei loro destinatari».
Conseguentemente, mi sembra opportuno riproporre oggi qualche notizia sui “tetù” dei Morti, visto che ieri immancabilmente li ho acquistati in un ottimo panificio vicino casa mia.
Anche quest’anno, crisi o non crisi, guerra o non guerra, Meloni o non Meloni, sovranità alimentare o no, approssimandosi le festività dei Morti particolarmente sentite in Sicilia (benché ormai contrastate dal recente culto barbarico di Halloween), tornano nei panifici e nelle pasticcerie dell’isola i tantissimi dolci tipici del periodo.
Tutti questi dolci andavano a formare il “cannistru”, ovvero il cesto pieno di leccornie che si preparava in occasione della Commemorazione dei defunti. Il 2 novembre mattina i bambini siciliani, al risveglio, cercavano per tutta la casa i regali portati nottetempo dai Morti, che erano stati accuratamente celati nei posti più impensati. Dopo un’accurata perquisizione, i piccoli finalmente trovavano la loro sorpresa: giocattoli, scarpe, abiti nuovi e, letteralmente “dulcis in fundo”, un “cannistru” pieno di dolci o frutta secca: i frutti di martorana, i “pupi” di zucchero (o “pupaccena”), i mustaccioli, i buccellati, i biscotti all’anice, i “regina” col cimino, i biscotti di pasta di miele e i “tetù”.
Su questi ultimi anche quest’anno spenderò qualche ulteriore parola.
I “tetù” sono biscotti a base di pasta frolla mista a mandorle, ricoperti di glassa al cioccolato o glassa bianca; sono lievemente croccanti all’esterno e morbidi e porosi all’interno. La ricetta originale, oltre a farina, mandorle macinate e strutto, prevede - e questa è l’arma vincente - l’utilizzo degli scarti di pasticceria (tranci di torta, bignè con crema, brioche, cornetti, rimasugli di pan di Spagna, cialde, pasticcini, ecc.), che accrescono il sapore e la consistenza dei biscotti.
Il nome “tetù” deriva forse da “uno io e l’altro tu” e sottolinea bene il desiderio di “condivisione” che questi biscotti inducono, nonché la tendenza a innescare un’inarrestabile sequenza in cui “uno tira l’altro”.
Alcuni distinguono i “tetù” (“tieni tu”) propriamente detti, rivestiti con glassa di zucchero e cacao, dai “teìo” (“tengo io”) ricoperti di glassa di zucchero semplice; io però a Palermo li ho sempre sentiti chiamare tutti “tetù”, chiari o scuri che siano (a testimonianza di un’integrazione razziale emblematica dell’accoglienza di questa città). In certe zone della Sicilia sono chiamati “catalani”; a Catania assumono il nome di “totò” e sono ricoperti di glassa al cioccolato.
A questo proposito, la signora che mi ha venduto i “tetù” mi ha replicato il racconto di un curioso aneddoto, di cui però continuo a non trovare conferma da nessuna parte: a Catania, in occasione della festa in onore di una principessa, furono invitati due pasticcieri: uno si chiamava di cognome Catalano, dell’altro si sa solo il nome, Totò (e qui sento puzza di bruciato, perché a Catania “Salvatore” è “Turiddu” e non “Totò”…). Al termine della festa, i due chef chiesero di potersi portar via i resti dei dolci, ma gli fu negato; dovettero allora accontentarsi delle briciole, con cui però riuscirono a realizzare i famigerati biscotti. Da qui sarebbero derivati i nomi di “totò” e “catalani” usati per i nostri plurinominabili dolcetti. A questo punto la signora, con un occhio a Cristo e un altro a san Giovanni per un leggero strabismo, ha aggiunto che la principessa sarebbe stata soprannominata “Tetù”; dopo di che all’alta sua fantasia mancò ulteriore possa.
Sicuramente la storia di questi biscotti meriterebbe ulteriori ricerche, ma per ora basti aver destato un po’ di curiosità in proposito; chi poi non ne fosse curioso affatto, è autorizzato a fiondarsi sui tetù senza ulteriori disquisizioni storiche e senza preoccuparsi più di tanto di assumere, mangiandoli, una posizione politica particolare.
Digressione finale.
Qualcuno da ieri, pensando che l’opposizione si faccia così, si è messo a mangiare cibo cinese o thailandese, facendo male prima di tutto a sé stesso/a.
Purtroppo però non è con l’ironia o con le scelte alimentari alternative che si cambia la sostanza della situazione attuale, a cui gli sconfitti del 25 settembre dovrebbero pensare proponendo un’alternativa progressista valida, unitaria e concreta che possa incidere realmente sulla situazione.
E tuttavia verso questa direzione porteranno comunque, più che i sussulti confusionari della pseudo-sinistra divisa e disperata, la situazione internazionale, la crisi energetica, gli aumenti dei prezzi, la disoccupazione e la disperazione della gente comune. A questo punto chi ha saputo fare benissimo campagna elettorale, promettendo mari, monti e felicità, dovrà dimostrare se e come sa governare (certo non andando a sedersi platealmente nella poltrona del nuovo ufficio come ha fatto il trionfante neoministro delle Infrastrutture, che - siccome non sa il latino - ignora che “infra” significa “al di sotto”, come in effetti si trova ora ad essere rispetto alla sua invidiatissima leader).
Presto le promesse facili della campagna elettorale andranno alla prova dei fatti: una prima occasione scottante sarà (specialmente qui al Sud) il problema del reddito di cittadinanza. Vedremo che cosa e come succederà…
La storia anche recente insegna che chi sta all’opposizione ha non pochi vantaggi: può aspettare le mosse altrui, restando pronto a contestarle alla prova dei fatti e traendo futuri vantaggi elettorali dalle proprie contestazioni. A patto però che queste opposizioni anzitutto esistano, abbiano una strategia comune e idee chiare; e a patto anche che, in caso di situazioni di emergenza, siano lasciate esistere
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